Ordinanza n. 80/99

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ORDINANZA N.80

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6 legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), in relazione all'art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 12 dicembre 1997 dalla Corte d'assise di Messina, il 16 gennaio 1998 dal Tribunale di Genova, il 20 febbraio 1998 dal Tribunale di Roma, il 18 novembre 1997 dal Tribunale di Milano, il 26 marzo 1998 dal Tribunale di Trieste, il 6 aprile 1998 dal Tribunale di Pescara ed il 5 dicembre 1997 dal Tribunale di Roma, rispettivamente iscritte ai nn. 96, 221, 289, 321, 415, 416 e 544 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 14, 17, 19, 24 e 34, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che la Corte di assise di Messina, il Tribunale di Genova, il Tribunale di Roma, il Tribunale di Milano, il Tribunale di Trieste e il Tribunale di Pescara hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione;

che il Tribunale di Milano (r.o. n. 321 del 1998) censura, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., l’art. 6, commi 2 e 5, della legge n. 267 del 1997 nella parte in cui prevede la limitata efficacia probatoria delle dichiarazioni già acquisite ai sensi del previgente art. 513 cod. proc. pen., allorchè i soggetti di cui all'art. 210 cod. proc. pen., nuovamente citati su richiesta delle parti, si avvalgano ancora della facoltà di non rispondere;

che gli altri rimettenti rivolgono la censura alla mancata estensione della regola di valutazione probatoria contenuta nel comma 5 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997 alle dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. che si avvalgono in dibattimento della facoltà di non rispondere, al di fuori della situazione regolata dal comma 2 della medesima disposizione, e cioé nel caso in cui al momento dell’entrata in vigore della predetta legge non sia stata ancora disposta la lettura delle dichiarazioni rese in precedenza;

che la censura é prospettata in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101 e 112 Cost. dalla Corte di assise di Messina (r.o. n. 96 del 1998); in riferimento all'art. 3 Cost. dal Tribunale di Genova (r.o. n. 221 del 1998) e dal Tribunale di Roma (r.o. nn. 289 e 544 del 1998); in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 101, secondo comma, Cost. dal Tribunale di Trieste (r.o. n. 415 del 1998); in riferimento agli artt. 3, 101, 111 e 112 Cost. dal Tribunale di Pescara (r.o. n. 416 del 1998);

  che le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla Corte di assise di Messina, dal Tribunale di Genova, dal Tribunale di Roma, dal Tribunale di Trieste e dal Tribunale di Pescara nel corso di dibattimenti nei quali alcuni imputati in procedimenti connessi, citati per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, e le parti non avevano prestato il consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza;

che la questione di costituzionalità prospettata dal Tribunale di Milano é stata sollevata nel corso di un dibattimento nel quale erano già stati acquisiti, ai sensi del previgente art. 513 cod. proc. pen., i verbali delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari da numerosi imputati di reato connesso, che in dibattimento si erano avvalsi della facoltà di non rispondere e dei quali molti, nuovamente citati dopo l'entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si avvalevano ancora della facoltà di non rispondere;

  che secondo il Tribunale di Milano la disciplina impugnata contrasta con gli artt. 3 e 24 Cost. perchè determina una irragionevole diversità di trattamento, dipendente unicamente dal dato temporale nel quale si colloca l'esercizio della facoltà di non rispondere dell'imputato di reato connesso, in relazione sia alla regola di valutazione dettata dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., sia ai casi in cui le dichiarazioni acquisite ai sensi del previgente art. 513 cod. proc. pen. siano riferibili a soggetti dei quali non é stata chiesta nuova citazione ai sensi del comma 2 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997: con incidenza sul diritto di difesa dell'imputato, che può essere leso dalla diversità delle regole di valutazione probatoria applicabili a situazioni di identico contenuto processuale;

  che, ad avviso degli altri rimettenti, la disposizione transitoria, nella parte in cui non é applicabile a tutti i dibattimenti in corso, contrasta con l’art. 3 Cost. perchè determina una irragionevole disparità di trattamento tra imputati, limitando o escludendo nei loro confronti, in ragione dello stato del procedimento, l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. anteriormente all’entrata in vigore della novella e assunte nel rispetto della normativa allora vigente;

che la mancata estensione della regola di utilizzabilità, quantunque attenuata, prevista dall'art. 6, comma 5, della legge n. 267 del 1997, alle dichiarazioni in precedenza rese dall'imputato in procedimento connesso, che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere per la prima volta dopo l'entrata in vigore della legge, violerebbe altresì, sotto altro profilo, l'art. 3 Cost. nonchè gli artt. 2, 24, 97, 101, 111 e 112 Cost. perchè, comportando la irragionevole dispersione di elementi di prova legittimamente raccolti, sacrifica l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine é quello della ricerca della verità (r.o. nn. 96/1998, 415/1998 e 416/1998), con conseguente lesione dei principi di uguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale (r.o. nn. 96/1998 e 415/1998) e pregiudizio per il buon andamento della giustizia e l'efficienza del processo penale (r.o. n. 415/1998);

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che, pur nelle loro diverse articolazioni, le questioni di costituzionalità sono tutte riconducibili alla denuncia della irragionevolezza - e delle ricadute in termini di ingiustificata disparità di trattamento e di violazione dei principi della indefettibilità della giurisdizione, della obbligatorietà dell'azione penale e del giusto processo - di una disciplina che assoggetta la valutazione delle dichiarazioni acquisite a norma dell’art. 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ad un nuovo criterio di giudizio, ovvero ne subordina l’utilizzazione alle regole introdotte dalla legge n. 267 del 1997, in base al mero dato occasionale che al momento dell’entrata in vigore della legge le dichiarazioni fossero già state acquisite mediante lettura;

che i giudizi, attesa l'analogia delle questioni, vanno riuniti;

che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli atti relativi a questioni che avevano censurato la medesima normativa transitoria, ha affermato che doveva essere valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, "che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti alla Corte di assise di Messina, al Tribunale di Genova, al Tribunale di Roma, al Tribunale di Milano, al Tribunale di Trieste e al Tribunale di Pescara.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.