Ordinanza n. 78/99

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ORDINANZA N.78

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 513, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n, 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove) e 6, commi 2 e 5, della stessa legge, promossi con ordinanze emesse il 22 ottobre 1997 dal Tribunale di Pordenone, il 15 gennaio 1998 dal Tribunale di Roma e il 13 marzo 1998 dal Tribunale di Modena, rispettivamente iscritte ai nn. 32, 349 e 423 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6, 21 e 24, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di costituzione di R.R. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Pordenone, il Tribunale di Modena e il Tribunale di Roma hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove) e dell’art. 6 della medesima legge, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101 e 112 della Costituzione;

che il Tribunale di Pordenone (r.o. n. 32 del 1998) censura l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui subordina all’accordo delle parti l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da imputati in procedimento connesso che si avvalgano in dibattimento della facoltà di non rispondere, in riferimento agli artt. 2, 3, 101 e 112 Cost.;

che l’art. 6, commi 2 e 5, della legge n. 267 del 1997 é censurato dal medesimo rimettente nella parte in cui, per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, prevede che - ove le persone indicate nell'art. 513 cod. proc. pen., già esaminate prima della novella, abbiano esercitato la facoltà di non rispondere e poi, nuovamente citate, abbiano ancora esercitato tale facoltà - le dichiarazioni in precedenza rese possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati solo se la loro attendibilità é confermata da elementi di prova che non siano stati acquisiti ai sensi del previgente art. 513 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 Cost.;

che in particolare, ad avviso del Tribunale di Pordenone, l'art. 513 cod. proc. pen. violerebbe: l'art. 3 Cost., per la irragionevole disparità di trattamento rispetto alle situazioni, sostanzialmente analoghe, in cui gli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari siano irripetibili ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., ovvero quando gli imputati in procedimento connesso ritrattino o rifiutino di rispondere a singole domande; gli artt. 2, 101 e 112 Cost., perchè consente alle parti di disporre della prova, in contrasto con i principi della soggezione del giudice soltanto alla legge e della obbligatorietà dell'azione penale, nonchè con l'esigenza di accertamento del fatto storico finalizzata ad una giusta decisione;

che l'art. 6, commi 2 e 5, della legge n. 267 del 1997 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 112 Cost. per la irragionevole disparità di trattamento determinata dalla regola di valutazione introdotta con la disciplina transitoria in relazione all'ipotesi in cui gli altri elementi di prova che devono fungere da riscontro siano irripetibili ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. e perchè introduce un criterio di valutazione più rigoroso rispetto a quello previsto dall’art. 192 cod. proc. pen. per le dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell'art. 513 cod. proc. pen. citati per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge: così determinando una disparità di trattamento fra situazioni analoghe, con pregiudizio della posizione delle parti;

che la questione é stata sollevata dal Tribunale di Pordenone nel corso di un dibattimento nel quale erano state acquisite a norma dell’art. 513 cod. proc. pen. previgente dichiarazioni rese durante le indagini preliminari da alcuni imputati in procedimento connesso che, citati a comparire prima dell’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, e che, nuovamente citati ai sensi del comma 2 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997, si avvalevano ancora della facoltà di non rispondere;

che il Tribunale di Roma (r.o. n. 349 del 1998) e il Tribunale di Modena (r.o. n. 423 del 1998) censurano gli artt. 513, comma 2, cod. proc. pen. e 6, commi 2 e 5, della legge n. 267 del 1997 in relazione alla mancata estensione della regola di valutazione probatoria contenuta nel comma 5 dell’art. 6 della medesima legge alle dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. che si avvalgono in dibattimento della facoltà di non rispondere al di fuori della situazione regolata dal comma 2 della medesima disposizione, e cioé nel caso in cui al momento dell’entrata in vigore della predetta legge non sia stata ancora disposta la lettura delle dichiarazioni rese in precedenza, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 Cost.;

che secondo i rimettenti la norma impugnata contrasta con gli artt. 3 (r.o. nn. 349/1998 e 423/1998), 24 e 112 (r.o. n. 423/1998) Cost., perchè, precludendo la lettura di dichiarazioni legittimamente acquisite quando non era possibile prevederne la successiva inutilizzabilità, contrasta sia con il principio di ragionevolezza, determinando una disparità di trattamento tra imputati in ragione di fattori meramente temporali quali lo stato del procedimento, sia con il principio della non dispersione degli elementi di prova non compiutamente o non genuinamente acquisibili con il metodo orale, così eludendo il fine, proprio del processo penale, della ricerca della verità;

che la questione é stata proposta nel corso di dibattimenti iniziati prima dell'entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, nei quali alcuni imputati di reati connessi, sentiti per la prima volta dopo l'entrata in vigore della legge, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere e la difesa si era opposta alla acquisizione dei verbali delle precedenti dichiarazioni;

che in tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998;

che nel giudizio relativo alla questione sollevata dal Tribunale di Roma é intervenuto l’imputato R.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Franco Coppi e dall’Avv. Massimo Biffa, i quali, con atto depositato il 16 giugno 1998, hanno concluso per la manifesta infondatezza della questione.

Considerato che il Tribunale di Modena e il Tribunale di Roma, pur impugnando formalmente anche la normativa a regime, sollevano questioni che sostanzialmente coinvolgono la sola disposizione transitoria, censurata nella parte in cui consente la immediata applicabilità nei giudizi in corso dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 267 del 1997, fuori dalle ipotesi previste dal comma 2 dell'art. 6 della medesima legge;

che, pur nella loro diversa articolazione, tutte le censure di illegittimità costituzionale relative alla disposizione transitoria sono riconducibili alla denuncia della irragionevolezza di una disciplina che assoggetta la valutazione delle dichiarazioni acquisite a norma dell’art. 513 cod. proc. pen. ad un nuovo criterio di giudizio, ovvero ne subordina l’utilizzazione alle regole introdotte dalla legge n. 267 del 1997, in base al mero dato occasionale che al momento dell’entrata in vigore della legge le dichiarazioni fossero già state acquisite mediante lettura;

che tale disciplina determinerebbe ingiustificate disparità di trattamento e la violazione dei principi della indefettibilità della giurisdizione, della obbligatorietà dell'azione penale e del giusto processo;

che la censura del Tribunale di Pordenone, prospettata con riferimento al quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 267 del 1997, concerne altresì il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che i giudizi, attesa l'analogia delle questioni, vanno riuniti;

che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo modificato dalla legge n. 267 del 1997, dichiarando la illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 513, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale", ed affermando, in relazione a questioni coinvolgenti le disposizioni transitorie, che doveva essere valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, "che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Pordenone, al Tribunale di Roma, al Tribunale di Modena.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.