Ordinanza n. 468/98

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ORDINANZA N.468

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa l’8 aprile 1998 dal Pretore di Tempio Pausania nel procedimento civile vertente tra Tamponi Giovanni Maria ed altri e Serra Pasquale, iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio del 25 novembre 1998 il Giudice relatore Fernanda Contri.

  Ritenuto che nel corso di un procedimento civile, nel quale il convenuto aveva proposto domanda riconvenzionale di usucapione ed aveva chiamato terzi in causa, il Pretore di Tempio Pausania, con ordinanza dell’8 aprile 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede un termine perentorio entro il quale il convenuto deve notificare la citazione al terzo;

  che nella fattispecie, come precisa il rimettente, la citazione dei terzi, non costituitisi in giudizio, era stata eseguita senza il rispetto dei termini stabiliti dall’art. 163-bis del codice di procedura civile e la parte attrice aveva eccepito la decadenza del convenuto dalla facoltà di chiamata in causa;

  che, a norma dell’art. 269 cod. proc. civ., il convenuto, il quale intenda chiamare un terzo in causa, deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e chiedere lo spostamento della prima udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’art. 163-bis, la quale citazione é notificata a cura del convenuto;

  che, come osserva il giudice a quo, detta norma nulla dispone in ordine al mancato rispetto del termine per la citazione del terzo, sì che in tale ipotesi potrebbe ritenersi applicabile la disciplina prevista dall’art. 164 cod. proc. civ., in base alla quale, ove sia stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge e il convenuto non si sia costituito in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne ordina la rinnovazione;

  che, per contro, soltanto a carico dell’attore, il quale abbia interesse alla chiamata in causa di un terzo e sia stato preventivamente autorizzato dal giudice, é previsto l’onere di notificare al terzo la citazione entro il termine perentorio stabilito dal giudice;

  che, quindi, a differenza di quanto stabilito dal secondo comma del citato art. 269, la perentorietà del termine é prevista unicamente per la chiamata in causa ad opera dell’attore, il quale decade da tale facoltà qualora non osservi il termine;

  che, ad avviso del rimettente, la diversa disciplina stabilita dall’art. 269 cod. proc. civ. in ordine alla chiamata in causa di un terzo darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti, che si tradurrebbe nella violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, tanto più ove si consideri che la previgente formulazione dell’art. 269 parificava la posizione dell’attore e del convenuto in ordine alla chiamata in causa di un terzo e che l’originario testo della norma in oggetto, approvato dal Senato, prevedeva che la notificazione della citazione al terzo, sia ad opera dell’attore che del convenuto, doveva eseguirsi nel termine perentorio di quindici giorni;

  che, come osserva infine il rimettente, la disparità di trattamento non può essere superata con una interpretazione estensiva che conferisca perentorietà al termine relativo alla citazione del terzo, effettuata dal convenuto, in quanto é ad essa di ostacolo il disposto dell’art. 152 cod. proc. civ., a norma del quale "i termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge; possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente".

  Considerato che, come risulta dall’ordinanza di rimessione e dagli atti del giudizio a quo, il convenuto ha assegnato alle parti chiamate in causa un termine a comparire inferiore a quello prescritto dall’art. 163-bis cod. proc. civ.;

  che, ai sensi dell’art. 164 cod. proc. civ., tale inosservanza determina la nullità della citazione, con l’ulteriore conseguenza che, non essendosi costituite in giudizio le parti, il giudice é tenuto a disporre d’ufficio la rinnovazione della citazione entro un termine perentorio;

  che la questione sollevata dal rimettente si appalesa quindi priva di rilevanza nel giudizio a quo, nel quale dall’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello legale non può derivare altro effetto che l’applicazione del citato art. 164, e ciò anche nel caso in cui fosse previsto un termine perentorio per la chiamata in causa;

  che, infine, tenuto conto che le parti legittimate a contraddire alla domanda riconvenzionale di usucapione rivestono la qualità di litisconsorti necessari, la omessa citazione di una di esse determinerebbe comunque per il giudice la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Tempio Pausania con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernanda CONTRI

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.