Sentenza n. 65/99

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SENTENZA N.65

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera a), della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 16 luglio 1997 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sul ricorso proposto da Ancona Salvatore contro il Comune di Ostuni ed altro, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale dell'anno 1998.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 novembre 1998 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio promosso da Ancona Salvatore, per ottenere l’annullamento della delibera comunale (n. 810 del 12 giugno 1997) con la quale era stata revocata la sua assunzione alle dipendenze del Comune di Ostuni, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza in data 16 luglio 1997 (r.o. n. 54 del 1998) - emessa in sede cautelare, previo accoglimento, in via interinale e provvisoria, dell’istanza di sospensione dell’esecuzione dell'atto - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, lettera a), della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), per contrasto con gli artt. 3 e 4 della Costituzione.

Premette il giudice a quo che il menzionato Comune aveva provveduto, a seguito di richiesta di avviamento a selezione rivolta al competente Ufficio circoscrizionale del lavoro e della massima occupazione, all’assunzione (provvisoria e con salvezza dell’accertamento del possesso dei richiesti requisiti) del ricorrente (delibera n. 197 dell’11 febbraio 1997).

Dopo la stipula del contratto di lavoro, l’Ufficio del lavoro aveva comunicato al Comune (con nota del 3 aprile 1997) l'avvenuta cancellazione dell'Ancona dalla prima classe delle liste di collocamento nonchè la revoca dell'avviamento a selezione, essendo l'interessato risultato titolare di partita I.V.A., con iscrizione alla C.C.I.A.A. sin dall'11 dicembre 1986, ed avendo svolto attività di rappresentante di commercio nel periodo 2 gennaio 1989/16 maggio 1996, "con regolare presentazione delle dichiarazioni II.DD. e I.V.A.". Di qui la conseguente revoca anche dell’assunzione in servizio, oggetto di impugnazione, insieme alla nota dell'Ufficio del lavoro, innanzi al rimettente.

2.- Il giudice a quo, nel rammentare che l’art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 56 del 1987, prevede l'iscrizione nella prima classe delle liste di collocamento, fra gli altri, anche di coloro che siano "...occupati a tempo parziale con orario non superiore a 20 ore settimanali e che aspirino ad una diversa occupazione...", esclude che, in detta previsione, possano farsi rientrare, in via interpretativa, anche i lavoratori autonomi, sia pure dotati di reddito o volume di affari modesti. Una siffatta scelta ermeneutica richiederebbe, secondo l'ordinanza, "una attività di inammissibile integrazione del dato normativo", ponendosi "in chiaro e stridente contrasto con il dato letterale della norma", che si riferisce, in modo univoco, "a posizioni di lavoro dipendente".

Di qui la prospettata violazione, in primo luogo, del "principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, in relazione al diverso ed ingiustificato trattamento riservato ai lavoratori autonomi, occupati solo parzialmente, rispetto ai lavoratori dipendenti nelle medesime condizioni"; e, in secondo luogo, dell’art. 4 della Costituzione, apparendo la disposizione "ingiustamente preclusiva", per il lavoratore non dipendente occupato a tempo parziale, "della facoltà di scelta e di cambiamento dell’attività lavorativa secondo le proprie possibilità, le proprie scelte ed aspirazioni".

3.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per sentir dichiarare "inammissibile e comunque infondata" la sollevata questione di costituzionalità.

Secondo la difesa erariale non sussiste, anzitutto, la denunciata "violazione dei canoni di eguaglianza formale e ragionevolezza", posto che la legge n. 56 del 1987 regolamenta l’organizzazione del mercato del lavoro con esclusivo riguardo al "lavoro salariato", dettando una disciplina del tutto coerente con siffatto obiettivo.

Rilevato poi che "il lavoratore autonomo, a tempo pieno o a tempo parziale, non costituisce nè economicamente nè socialmente <<offerta di lavoro in atto>>, ma mera potenzialità di una mobilità civile tra diverse forme di occupazione", l'interveniente osserva che "l’iscrizione in classi dei lavoratori nelle liste di collocamento risponde all’esigenza di dare priorità alle diverse condizioni di bisogno di lavoro, comparabili solo per posizioni omogenee dei lavoratori dipendenti", tra le quali va ricompresa la posizione del lavoratore occupato a tempo parziale.

Nè può essere assecondabile il tentativo del giudice a quo di introdurre, nel mercato del lavoro, la figura del lavoratore autonomo a tempo parziale, attraverso l’utilizzo di un parametro, quello del reddito, "la cui entità deriva da una pluralità di elementi soggettivi ed oggettivi di difficile codificabilità ed accertamento".

Secondo l'Avvocatura, non va, infine, trascurata - quale "profilo che afferisce alla stessa ammissibilità della questione sollevata" - la circostanza dello svolgimento, da parte del ricorrente nel giudizio a quo, di attività di rappresentante di commercio, come tale presupponente, in base alla legge 3 maggio 1985, n. 204, l’iscrizione nel ruolo degli agenti, alla quale consegue "l’incompatibilità con la qualifica di lavoratore dipendente, cui é propedeutica l’iscrizione nelle liste di collocamento".

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, lettera a), della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), il quale prevede che possano essere inclusi, nella "1a classe" degli aspiranti al collocamento, oltre ai "lavoratori disoccupati o in cerca di prima occupazione", quelli "occupati a tempo parziale con orario non superiore a venti ore settimanali e che aspirino ad una diversa occupazione", consentendo, inoltre, la conservazione dell'iscrizione in favore anche dei "lavoratori avviati con contratti a tempo determinato, la cui durata complessiva non superi i quattro mesi nell’anno solare".

2.- Il giudice a quo, nell'escludere che in tale disposizione possano ricomprendersi anche i lavoratori autonomi con occupazione a tempo parziale, reputa la stessa in contrasto:

- con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, per l’ingiustificato trattamento riservato a questi ultimi "rispetto ai lavoratori dipendenti nelle medesime condizioni";

- con l’art. 4 della Costituzione, per la preclusione che i medesimi "ingiustamente" subiscono in ordine alla "facoltà di scelta e di cambiamento dell’attività lavorativa secondo le proprie possibilità, le proprie scelte ed aspirazioni".

3.- Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale deduce - quale "profilo che afferisce alla stessa ammissibilità della questione" - lo svolgimento da parte dell'interessato dell'attività di rappresentante di commercio, presupponente come tale l'iscrizione nel ruolo degli agenti previsto dalla legge 3 maggio 1985, n. 204, incompatibile con "la qualifica di lavoratore dipendente, cui é propedeutica l'iscrizione nelle liste di collocamento".

Tale eccezione, da riferire, con ogni evidenza, pur in mancanza di una puntuale esplicitazione, ad un presunto difetto di rilevanza della questione, non é fondata. Come la Corte ha avuto già occasione di affermare, il nesso di pregiudizialità richiesto, al fine di rendere rilevante (e quindi ammissibile) la questione incidentale di legittimità costituzionale, deve consistere in un rapporto di strumentalità necessaria fra la risoluzione della stessa e la decisione del giudizio principale. La sollevata questione, investendo la disciplina applicabile alla prima delle classi in cui possono essere iscritti gli aspiranti al collocamento, appare certamente pregiudiziale in ordine alla decisione che il rimettente é chiamato a rendere sulla pretesa del ricorrente a mantenere il suo rapporto di impiego alle dipendenze del Comune di Ostuni. Fuori dall'ambito del giudizio resta, invece, il problema di compatibilità posto dall'Avvocatura dello Stato, che non appare atto ad influire in nessun caso sul vaglio di rilevanza concernente la questione portata all'esame della Corte.

4.- Nel merito, la questione non é fondata, nei termini in appresso precisati.

5.- Onde valutarne la portata, occorre ricordare che uno dei principi fondamentali sul quale il sistema del collocamento é venuto tradizionalmente a fondarsi é quello dell'ordine di priorità che va seguito nell'avviamento al lavoro, tenendo conto delle condizioni soggettive degli aspiranti.

A tal fine l'art. 10 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, modificando la previsione già contenuta nell'art. 10, secondo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264, prevede che gli iscritti nelle liste di collocamento siano suddivisi in tre classi, nelle quali vanno inseriti - rispettivamente e per quanto interessa - i lavoratori disoccupati o con occupazione a tempo parziale, i lavoratori occupati che aspirino ad altra occupazione, i titolari di trattamenti pensionistici. Tali classi, per espresso dettato legislativo, "costituiscono ordine di precedenza nell'avviamento al lavoro", a fronte delle richieste di personale formulate in via numerica dai datori di lavoro.

Trattasi di una disciplina che - pressochè superata per i rapporti di lavoro privato, a seguito di riforme che hanno comportato (a partire dall'art. 25 della legge 23 luglio 1991, n. 223) la quasi completa generalizzazione del sistema della assunzione diretta e, più di recente, l'eliminazione del monopolio pubblico nella gestione del servizio (decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469) - permane, invece, per i rapporti quali quello in contestazione innanzi al giudice a quo, e cioé per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, essendo queste ultime tenute a reclutare, tuttora, i "lavoratori da inquadrare nei livelli retributivi-funzionali per i quali non é richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo" attraverso selezioni effettuate fra gli iscritti nelle liste di collocamento (art. 16 della legge n. 56 del 1987, e successive disposizioni modificative ed integrative).

Dette selezioni (come risulta anche dall'art. 23 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, cui rinvia l'art. 45, comma 11, del decreto legislativo n. 80 del 1998) avvengono fra aspiranti avviati numericamente, "secondo l’ordine di graduatoria risultante dalle liste delle sezioni circoscrizionali per l’impiego territorialmente competenti".

6.- Il rimettente muove dall'assunto che il comma 1, lettera a), dell'art. 10 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nell'annoverare nella prima classe degli aspiranti, oltre ai disoccupati, anche i lavoratori a tempo parziale, operi un "univoco ed esclusivo riferimento a posizioni di lavoro dipendente". Dubita, perciò, della costituzionalità della norma, ritenendo che la situazione del lavoratore autonomo che svolga attività di carattere marginale sia altrettanto meritevole di considerazione, alla luce degli artt. 3 e 4 della Costituzione, quanto quella di colui che svolge attività lavorativa subordinata a tempo parziale.

7.- I parametri così evocati inducono la Corte a rammentare come obiettivo precipuo della disciplina del collocamento, in base alle modalità tuttora in vigore per le amministrazioni pubbliche, sia quello dell'equa ripartizione delle insufficienti opportunità di lavoro, nel rispetto del principio di eguaglianza e secondo l'ordine di priorità discrezionalmente stabilito dal legislatore.

Un siffatto obiettivo, che, come chiarito già da tempo dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 248 del 1986), si risolve nell'attuare, senza irragionevoli discriminazioni (art. 3 della Costituzione), un'efficace promozione della domanda ed offerta di lavoro, a tutela dal rischio sociale della disoccupazione (art. 4 della Costituzione), va ovviamente rapportato agli ambiti (non suscettibili di cristallizzazione, a fronte dei mutamenti, sempre più rapidi, della società civile in rapporto all’evoluzione, complessa e diversificata, delle condizioni economico- sociali) di effettiva marginalizzazione dal lavoro, per la cui individuazione non può non risultare indifferente - come sostanzialmente avverte anche il giudice a quo - la qualificazione giuridica dell'attività. Ciò comporta che, proprio per non infrangere i principi di cui si é fatto cenno, il diritto ad essere annoverati nella classe avente precedenza nell'avviamento al lavoro debba risultare garantito ai lavoratori autonomi non meno che a quelli subordinati.

8.- Quanto sopra non implica, tuttavia, la necessità di pervenire alla declaratoria di incostituzionalità sollecitata dal rimettente, avendo la Corte più volte precisato che, a fronte di più significati possibili della stessa disposizione, é compito dell'interprete escludere quello che difetti di coerenza rispetto ai dettami della Costituzione, giacchè "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perchè é possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perchè é impossibile darne interpretazioni costituzionali" (così, tra le altre, sentenza n. 356 del 1996).

Alla luce di tali canoni, la Corte ritiene che sia ben possibile una lettura della disposizione tale da ricomprendere anche i lavoratori autonomi occupati in attività lavorativa "a tempo parziale" (o meglio, il cui svolgimento abbia assunto i caratteri della occasionalità o marginalità), alla stregua di un'esigenza già avvertita in taluni precedenti della stessa giurisprudenza amministrativa, sia pure in un quadro di soluzioni diverse da quella di seguito indicata.

9.- A sostegno di tali conclusioni, può osservarsi che il criterio selettivo che fornisce primaria giustificazione e fondamento al sistema della distinzione in classi nella disciplina del collocamento é dato, essenzialmente, dalla contrapposizione tra stato di disoccupazione e stato di occupazione, entrambi concetti neutri rispetto alla qualificazione giuridica dell'attività lavorativa, tanto che, nella stessa prassi amministrativa (cfr., in particolare, la circolare del Ministro del lavoro e della previdenza sociale n. 74 del 21 luglio 1988), non si dubita - sul presupposto evidentemente che le relative attività valgano a concretare, ai fini del collocamento, una situazione definibile come di occupazione - della inclusione dei lavoratori autonomi nel novero di quelli iscrivibili nella seconda classe, e cioé in quella dei lavoratori occupati che aspirino a diversa occupazione.

Se, dunque, la distinzione in classi é segnata, nel dettato legislativo, dalla contrapposizione, nei termini appena rilevati, tra disoccupazione ed occupazione, non sarebbe giustificato circoscrivere le ipotesi di occupazione "non piena", in favore delle quali il legislatore ha ritenuto di apprestare la più favorevole tutela corrispondente all'iscrizione nella prima classe, a quelle che si correlano esclusivamente a posizioni di lavoro subordinato.

La interpretazione della disposizione in esame, secondo canoni che ne assicurino la conformità a Costituzione, porta perciò ragionevolmente a reputare inclusi nella prima classe delle liste di collocamento non solo i lavoratori con rapporto di subordinazione a tempo parziale, ma anche quelli autonomi, la cui attività attinga alla medesima ratio del disposto di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 10 della legge n. 56 del 1987: e cioé quella di salvaguardare la posizione di coloro che svolgono un lavoro di modesta entità, cioé un lavoro di carattere occasionale, saltuario e, in definitiva, marginale.

Quanto alla corrispondente situazione, non va, invero, sottaciuto che il parametro utilizzato dalla norma, e cioé quello delle "venti ore settimanali", richiama l'idea di un collegamento con la prestazione di lavoro subordinato, anche se il dato temporale non costituisce, come é noto, alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, elemento direttamente qualificatorio del lavoro dipendente, bensì indice soltanto sussidiario ai fini della verifica del relativo tipo contrattuale. Peraltro, l'inidoneità del suddetto parametro ad identificare la prestazione lavorativa autonoma qualificabile come marginale non impedisce di rinvenire nell'ordinamento, ancorchè in un diverso ambito di disciplina, quale quello dei lavori socialmente utili, criteri di riferimento che possono reputarsi espressivi di più generali principi e che, proprio per questo, appaiono atti a definire il concetto di attività autonoma a tempo parziale.

Nella disciplina da ultimo ricordata, le attività di lavoro autonomo "occasionale" vengono individuate in "quelle svolte per il periodo massimo previsto per il mantenimento dell’iscrizione nella prima classe delle liste di collocamento e nei limiti di lire 7.200.000 lorde percepite, nell’arco temporale di svolgimento del progetto" (art. 8, comma 4, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468). Da tale disposizione é dato, dunque, desumere criteri valutativi in ordine alle prestazioni autonome di modesta entità, tra i quali appare segnatamente dirimente, per quanto qui interessa, il limite reddituale, da riferirsi all’anno solare (secondo quella che, nella normalità dei casi, é la durata dei progetti; art. 1, comma 2, del citato decreto legislativo); limite da potersi congruamente apprezzare anche in modo disgiunto ed autonomo dall’altro dato di riferimento contenuto nel menzionato comma 4 dell’art. 8 del decreto legislativo n. 468 del 1997, proprio in virtù della peculiare funzione di mero criterio parametrico che la disposizione assume in relazione alla fattispecie all’esame della Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, lettera a), della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 12 marzo 1999.