Ordinanza n. 36/99

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ORDINANZA N. 36

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI  

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 34 - e 34, comma 2 - 2 e 279 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 marzo 1998 dalla Corte d’appello di Torino, nel procedimento penale a carico di Francesco Bergamo ed altri, iscritta al n. 579 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 24 marzo 1998, la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale:

a) dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, investito del giudizio direttissimo, non possa partecipare al dibattimento nel caso in cui, nella fase anteriore allo stesso, abbia emesso, dopo aver convalidato l’arresto, ordinanza di custodia cautelare personale (questione, questa, già sollevata davanti al giudice di primo grado, che l’aveva dichiarata manifestamente infondata); inoltre, con una diversa prospettazione, della stessa disposizione, nella parte in cui non prevede, nella medesima situazione, che il giudice non possa partecipare alla celebrazione del dibattimento con rito abbreviato, richiesto e concesso nel corso dello stesso giudizio direttissimo;

b) degli artt. 34, 2 e 279 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che la competenza del giudice per le indagini preliminari in merito alle misure cautelari si estenda fino alla fase degli atti preliminari al dibattimento, finchè il dibattimento stesso non sia stato aperto e, comunque, fino a quando il giudice non possa più essere sostituito nella sua composizione personale;

che la Corte d’appello ritiene che quando la decisione del tribunale in merito alla custodia cautelare sia intervenuta nella fase preliminare al processo con rito direttissimo, ossia prima dell’apertura del dibattimento, non varrebbe la considerazione, posta a base della decisione di infondatezza di analoga questione (sentenza n. 177 del 1996), della unicità della fase processuale e dell’essere il giudice che ha adottato il provvedimento cautelare già investito di un giudizio del quale non può essere spogliato;

che, ad avviso dello stesso giudice rimettente, la trasformazione del rito, da direttissimo ad abbreviato, amplierebbe la distanza tra la fase preliminare del processo, nella quale é stata applicata la misura cautelare, ed il giudizio, nel quale sarebbero utilizzabili gli stessi atti di polizia giudiziaria e di indagine presi in esame per l’emissione della misura cautelare; inoltre la situazione sarebbe analoga a quella del giudice per le indagini preliminari che procede al giudizio abbreviato dopo aver emesso ordinanza di custodia cautelare, per il quale la mancata previsione dell’incompatibilità é stata dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 155 del 1996);

che nel giudizio dinanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che le questioni di legittimità costituzionale riguardano, con diverse prospettazioni, l’incompatibilità del giudice che, investito del giudizio direttissimo, ha convalidato l’arresto ed emesso un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell’imputato e prosegue il giudizio, eventualmente con la trasformazione del rito nelle forme del giudizio abbreviato;

che la giurisprudenza di legittimità esclude che le cause di incompatibilità determinino la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile: difatti esse non incidono sui requisiti di capacità del giudice mentre costituiscono motivo di ricusazione da far valere con la apposita procedura, nei termini da essa previsti, e non con l’impugnazione della sentenza;

che l’ordinanza di rimessione non motiva sulla rilevanza delle questioni, sollevate in un giudizio di appello per una incompatibilità che si sarebbe dovuta verificare nel giudizio di primo grado, limitandosi ad affermare che la prima questione corrisponde, nella sua duplice prospettazione, a un’eccezione proposta dalla difesa degli imputati nei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado: l’ordinanza non chiarisce, difatti, quali conseguenze ai fini del giudizio di appello deriverebbero, quanto alla questione concernente l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., dal riconoscimento di una causa di incompatibilità del giudice di primo grado e, quanto alla questione riferita agli artt. 34, 2 e 279 cod. proc. pen., dal superamento della pretesa incompatibilità attraverso l’attribuzione ad altro giudice della competenza ad emettere misure cautelari personali;

che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale e degli artt. 34, 2 e 279 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 febbraio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 19 febbraio 1999