Ordinanza n. 416/98

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ORDINANZA N.416

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), promossi con n. 18 ordinanze emesse il 5, il 19 e il 5 dicembre (n. 2 ordinanze), il 26 novembre, il 17, il 19 (n. 2 ordinanze), il 17 (n. 2 ordinanze) ed il 5 dicembre, il 6 novembre ed il 17 dicembre 1997, l'8 gennaio (n. 2 ordinanze), il 2 ed il 20 febbraio e l'8 aprile 1998 dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Pistoia, rispettivamente iscritte ai nn. da 114 a 123, da 137 a 141, 375, 376 e 493 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 11, 22 e 28, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio dell'11 novembre 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con diciotto ordinanze di analogo tenore - pronunciate in altrettanti procedimenti nei quali il pubblico ministero, in mancanza di apposite prescrizioni impartite al contravventore dall'organo di vigilanza, aveva chiesto l'emissione del decreto penale di condanna - il Giudice per le indagini preliminari della Pretura circondariale di Pistoia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, nella parte in cui non prevede l'obbligo dell'organo di vigilanza di ammettere obbligatoriamente il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la violazione anche nel caso in cui non venga impartita alcuna prescrizione per la materiale impossibilità della sua emanazione, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione in relazione all'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 499 del 1993 (Delega al Governo per la riforma dell'apparato sanzionatorio in materia di lavoro);

che nella maggior parte delle ordinanze di rimessione il giudice a quo precisa che l'organo di vigilanza aveva ritenuto di non impartire alcuna prescrizione a norma dell'art. 20 del citato decreto legislativo, in quanto si trattava di < < reato già consumato e non ottemperabile>>, mentre in altre ipotesi l'impossibilità di impartire la prescrizione era stata ricollegata al tipo di violazione di natura procedurale, per la quale non poteva essere adottato alcun provvedimento atto a rimuovere la violazione contestata, ovvero a reati nei cui confronti era comunque venuta meno la situazione antigiuridica che aveva dato origine alla violazione contestata;

che, al riguardo, il rimettente rileva che nella fattispecie in esame era materialmente impossibile per l'organo di vigilanza impartire una prescrizione finalizzata all'eliminazione della contravvenzione accertata, < < trattandosi di reato istantaneo caratterizzato da un'offesa del bene protetto che si perfeziona e si esaurisce nel momento della commissione del fatto, senza protrarsi nel tempo, sicchè risulta ontologicamente impedita qualsiasi possibilità di regolarizzazione e la conseguente emanazione di una prescrizione non avrebbe alcuna utilità, in considerazione della oggettiva impossibilità di ripristinare una situazione conforme a diritto>>;

  che, ad avviso del giudice rimettente, la disciplina denunciata si porrebbe in contrasto:

- con l'art. 3 Cost., in quanto farebbe irragionevolmente dipendere la possibilità di definire in via amministrativa il procedimento dalla natura della violazione, ossia da un elemento estraneo alla volontà del contravventore, ovvero dalla insindacabile discrezionalità dell'organo di vigilanza di impartire la prescrizione, e determinerebbe disparità di trattamento tra il contravventore a cui venga imposta una prescrizione che gli consente di definire la violazione contestata avvalendosi della procedura amministrativa prevista dalla legge, e il contravventore al quale non venga impartita alcuna prescrizione, che si vedrebbe preclusa la possibilità di definire in via amministrativa il procedimento penale a suo carico;

- con l'art. 76 Cost., per violazione della direttiva contenuta nell'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 6 dicembre 1993, n. 499, che delega il Governo a stabilire una causa di estinzione dei reati in materia di tutela della sicurezza e dell'igiene del lavoro < < consistente nell'adempimento, entro un termine non superiore al limite fissato dalla legge, alle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza allo scopo di eliminare la violazione accertata, nonchè al pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda comminata per ciascuna infrazione>>, in quanto la direttiva non lascia alcun margine di discrezionalità all'organo di vigilanza, mentre nella disciplina emanata dal legislatore delegato l'obbligatorietà della prescrizione risulta condizionata dalla natura della violazione accertata.

  Considerato che, stante il contenuto pressochè identico delle diciotto ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

  che le censure di legittimità costituzionale si basano sull'erroneo presupposto che, ove si tratti di reato per cui sia < < ontologicamente>> impossibile impartire qualsiasi prescrizione per eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione accertata, la natura del reato costituisca elemento idoneo ad incidere in termini di irragionevolezza e di ingiustificata disparità di trattamento sulla disciplina del decreto legislativo n. 758 del 1994;

  che l'obiettiva diversità della struttura dei diversi reati, quale risulta dagli elementi costitutivi della fattispecie, e, conseguentemente, il momento in cui si realizzano la commissione e la consumazione del reato stesso, nonchè la natura istantanea o permanente del reato, appartengono a scelte del legislatore, che nella costruzione delle fattispecie incriminatrici traduce le proprie opzioni di politica criminale, ovvero sono imposte dalla stessa natura degli obblighi e dei comportamenti di cui si vuole assicurare l'osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale;

  che pertanto eventuali trattamenti differenziati risultano giustificati dalla diversa struttura delle fattispecie incriminatrici;

  che sotto questo profilo non ha pregio neppure la censura sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la disciplina impugnata in realtà non riconosce alcuna "discrezionalità" dell'organo di vigilanza: l'impossibilità di impartire la prescrizione - secondo la prospettazione del rimettente - é infatti una conseguenza obbligata della struttura della contravvenzione contestata, sicchè non può configurarsi alcun eccesso di delega da parte del legislatore delegato;

  che questa Corte, prendendo in esame con la sentenza n. 19 del 1998 la situazione del contravventore che aveva regolarizzato la violazione prima che l'organo di vigilanza avesse impartito la prescrizione, ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa o fosse stata impartita senza osservare le forme prescritte, aveva precisato che esistono soluzioni interpretative tali da consentire egualmente l'applicazione della causa estintiva del reato, idonee a < < ricondurre situazioni sostanzialmente omogenee a quelle espressamente previste dalla legge nell'alveo della procedura disciplinata dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo in esame>>;

  che tale conclusione trova il suo fondamento nella ratio del decreto legislativo n. 758 del 1994, che si propone il duplice obiettivo di favorire l'effettiva osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro - materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni e alla conseguente tutela dei lavoratori é prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale - e di attuare una consistente deflazione processuale;

  che, sulla base di tale ratio, ove risultasse che le conseguenze dannose o pericolose sono venute meno grazie ad un comportamento volontario dell'autore dell'infrazione, o che il medesimo vi ha posto comunque rimedio, anche successivamente al momento di consumazione del reato, valutate la natura e le concrete modalità di realizzazione della contravvenzione contestata, il contravventore potrebbe comunque essere ammesso, previo pagamento della somma dovuta, al procedimento di definizione in via amministrativa previsto dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758 del 1994;

  che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura circondariale di Pistoia, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1998.