Ordinanza n. 82/99

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ORDINANZA N.82

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 513 e 514, come modificati dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, 490 e 503, comma 1, del codice di procedura penale e 6, comma 2, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 19 dicembre 1997 dal Tribunale di Pistoia, il 22 dicembre 1997 dal Tribunale di Savona, il 18 dicembre 1997 dal Tribunale di Alba, il 2 febbraio 1998 dal Tribunale di Novara, il 26 febbraio 1998 dal Tribunale di Avezzano, il 12 gennaio 1998 dal Tribunale di Bari, rispettivamente iscritte ai nn. 124, 128, 145, 316, 396 e 399 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 11, 19, 23 e 24, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Pistoia (r.o. n. 124 del 1998), il Tribunale di Savona (r.o. n. 128 del 1998), il Tribunale di Alba (r.o. n. 145 del 1998), il Tribunale di Novara (r.o. n. 316 del 1998), il Tribunale di Avezzano (r.o. n. 396 del 1998) e il Tribunale di Bari (r.o. n. 399 del 1998) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 27, primo comma, 101, secondo comma, 102, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 513, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nella parte in cui tale norma subordina al consenso degli altri imputati l'utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese dal coimputato contumace, assente o che rifiuti di sottoporsi all’esame;

che, in particolare, il Tribunale di Alba e il Tribunale di Avezzano impugnano, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 111, primo comma, e 112 della Costituzione, l’art. 513 cod. proc. pen. (genericamente il primo e con censura specifica dei commi 1 e 2 il secondo) unitamente all’art. 514 dello stesso codice;

  che in via pregiudiziale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 513, comma 1, cod. proc. pen. é sollevata dal Tribunale di Bari unitamente agli artt. 490 e 503, comma 1, cod. proc. pen., <<nella parte in cui prevedono che l’imputato che abbia reso al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare dichiarazioni direttamente o indirettamente indizianti a carico di coimputati nel medesimo procedimento possa non comparire dinanzi al giudice del dibattimento e comunque possa, relativamente a quei soggetti, rifiutarsi di sottoporsi all’esame>>, con conseguente inutilizzabilità, in mancanza del consenso degli altri imputati, delle dichiarazioni rese in precedenza, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, 102, primo comma, 111 e 112 della Costituzione;

che il Tribunale di Pistoia solleva altresì in via subordinata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 6, comma 2, della legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui esclude che le dichiarazioni rese dal coimputato sul fatto altrui possano essere utilizzate, a norma del comma 5 della medesima disposizione, nel caso in cui al momento dell’entrata in vigore della legge non sia stata ancora disposta la lettura dei verbali contenenti tali dichiarazioni;

che le questioni sono state sollevate nel corso di dibattimenti nei quali gli imputati, citati per la prima volta a comparire dopo l’entrata in vigore della legge per essere sottoposti ad esame, erano rimasti assenti al dibattimento o erano contumaci, e che i difensori degli altri imputati non hanno prestato consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese;

che a giudizio dei rimettenti l’art. 513, comma 1, cod. proc. pen. viola l'art. 3 Cost. per la irragionevole diversità della disciplina riservata alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dal coimputato contumace, assente o che rifiuti di sottoporsi all’esame rispetto alla disciplina dettata per le dichiarazioni testimoniali assunte nel corso delle indagini preliminari, per le quali é invece previsto il recupero in dibattimento nelle ipotesi regolate dagli artt. 500, comma 4, 511-bis, 512 e 512-bis cod. proc. pen. (r.o. nn. 124, 316 con riferimento anche alla situazione del testimone prossimo congiunto dell’imputato, 396 e 399 del 1998);

che il Tribunale di Savona ravvisa violazione dell’art. 3 Cost. anche sotto il profilo della disparità di trattamento tra imputati, in ragione del fatto che per differenti condotte processuali della difesa il giudice, utilizzando nei confronti di ciascun imputato un materiale probatorio diverso, può pervenire alla condanna dell’uno e alla assoluzione dell’altro, pur in presenza di una identica posizione processuale;

che ad avviso dei giudici a quibus l’art. 513, comma 1, cod. proc. pen., vietando in mancanza del consenso degli imputati l'utilizzabilità delle dichiarazioni assunte prima del dibattimento, deroga irragionevolmente al principio di non dispersione della prova e impedisce al giudice la piena conoscenza dei fatti del giudizio, così sacrificando l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine é quello della ricerca della verità, con conseguente lesione anche del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 27, primo comma, Cost. (r.o. n. 124 del 1998), con l’art. 112 Cost. (r.o. n. 128 del 1998), con gli artt. 3 e 112 Cost. (r.o. n. 145 del 1998);

che, secondo i rimettenti, l’art. 513, comma 1, cod. proc. pen., subordinando alla volontà delle parti l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese in precedenza da imputati nel medesimo procedimento, introduce un principio dispositivo in materia probatoria, in contrasto con i principi di legalità, esercizio dell’azione penale, funzione conoscitiva del processo e indefettibilità della giurisdizione, con violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost. (in riferimento: r.o. n. 128 del 1998 agli artt. 3, 25, 101 Cost.; r.o. n. 145 del 1998 all’art. 101, secondo comma, Cost.; r.o. n. 316 del 1998 agli artt. 25, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost.; r.o. n. 396 del 1998 agli artt. 3, 101, secondo comma, e 111, primo comma, Cost.; r.o. n. 399 del 1998 agli artt. 3, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111, primo comma, Cost.);

che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 124, 128, 145, 396, 399 del 1998 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, all’atto di intervento relativo alla questione di costituzionalità sollevata con ordinanza iscritta al n. 861 del r.o. del 1997, nonchè all’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che i rimettenti, muovendo dal quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza del consenso degli altri imputati, delle dichiarazioni rese sul fatto altrui dal coimputato contumace, assente o che rifiuti di sottoporsi all’esame;

che i giudizi, attesa l’analogia delle questioni, vanno riuniti;

che, successivamente alla emissione delle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul predetto quadro normativo, dichiarando la illegittimità costituzionale in parte qua, tra l’altro, degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo e 210 del codice di procedura penale;

che, per effetto di detta pronuncia, qualora il coimputato, che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, in dibattimento rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su tali fatti, si applica la disciplina degli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen., nonchè, in mancanza dell’accordo delle parti, il meccanismo delle contestazioni previsto dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.;

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, la questione sollevata sia tuttora rilevante;

che in particolare, con riferimento alle censure prospettate dal Tribunale di Bari (r.o. n. 399 del 1998) nei confronti degli artt. 490 e 503, comma 1, cod. proc. pen., con la sentenza indicata questa Corte, mediante il richiamo all’art. 210 cod. proc. pen., ha esteso la disciplina dell’accompagnamento coattivo all’imputato nel medesimo procedimento chiamato a rendere dichiarazioni sul fatto altrui;

che, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge n. 267 del 1997 sollevata dal Tribunale di Pistoia, questa Corte con la già menzionata sentenza n. 361 del 1998 ha disposto la restituzione degli atti relativi a questioni aventi ad oggetto la medesima normativa, invitando i giudici rimettenti a valutare se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, <<che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza>>;

che, per quanto concerne la questione di legittimità costituzionale dell’art. 514 cod. proc. pen. sollevata dal Tribunale di Avezzano e dal Tribunale di Alba, con la stessa sentenza questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di analoga questione, sul presupposto che <<l’art. 514 non ha autonomo contenuto normativo rispetto alle regole di utilizzazione probatoria delle dichiarazioni rese in precedenza>>;

che pertanto la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 514 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 111, primo comma, e 112 della Costituzione dal Tribunale di Avezzano e dal Tribunale di Alba con le ordinanze in epigrafe;

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Pistoia, al Tribunale di Savona, al Tribunale di Alba, al Tribunale di Novara, al Tribunale di Avezzano e al Tribunale di Bari in relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 513, comma 1, 490 e 503, comma 1, del codice di procedura penale e 6, comma 2, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.