Ordinanza n. 97/99

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ORDINANZA N. 97

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 208, 490 e 513, commi 1 e 2, del codice di procedura penale e dell'art. 6, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifiche delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 25 marzo 1998 dal Tribunale di Pistoia, il 10 aprile 1998 dal Tribunale di Gorizia, il 20 febbraio 1998 dal Tribunale di Torino, il 28 aprile 1998 dal Tribunale di Pescara, il 15 aprile 1998 dal Tribunale di Locri e il 24 ottobre 1997 dal Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 417, 418, 427, 526, 535 e 567 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 25, 29 e 36, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di intervento del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, nonchè gli atti di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Pistoia (r.o. n. 417 del 1998), il Tribunale di Gorizia (r.o. n. 418 del 1998), il Tribunale di Torino (r.o. n. 427 del 1998), il Tribunale di Pescara (r.o. n. 526 del 1998), il Tribunale di Locri (r.o. n. 535 del 1998) e il Tribunale di Milano (r.o. n. 567 del 1998) dubitano della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 97, 101, 102, 111 e 112 della Costituzione, dell'art. 513, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui subordina al consenso degli altri imputati l’utilizzazione nei loro confronti delle dichiarazioni rese durante la fase delle indagini dall’imputato nel medesimo procedimento che in dibattimento rimanga contumace o rifiuti di sottoporsi all’esame;

che, in particolare, la disposizione denunciata violerebbe l'art. 3 Cost. perchè, per circostanze di fatto o processuali del tutto casuali, detta una disciplina irragionevolmente diversa per l'utilizzazione delle dichiarazioni in precedenza rese dal coimputato contumace, irreperibile, o che rifiuti di sottoporsi all'esame, rispetto al caso analogo, disciplinato dall'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., in cui le dichiarazioni siano state rese da un soggetto irreperibile nei cui confronti si procede o si é proceduto separatamente (r.o. nn. 417, 427, 526 del 1998), ovvero rispetto ai casi, disciplinati dagli artt. 431, 500, 503, 512 e 513 cod. proc. pen., di sopravvenuta imprevedibile irripetibilità dell'atto (r.o. nn. 526 e 567 del 1998); e perchè, consentendo al coimputato di decidere se ripetere le sue dichiarazioni eteroaccusatorie a dibattimento e nei confronti di quale imputato ripeterle, rende effettivo il potere di quest'ultimo di opporsi alla utilizzazione delle precedenti dichiarazioni e determina una irragionevole disparità di trattamento tra imputati (r.o. n. 418 del 1998);

che, a parere dei rimettenti, la disciplina censurata, violando irragionevolmente il principio processuale di non dispersione della prova e così impedendo l'accertamento dei fatti, si porrebbe pure in contrasto con gli artt. 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost., perchè: condizionando al consenso dell'imputato l'utilizzazione di elementi di prova a suo carico, danneggia la parte civile che su tali elementi fondi la sua pretesa di risarcimento; consente all'imputato di impedire l'accertamento della sua responsabilità ed ostacola l'accertamento giudiziale della verità; consente alle parti di disporre della prova e, di conseguenza, del processo e della regiudicanda; ostacola allo stesso tempo l'esercizio dell'azione penale, il motivato convincimento del giudice e la possibilità che si addivenga ad una giusta decisione, violando, quindi, anche i principi della sottoposizione del giudice soltanto alla legge e della indefettibilità della giurisdizione;

che il Tribunale di Pistoia e il Tribunale di Gorizia dubitano inoltre, in riferimento all'art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge n. 267 del 7 agosto 1997 (Modifiche delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nella parte in cui non detta disposizioni transitorie per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, nei quali non é più possibile far ricorso all'incidente probatorio e non é stata già disposta la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni in precedenza rese dai coimputati, così comportando l'immediata applicabilità dell'art. 513 come modificato dalla legge n. 267 del 1997, per la irragionevole diversità di trattamento che si determinerebbe nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge, a seconda che sia possibile o meno fare ricorso all'incidente probatorio, ovvero a seconda della progressione dell’attività dibattimentale e, cioé, del fatto che sia già stata data lettura, o meno, delle precedenti dichiarazioni del coimputato;

che analoghe censure, formalmente rivolte alla disciplina a regime, vengono sostanzialmente mosse alla disciplina transitoria di cui all'art. 6 della legge n. 267 del 1997 dal Tribunale di Pescara, dal Tribunale di Locri e dal Tribunale di Milano;

che il Tribunale di Pistoia dubita anche della legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui subordina all'accordo delle parti l'utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall'imputato di reato connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., perchè, diversificando irragionevolmente la disciplina riservata a tali dichiarazioni rispetto agli analoghi casi di dichiarazioni irripetibili rese nel corso delle indagini preliminari, disciplinate dagli artt. 500, comma 4, 511-bis, 512 e 512-bis cod. proc. pen., sacrifica il principio di conservazione dei mezzi di prova ed ostacola la ricerca della verità e la possibilità di decisioni non contraddittorie e giuste;

che, infine, il Tribunale di Milano, dubitando della legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 1, cod. proc. pen., ritiene che la censura vada estesa all'art. 208 cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che l'imputato, che abbia reso alla polizia giudiziaria operante su delega del pubblico ministero dichiarazioni direttamente o indirettamente indizianti a carico di altri imputati, possa avvalersi nel dibattimento della facoltà di non sottoporsi all'esame o di non rispondere, e all'art. 490 cod. proc. pen., nella parte in cui esclude che il giudice possa disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato nei casi in cui abbia l'obbligo di sottoporsi all'esame;

che, a parere di questo rimettente, la disciplina risultante dal combinato di tali disposizioni violerebbe gli artt. 2, 3, 25, 101, 102 e 111 Cost. perchè, tutelando sino all'estremo limite il diritto dell'imputato a non sottoporsi all'esame dibattimentale, anche quando abbia già reso al pubblico ministero dichiarazioni che costituiscono elemento indiziante a carico di altri soggetti, sacrifica irragionevolmente l'esercizio della giurisdizione, elude sostanzialmente il diritto di difesa dei chiamati in correità e il diritto al contraddittorio e viola i principi di uguaglianza, legalità, obbligatorietà dell'azione penale, funzione conoscitiva del processo;

che tutte le questioni sono state sollevate nel corso di giudizi di primo grado nei quali la difesa degli imputati non ha consentito alla utilizzazione delle dichiarazioni erga alios rese durante la fase delle indagini da coimputati che a dibattimento erano stati contumaci o avevano rifiutato di sottoporsi all'esame, mentre la sola questione sollevata dal Tribunale di Pistoia é relativa ad un giudizio nel corso del quale anche numerosi imputati di reato connesso, nei cui confronti si procedeva separatamente, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere;

che nei giudizi promossi con le ordinanze nn. 417, 418, 526, 535 e 567 del r.o. del 1998 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, all’atto di intervento relativo al giudizio di costituzionalità promosso con ordinanza n. 776 del r.o. del 1997 e deciso con la sentenza n. 361 del 1998;

che nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 427 del r.o. del 1998 é intervenuto il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, riproducendo integralmente l'atto depositato in relazione alla questione sollevata dal medesimo rimettente (r.o. n. 915 del 1997), decisa con la sentenza n. 361 del 1998;

Considerato che le ordinanze di rimessione, muovendo dal quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza del consenso degli altri imputati, delle dichiarazioni rese sul fatto altrui dal coimputato che in dibattimento rimanga contumace ovvero rifiuti di sottoporsi all’esame;

che a tale profilo si ricollega anche la censura del Tribunale di Milano relativa alla facoltà, accordata al coimputato dagli artt. 208 e 490 cod. proc. pen., di rimanere contumace o di rifiutare di sottoporsi all'esame;

che il Tribunale di Pistoia denuncia altresì il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza del consenso degli imputati, delle dichiarazioni rese da imputato in procedimento connesso che in dibattimento si avvalga della facoltà di non rispondere;

che i giudizi, attesa la sostanziale identità delle questioni, vanno riuniti;

che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa Corte, con la sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo oggetto delle censure, dichiarando la illegittimità costituzionale, in parte qua, degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo e 210 cod. proc. pen.;

che, per effetto di detta pronuncia, all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto di precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, si applica la disciplina prevista per l'esame dell'imputato in procedimento connesso dall'art. 210 cod. proc. pen.;

che, di conseguenza, al coimputato, che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri e che in dibattimento rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere in relazione a tali fatti, sono estesi l'obbligo di presentarsi al giudice e l'eventuale accompagnamento coattivo e, in relazione al regime delle letture, la disciplina dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen.;

che con la medesima sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale";

che con la citata sentenza la Corte aveva anche rilevato che, a seguito della modifica della disciplina a regime e della possibilità, così introdotta, di "recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza", doveva essere valutato dai rimettenti se le questioni concernenti la disciplina transitoria potessero considerarsi superate;

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della disciplina applicabile nei giudizi a quibus a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Pistoia, al Tribunale di Gorizia, al Tribunale di Torino, al Tribunale di Pescara, al Tribunale di Locri e al Tribunale di Milano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999

Presidente Renato Granata

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1999.