Ordinanza n. 79/99

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ORDINANZA N.79

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 513, commi 1 e 2, e 514 del codice di procedura penale, come modificati dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove) e dell'art. 6, comma 5, della stessa legge, promosso con ordinanza emessa il 27 novembre 1997 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di D.A. ed altri, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Torino ha sollevato, su eccezione del pubblico ministero, questione di legittimità costituzionale degli artt. 513, commi 1 e 2, e 514 del codice di procedura penale, come modificati dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nonchè dell’art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, secondo comma, 102, 111, primo comma, e 112 della Costituzione;

che, in ordine alla rilevanza della questione, nell’ordinanza si precisa che alcuni imputati in procedimenti connessi, citati per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si sono avvalsi in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che il Tribunale motiva la non manifesta infondatezza della questione richiamando l’ordinanza del Tribunale di Milano del 24 ottobre 1997 (iscritta al n. 341 del r.o. del 1998), allegata in copia all’ordinanza di rimessione <<come parte integrante della stessa>>;

  che, secondo il rimettente, l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. per la irragionevole diversità della disciplina riservata alle dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui dall'imputato in procedimento connesso che in dibattimento si avvale della facoltà di non rispondere rispetto alla disciplina dettata per <<identiche situazioni di imprevedibile irripetibilità di atti dello stesso tipo>>, quali quelle: dell’imputato in procedimento connesso di cui non é possibile ottenere la presenza per fatti o circostanze imprevedibili (art. 513, comma 2, prima parte, cod. proc. pen.); dell’imputato in procedimento connesso che decide di sottoporsi ad esame ma rifiuti di rispondere a singole domande, rendendo così possibile il ricorso al meccanismo delle contestazioni ex art. 500 cod. proc. pen.; del prossimo congiunto dell’imputato che si avvale in dibattimento della facoltà di astensione;

  che, ad avviso del giudice a quo, l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. viola, sotto altro profilo, l’art.3, nonchè gli artt. 101, 102, primo comma, 111 e 112 Cost. perchè, rimettendo alla volontà delle parti l’utilizzabilità delle dichiarazioni in precedenza rese da imputati in procedimenti connessi che in dibattimento si avvalgano della facoltà di non rispondere, introduce un <<irragionevole ostacolo al razionale esercizio dell’azione penale>> e consente alle parti di sottrarre la prova alla <<razionale e motivata valutazione del giudice, in tal modo impedendogli di formarsi un convincimento che si avvicini il più possibile alla reale verificazione dei fatti e quindi impedendo la pronuncia di una giusta decisione>>, con conseguente violazione anche del principio della soggezione del giudice solo alla legge;

  che il rimettente denuncia ancora violazione dell’art. 24, primo e secondo comma, Cost. sotto due diversi ma complementari profili: a) per lesione del diritto di difesa della parte civile, poichè la devoluzione agli imputati della facoltà di impedire l’utilizzo di elementi di prova divenuti imprevedibilmente irripetibili danneggia il diritto di veder tutelati i propri interessi privatistici; b) per lesione del diritto di difesa degli imputati, nell’ipotesi inversa in cui sia la parte civile ad opporsi alla lettura delle dichiarazioni rese da imputati in procedimenti connessi che si avvalgano in dibattimento della facoltà di non rispondere;

  che nell’ordinanza si censurano inoltre, in riferimento ai medesimi parametri, il comma 1 dell’art. 513 cod. proc. pen. e, unitamente al comma 2 della medesima disposizione, l’art. 514 cod. proc. pen., nonchè l’art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267, recante la disciplina transitoria delle nuove regole di acquisizione e valutazione della prova introdotte dalla novella; 

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata e riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che il rimettente, muovendo dal quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, sottopone a censura il regime di utilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che successivamente alla emissione dell’ordinanza questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 267 del 1997, dichiarando la illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 513, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale <<nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale>>;

che pertanto occorre restituire gli atti al giudice rimettente affinchè verifichi se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, la questione sollevata sia tuttora rilevante;

che, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 514 cod. proc. pen., con la sentenza richiamata questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di analoga questione sul presupposto che <<l’art. 514 non ha autonomo contenuto normativo rispetto alle regole di utilizzazione probatoria delle dichiarazioni rese in precedenza>>;

che pertanto la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 514 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, secondo comma, 102, 111, primo comma, e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza in epigrafe;

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Torino in relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 513, commi 1 e 2, del codice di procedura penale e 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.