Sentenza n. 452/98

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SENTENZA N.452

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1997 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, nel procedimento penale a carico di Tella Anna Maria ed altri, iscritta al n. 896 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un procedimento penale nei confronti di Teodosio Greco, Anna Maria Tella e Maria Pia Manzini, rinviati a giudizio, tra l'altro, per i reati di cui agli artt. 1, secondo comma, numeri 2 - 3, 1, comma 2, lettera b), del decreto-legge 10 luglio 1992 (recte: 1982), n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516, come modificata per effetto del decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 15 maggio 1991, n. 154, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del decreto legislativo 19 luglio (recte: giugno) 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), nella parte in cui non prevede l'applicabilità dell'art. 2, comma 3, seconda parte, del decreto stesso, anche ai periodi di imposta già definiti sulla base dell'art. 3 del precedente decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.

Premette il giudice a quo che, in base a quanto previsto dalla seconda parte del comma 3 dell'art. 2 del menzionato decreto legislativo n. 218 del 1997, la definizione concordata dell'accertamento tributario esclude con effetto retroattivo, in deroga al principio della ultrattività della legge penale tributaria, stabilito dall'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, la punibilità per i reati tributari previsti dagli artt. 1, 2, primo e secondo comma, e 3 del decreto-legge n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente ai fatti oggetto dell'accertamento.

A sua volta la disposizione denunciata, e cioé il comma 6 dell'art. 2 del medesimo decreto legislativo, estende l'applicazione dei precedenti commi anche "ai periodi d'imposta per i quali era applicabile la definizione ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656 e dell'art. 2, comma 137, della legge 23 dicembre 1996, n. 662".

2.- Il rimettente, ritenendo di non poter pervenire, attraverso una interpretazione letterale e sistematica della norma, all'applicazione, in via diretta ed immediata, della menzionata causa di non punibilità a chi abbia già definito, ex art. 3 del decreto-legge n. 564 del 1994, precedenti periodi di imposta, reputa la mancata previsione di quest'ultima ipotesi in contrasto con il criterio di ragionevolezza, desumibile dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, giacchè, "pur all'interno di un quadro di discrezionalità legislativa funzionale ad agevolare, attraverso la previsione di meccanismi incentivanti, la definizione concordata delle controversie fiscali", il legislatore ha l'obbligo di non riservare un trattamento ingiustificatamente differenziato a situazioni identiche.

3.- Dal punto di vista della rilevanza della questione, il rimettente sostiene che la non punibilità del reato, conseguente ad una eventuale sentenza di accoglimento, non potrebbe non ridondare anche a vantaggio di coloro che, come gli imputati, non sarebbero stati formalmente legittimati ad avvalersi della procedura di accertamento con adesione, in quanto privi della carica di amministratore della società "o perchè cessati (Manzini e Tella), ovvero per non esserlo mai stato (Greco)", all'uopo richiamando l'orientamento espresso nella sentenza n. 19 del 1995, con la quale questa Corte ha affermato la valenza oggettiva dell'amnistia per i reati tributari introdotta dal d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23.

4.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

La difesa erariale, non condividendo la premessa interpretativa da cui muove il rimettente, ritiene, infatti, che l'effetto estintivo della punibilità si abbia anche nel caso in cui sia stata già formulata adesione all'accertamento. E ciò in quanto l'espresso riferimento all'effetto retroattivo della causa di non punibilità, contenuto nella disposizione censurata, avrebbe un senso soltanto ed esclusivamente se riferito "alle cause di estinzione della punibilità che tali non erano" al momento in cui fu posto in essere il comportamento cui é oggi riferito l’effetto in questione.

Considerato in diritto

1.- Con l'ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, nella parte in cui non prevede che il disposto dell'art. 2, comma 3, seconda parte, del predetto decreto si applichi anche ai periodi di imposta già definiti sulla base dell'art. 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.

Secondo il rimettente la denunciata norma si pone in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, a causa del diverso trattamento riservato a situazioni identiche, in quanto consente al contribuente di avvalersi della facoltà di definire i periodi di imposta fino al 1994 mediante accertamento con adesione, al quale accede l'esclusione della punibilità per gli illeciti aventi rilevanza sul piano penale, e non ricomprende, invece, in tali benefici, le situazioni relative agli stessi periodi di imposta, che siano già state definite ai sensi del menzionato art. 3 del decreto-legge n. 564 del 1994.

2.- Nulla osta, anzitutto, all'ammissibilità della questione sotto il profilo della rilevanza, motivata dal rimettente sulla base di argomenti tratti dai precedenti della giurisprudenza costituzionale in materia di amnistia (in particolare, sentenza n. 19 del 1995), al fine di sostenere che una pronunzia di accoglimento non potrebbe non ridondare anche a vantaggio di coloro che, come gli imputati, non sarebbero stati formalmente legittimati ad avvalersi, nella specie, della procedura di accertamento con adesione. La non implausibilità di tale motivazione é sufficiente a superare il vaglio della verifica che compete alla Corte sull'esistenza dei presupposti per il promovimento della questione, potendosi, così, dare ingresso al presente incidente di costituzionalità.

3.- Nel merito, la questione é da reputare non fondata, nei sensi di seguito precisati.

Onde richiamare il contesto normativo nel quale si colloca la problematica portata all'esame della Corte, va premesso che il decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, nel procedere ad una revisione organica dell’istituto dell’accertamento con adesione, ha introdotto una nuova disciplina generale delle modalità per la definizione delle pendenze tributarie, cui si riconnettono anche effetti premiali sul piano penale; si prevede, infatti, sia pure con talune eccezioni, che "la definizione esclude, anche con effetto retroattivo, in deroga all'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, la punibilità per i reati previsti dal decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente ai fatti oggetto dell'accertamento" (comma 3, seconda parte, dell'art. 2). Il comma 6 del medesimo articolo, sul quale si appuntano le censure del rimettente, precisa, a sua volta, che rientrano, nella disciplina di cui ai precedenti commi (tra i quali il comma 3 testè richiamato), anche i periodi di imposta per i quali era applicabile, tra l'altro, la definizione ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564. Si tratta, in particolare, dell'accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi (c.d. "concordato di massa"), previsto dal menzionato art. 3, ai fini delle imposte sul reddito e dell'imposta sul valore aggiunto, nel quadro di una disciplina del concordato relativa alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994.

4.- Tanto premesso, é da rammentare che questa Corte ha più volte affermato (da ultimo, sentenze n. 307 del 1996 e n. 354 del 1997) il principio secondo cui il giudice rimettente, nell'operare la ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicare al caso portato al suo esame, deve costantemente essere guidato dall'esigenza di rispettare i precetti costituzionali e, quindi, ove una interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, é tenuto - soprattutto in mancanza di diritto vivente - ad adottare quella diversa lettura che risulti aderente ai principi costituzionali altrimenti vulnerati.

Nel caso di specie, invero, esiste la possibilità di una interpretazione della disposizione denunciata diversa da quella prospettata dall'ordinanza e tale da consentire di superare il denunciato dubbio di costituzionalità.

Alla tesi sostenuta dal giudice a quo, nel senso che l'effetto estintivo della punibilità, previsto dal comma 3 dell'art. 2 del decreto legislativo n. 218 del 1997, non comprenderebbe il caso in cui si sia già formulata adesione all'accertamento in base all'art. 3 del decreto-legge n. 564 del 1994, può opporsi, anzitutto, che il censurato comma 6 del medesimo art. 2 - nel ricondurre nella disciplina di favore del precedente comma 3 i periodi di imposta ai quali "era applicabile" la definizione ai sensi della anteriore normativa - utilizza una locuzione, che, nella sua portata letterale, ben si presta, in alternativa alla lettura riduttiva del rimettente, ad essere riferita a tutte le pendenze rientranti nella indicata categoria, a prescindere dal fatto di essere state o meno definite.

Può, inoltre, rilevarsi che il menzionato decreto legislativo n. 218 del 1997, nel ridisciplinare in via generale i procedimenti di definizione delle vertenze tributarie e nell'escludere (art. 2, comma 3) la punibilità per i fatti aventi rilevanza penale, mostra di volersi ispirare a criteri di particolare ampiezza, come denota il fatto stesso di aver preso in considerazione anche i fatti precedenti, in ciò derogando al principio generale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (c.d. "ultrattività della legge penale tributaria"). Ma, una volta individuato in questi termini l'intento del legislatore, non si spiegherebbe una discriminazione, nell'ambito delle fattispecie pregresse, a danno delle pendenze a suo tempo risolte, se non altro perchè ne resterebbero penalizzati proprio quei contribuenti che, come lo stesso rimettente non manca di avvertire, si sono mostrati più solerti nella definizione dei loro rapporti con il fisco.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.