Ordinanza n. 38/99

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ORDINANZA N.38

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 25 novembre 1997 dal Tribunale di Macerata, il 20 novenbre 1997 dal Tribunale di Savona, l'11 dicembre 1997 dal Tribunale di Macerata, il 9 dicembre 1997 dal Tribunale di Trieste ed il 28 novembre 1997 dal Tribunale di Reggio Emilia, rispettivamente iscritte ai nn. 9, 35, 56, 94 e 152 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn.5, 6, 7, 9 e 11, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Macerata (r.o. nn. 9 e 56 del 1998), il Tribunale di Savona (r.o. n. 35 del 1998), il Tribunale di Trieste (r.o. n. 94 del 1998) e il Tribunale di Reggio Emilia (r.o. n. 152 del 1998) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 97, 101, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove);

che, in particolare, il Tribunale di Macerata (r.o. nn. 9 e 56 del 1998) e il Tribunale di Trieste (r.o. n. 94 del 1998) censurano, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 112 Cost., la mancata estensione della regola di utilizzabilità contenuta nel comma 5 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997 alle dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 del codice di procedura penale che si avvalgono in dibattimento della facoltà di non rispondere, anche al di fuori della situazione regolata dal comma 2 della medesima disposizione (di cui viene fatta impugnazione specifica), ovvero nel caso in cui al momento dell’entrata in vigore della novella non sia stata ancora disposta la lettura delle dichiarazioni rese in precedenza;

che il Tribunale di Savona (r.o. n. 35 del 1998) impugna, in riferimento agli artt. 3, 25, 101 e 112 Cost., l’art. 6, commi 2 e 5, della legge n. 267 del 1997 sia nella parte in cui, ai fini della valutazione delle dichiarazioni già acquisite al momento dell’entrata in vigore della legge, attribuisce rilevanza alla volontà delle parti, stabilendo, quale condizione per la loro utilizzabilità ai sensi del comma 5 della medesima disposizione, che le stesse richiedano un nuovo esame delle persone di cui all’art. 513 cod. proc. pen., sia nella parte in cui non prevede che il giudice possa acquisire, anche senza l’accordo delle parti, le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da coimputati o imputati in procedimenti connessi che, citati a comparire per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge, si avvalgono in dibattimento della facoltà di non rispondere;

che analoga questione, avente ad oggetto l’immediata applicabilità della nuova normativa ai procedimenti in corso al momento della entrata in vigore della legge, é stata prospettata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Reggio Emilia (r.o. n. 152 del 1998);

  che tutte le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate nel corso di dibattimenti nei quali alcuni imputati in procedimenti connessi, citati per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, e che le parti non hanno prestato il consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza;

  che, in particolare, con riferimento alla questione sollevata dal Tribunale di Savona assume rilevanza anche la posizione di un imputato in procedimento connesso di cui, al momento dell’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, a seguito dell’esercizio della facoltà di non rispondere, era già stata disposta la lettura delle dichiarazioni rese in precedenza;

che secondo i rimettenti la norma impugnata contrasta con l’art. 3 Cost. perchè determina una irragionevole disparità di trattamento tra imputati, limitando o escludendo nei loro confronti, in ragione dello stato del procedimento, l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. anteriormente all’entrata in vigore della novella e assunte nel rispetto della normativa allora vigente (r.o. nn. 9, 35, 56, 94 e 152 del 1998);

che la disciplina transitoria introdotta dall’art. 6 della legge n. 267 del 1997 violerebbe altresì gli artt. 25, 97, 101 e 112 Cost. in quanto, nei procedimenti nei quali non é stata ancora disposta la lettura delle precedenti dichiarazioni, comporta la vanificazione di elementi di prova legittimamente raccolti, così sacrificando l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine é quello della ricerca della verità, con conseguente lesione anche del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (r.o. n. 35 del 1998 in riferimento agli artt. 25, 101 e 112 Cost.; r.o. n. 94 del 1998 in riferimento agli artt. 97, secondo comma, e 101, secondo comma, Cost.; r.o. nn. 9 e 56 del 1998 in riferimento al solo art. 112 Cost.);

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che, pur nella loro articolazione analitica, le censure di illegittimità sono tutte riconducibili alla denuncia della irragionevolezza e delle ricadute in termini di ingiustificata disparità di trattamento di una disciplina che subordina la valutazione probatoria delle dichiarazioni acquisite a norma dell’art. 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ad un nuovo criterio di giudizio, ovvero ne sottopone l’utilizzazione alle nuove regole introdotte dalla legge n. 267 del 1997, in base al mero dato occasionale che al momento dell’entrata in vigore della legge le dichiarazioni fossero già state acquisite mediante lettura;

che i giudizi, attesa la sostanziale identità delle questioni, vanno riuniti;

che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli atti relativi a questioni che avevano impugnato la medesima normativa, ha affermato che doveva essere valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, <<che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza>>;

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Macerata, al Tribunale di Savona, al Tribunale di Trieste, al Tribunale di Reggio Emilia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 febbraio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 febbraio 1999