Sentenza n. 50/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.50

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, notificato il 15 luglio 1998, depositato in Cancelleria il 16 settembre 1998, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera del Senato della Repubblica con la quale é stata dichiarata l'insindacabilità delle opinioni espresse dal sen. Giuseppe Arlacchi nei confronti di Corrado Carnevale ed iscritto al n. 27 del registro conflitti 1998.

Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico del senatore Giuseppe Arlacchi, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, con ordinanza del 16 febbraio 1998, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione del 2 luglio 1997, che ha ritenuto che il fatto, per il quale é in corso detto procedimento penale, concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il giudice ricorrente espone che il senatore Arlacchi é imputato del delitto di cui agli articoli 595, commi 1 e 3, del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n 47 (Disposizioni sulla stampa), per avere offeso la reputazione del dottor Corrado Carnevale sia nel contesto di un articolo apparso nell’edizione del 14 maggio 1995 del quotidiano ² La Repubblica² , sia nel commento che lo stesso giornale, nell’edizione del successivo 17 maggio, ha pubblicato unitamente ad una lettera di smentita inviata dallo stesso dottor Carnevale.          Nel corso del procedimento, ritenendo di non potere accogliere l’eccezione sollevata dall’imputato, ai sensi dell’allora vigente decreto-legge 10 maggio 1996, n. 253 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione), il giudice ha trasmesso gli atti al Senato della Repubblica.        

Il Senato, nella seduta del 2 luglio 1997, ha deliberato che il fatto per il quale é in corso il procedimento concerne opinioni espresse da un membro del parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, e ricade pertanto nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma della Costituzione. Ed é appunto contro questa delibera che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione, chiedendo che la Corte costituzionale stabilisca che non spetta al Senato ² dichiarare l’insindacabilità dei fatti ascritti al Senatore Arlacchi ... poichè essi non ricadono nella ipotesi prevista dall’art. 68 primo comma della Costituzione² . Il giudice premette che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la riferibilità dell’atto alle funzioni parlamentari costituisce il discrimine fra l’insieme delle dichiarazioni, giudizi e critiche ricorrenti nell’attività politica dei parlamentari e le opinioni che godono della prerogativa attribuita dall’art. 68 della Costituzione, e che la funzione parlamentare, pur svolgendosi per sua natura in forma anche libera, non può coincidere con l’intera attività politica del membro delle Camere. Sulla base di detti principi eccepisce che ² i fatti contestati all’imputato non possono in alcun modo essere qualificati come opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari² , dato che, nel caso di specie, il Sen. Arlacchi ² ha espresso giudizi circoscritti ad una persona, con attribuzione di fatti determinati, oggettivamente non riferibili ad alcun atto parlamentare neppure nell’accezione più ampia² .

Secondo il ricorrente, infatti, le dichiarazioni incriminate costituiscono puramente la replica ad un’intervista rilasciata dal dottor Carnevale al quotidiano ² La Repubblica² , con la conseguenza che il senatore Arlacchi avrebbe soltanto inteso ² reagire ad una altrui condotta ritenuta diffamatoria e non compiere un atto esplicativo delle proprie funzioni² . Trattandosi quindi di una polemica strettamente personale, conclude il giudice per le indagini preliminari, elevarla ² alla dignità di fatto strumentalmente collegato alle funzioni parlamentari appare un evidente travalicamento dei confini segnati dall’art. 68 della Costituzione² .

2. - La Corte, con ordinanza n. 250 del 30 giugno 1998, ha ritenuto ammissibile il conflitto, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione alla predetta deliberazione del Senato del 2 luglio 1997, fissando per la notificazione del ricorso il termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

Il ricorso é stato notificato al Senato il 15 luglio 1998 e depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 16 settembre successivo.

3. - Si é costituito il Senato della Repubblica, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

Ad avviso della parte resistente difetta, sotto il profilo oggettivo, la materia del conflitto, in quanto la prerogativa di cui all’art. 68 non può non implicare un ² esclusivo potere di accertamento della sussistenza dei presupposti di insindacabilità da parte dell’organo a tutela del quale la prerogativa é disposta² , con la conseguenza che ² l’esercizio della competenza da parte della camera di appartenenza esclude la sussistenza di una titolarità del giudice all’esercizio della funzione giurisdizionale² . Inoltre, neppure può sostenersi che le valutazioni del Senato sono arbitrarie, poichè ambedue gli articoli, oggetto dell’imputazione penale, richiamano il contenuto di atti processuali depositati presso la Commissione parlamentare antimafia, di cui il senatore Arlacchi era all’epoca vice presidente. Il collegamento tra le dichiarazioni riportate nei due articoli e l’esercizio delle funzioni di parlamentare é quindi, secondo il resistente, ² agevole e non arbitrario² , proprio perchè dette dichiarazioni sono state rese dal senatore Arlacchi non per motivi di carattere personale, ² bensì per reagire, nella propria qualità di vice presidente della Commissione antimafia ad attacchi e critiche formulate da soggetti interessati dall’indagine parlamentare² .

La dichiarazione di insindacabilità, conclude la difesa del Senato, ² costituisce, nel caso di specie, un tipico strumento di difesa della libertà di giudizio ed azione investigativa di un membro della Commissione antimafia, in una fase delicatissima di accertamento delle responsabilità in quel settore particolare di criminalitಠ.

Considerato in diritto

1. - E’ stato sollevato conflitto di attribuzione, da parte del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, nei confronti del Senato della Repubblica in ordine alla deliberazione con cui il Senato ha ritenuto che le opinioni, per le quali il senatore Giuseppe Arlacchi é stato sottoposto a procedimento penale, costituiscono esercizio delle funzioni di parlamentare e sono quindi insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione. Secondo il giudice ricorrente, con la predetta deliberazione il Senato ha ricondotto nella sfera delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari una condotta che é ad esse estranea, in quanto aspetto di una polemica strettamente personale, ed operando in tal modo ha leso le prerogative dell’autorità giudiziaria.

2. - Preliminarmente va rilevata l'improcedibilità del giudizio.

Le due fasi nelle quali si articola il giudizio per conflitto di attribuzione sono entrambe rimesse all’iniziativa della parte interessata. Nel caso di specie, all’esito della prima fase, che ha ad oggetto la sommaria delibazione sull’ammissibilità del conflitto, l’autorità giudiziaria ricorrente ha notificato tempestivamente il 15 luglio 1998 al Senato della Repubblica il ricorso unitamente all’ordinanza che lo ha dichiarato ammissibile, ma ha depositato presso la cancelleria di questa Corte il ricorso e l’ordinanza, con la prova della eseguita notificazione, soltanto il 16 settembre successivo. Il deposito é stato quindi effettuato quando era già scaduto il termine fissato dall’art. 26, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ossia quello di venti giorni dall’ultima notificazione.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, data l’autonomia delle due fasi del giudizio, il deposito del ricorso nel termine da ultimo indicato costituisce un adempimento necessario perchè si possa aprire la seconda fase del conflitto, relativa alla decisione nel merito. In questo quadro, tale termine é, pertanto, considerato perentorio, in quanto da esso decorre l’intera catena degli ulteriori termini fissati per la prosecuzione del giudizio (ex plurimis, sentenze n. 35 del 1999, n. 342 e n. 274 del 1998; sent. n. 449 del 1997) e ad esso non é neppure applicabile la sospensione feriale ex art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, poichè quest’ultima non opera in riferimento ai giudizi davanti la Corte costituzionale (ord. n. 126 del 1997; ord. n. 386 del 1985; ord. n. 109 del 1975).

Non essendo stato rispettato il termine perentorio per il deposito, difetta dunque un adempimento necessario perchè il giudizio possa proseguire.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Giudice per le indagine preliminari presso il Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 24 febbraio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1999.