Ordinanza n. 100/99

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ORDINANZA N. 100

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 513, commi 1 e 2, 238, comma 2-bis, del codice di procedura penale e dell'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 16 dicembre 1997 dal Pretore di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, il 3 aprile 1998 dal Tribunale di Milano, il 28 marzo 1998 dal Tribunale di Verbania, il 2 aprile 1998 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Milano, l'11 e il 16 febbraio 1998 e il 14 gennaio 1998 dal Tribunale di Monza e il 1° giugno 1998 dal Tribunale di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 433, 462, 463, 464, 465, 470, 471, 634 e 712 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 25, 26, 28, 38 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Pretore di Pisa, il Tribunale di Milano, il Tribunale di Verbania, il Tribunale di Monza e il Tribunale di Pescara hanno sollevato, con nove ordinanze, questione di legittimità costituzionale degli artt. 513, comma 2, 238, comma 2-bis, del codice di procedura penale e dell'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101, 111 e 112 della Costituzione;

  che, in particolare, il Pretore di Pisa (r.o. n. 433 del 1998), il Tribunale di Milano (r.o. nn. 462, 464 e 465 del 1998), il Tribunale di Verbania (r.o. n. 463 del 1998) e il Tribunale di Monza (r.o. nn. 470, 471 e 634 del 1998) dubitano della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, 101, 111 e 112 Cost., dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui subordina all’accordo delle parti l’utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini dai soggetti di cui all’art. 210 cod. proc. pen., che si avvalgono a dibattimento della facoltà di non rispondere, in quanto, consentendo alle parti e ai dichiaranti ex art. 210 cod. proc. pen. di disporre della prova, ostacola l'accertamento della verità, così irragionevolmente sacrificando i principi del giusto processo - nel quale il principio dell'oralità deve essere bilanciato con quello di non dispersione degli elementi di prova legittimamente acquisiti -, dell'obbligatorietà dell'azione penale, della soggezione del giudice soltanto alla legge, della indefettibilità della giurisdizione;

  che il Pretore di Pisa, il Tribunale di Milano e il Tribunale di Verbania ritengono, inoltre, che la disposizione impugnata - precludendo la utilizzazione ai fini della decisione delle dichiarazioni contra alios rese in precedenza da soggetto che si avvale in dibattimento della facoltà di non rispondere e che, per tale motivo, risultano oggettivamente e imprevedibilmente irripetibili - detta irragionevolmente una disciplina diversa rispetto ai casi consimili, disciplinati dagli artt. 500, comma 2-bis, e 512 cod. proc. pen., nei quali pure si determina una oggettiva e non prevedibile impossibilità di ripetizione dell'atto dichiarativo;

che il Pretore di Pisa censura, inoltre, la irragionevole disparità di trattamento rispetto al testimone che la disposizione impugnata riserverebbe all'imputato di reato connesso la cui posizione sia stata definita con sentenza divenuta irrevocabile e che, a differenza del testimone, può rifiutare di rispondere;

che il Tribunale di Verbania assume che, subordinandosi all'accordo delle parti l'utilizzabilità delle dichiarazioni in precedenza rese da imputato di reato connesso, sarebbe leso anche l'art. 24 Cost., e cioé il diritto di difesa del coimputato che abbia, in ipotesi, interesse all'acquisizione di quelle dichiarazioni;

che il Pretore di Pisa estende le medesime censure rivolte all'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 101, 111 e 112 Cost., all'art. 238, comma 2-bis, cod. proc. pen.;

che il Tribunale di Monza impugna formalmente anche l'art. 513, comma 1, cod. proc. pen., non rilevante nel giudizio a quo, e censura con le medesime argomentazioni svolte in relazione all'art. 513, comma 2, cod. proc. pen. l'art. 6 della legge n. 267 del 7 agosto 1997, nella parte in cui non prevede che la previgente disciplina continui a trovare applicazione nei processi nei quali, alla data di entrata in vigore della legge, era già stato emesso il decreto che dispone il giudizio;

che, infine, il Tribunale di Pescara (r.o. n. 712 del 1998) dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 101, 111 e 112 Cost., dell'art. 6, commi da 2 a 5, della legge 7 agosto 1997 n. 267, in relazione all'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il regime transitorio debba trovare applicazione nei giudizi in corso anche quando al momento dell'entrata in vigore della legge n. 267 del 1997 non é ancora stata disposta la lettura delle dichiarazioni rese dalle persone indicate dall'art. 513 cod. proc. pen. che si avvalgono a dibattimento della facoltà di non rispondere;

che a parere del Tribunale di Pescara le disposizioni transitorie censurate disciplinerebbero diversamente situazioni sostanzialmente identiche, escludendo l'utilizzazione, sia pure con ridotta efficacia probatoria, delle dichiarazioni rese dagli imputati in procedimento connesso che si avvalgono a dibattimento della facoltà di non rispondere quando nei procedimenti in corso non sia stata già disposta la lettura dei verbali dei precedenti interrogatori, e recherebbero in tal modo irrimediabile pregiudizio all'accertamento della verità, fine primario della giurisdizione, e ai principi di uguaglianza, legalità e obbligatorietà dell'azione penale;

che le questioni sono state sollevate in altrettanti giudizi di primo grado nei quali la difesa degli imputati non aveva consentito alla utilizzazione delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari da alcuni imputati di reato connesso, giudicati separatamente, che si erano avvalsi in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che in tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi all’atto di intervento prodotto in relazione alla questione iscritta al n. 776 del registro ordinanze del 1997, sollevata dal Tribunale di Bologna e decisa con la sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che le ordinanze di rimessione, muovendo dal quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che, parimenti, le questioni relative alla disposizione transitoria censurano tale disciplina nella parte in cui subordina l’utilizzazione, ovvero assoggetta la valutazione, delle dichiarazioni rese in precedenza dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere, alle regole introdotte dalla legge n. 267 del 1997, sulla base del dato meramente occasionale che, al momento dell’entrata in vigore della legge, le dichiarazioni fossero già state acquisite mediante lettura;

che i giudizi, attesa la sostanziale identità delle questioni, vanno riuniti;

che successivamente alla emissione delle ordinanze questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo modificato dalla legge n. 267 del 1997, dichiarando la illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 513, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale", ed affermando, in relazione a questioni che avevano impugnato le disposizioni transitorie, che doveva essere valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, "che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Pretore di Pisa, al Tribunale di Milano, al Tribunale di Verbania, al Tribunale di Monza e al Tribunale di Pescara.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.

Presidente Renato Granata

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1999.