Sentenza n. 406/98

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SENTENZA N.406

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO   

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), dell'art. 27, primo comma, numero 4 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e degli artt. 90 e 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1997 dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sul ricorso proposto dalla Società italiana per il gas p.a. contro il Comune di Vigliano Biellese ed altra, iscritta al n. 480 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 giugno 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso del giudizio promosso nei confronti del Comune di Vigliano Biellese, ai sensi dell’art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dalla Società Italiana per il gas p.a. per l’esecuzione della sentenza n. 293 del 1996 con la quale erano stati annullati gli atti di aggiudicazione della gara per l’affidamento in concessione del servizio di distribuzione dell’acqua potabile alla Sigesa s.p.a., il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ha sollevato questione di legittimità degli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 27, primo comma, numero 4, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, 90 e 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642.

Il giudice rimettente, dopo aver ricostruito in fatto l’iter processuale della vicenda avente ad oggetto l’impugnazione degli atti del Comune di Vigliano Biellese relativi alla procedura di aggiudicazione, a trattativa privata, della concessione del servizio di distribuzione dell’acqua potabile in favore della Sigesa s.p.a., decisa con sentenza d’annullamento n. 293 del 1996 e nei cui confronti l’amministrazione comunale aveva interposto appello al Consiglio di Stato, ha sottolineato che quest’ultima amministrazione, senza richiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza innanzi al giudice di secondo grado investito dell’esame dell’appello, si era rifiutata espressamente di assumere i provvedimenti necessari per conformarsi alla statuizione del Tribunale amministrativo regionale; tanto é che l’originaria affidataria del servizio, controinteressata nel giudizio amministrativo, continuava a svolgere il servizio.

In diritto, il giudice a quo richiama nelle premesse che il ricorso era basato sull’art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 contenente la previsione che le sentenze del giudice amministrativo sono immediatamente esecutive, mentre un consolidato orientamento giurisprudenziale é contrario all’esperibilità immediata del giudizio di "esecuzione" coattiva, essendo questo il tipico rimedio del giudizio d’ottemperanza, fondato sul presupposto che la sentenza da eseguire sia passata in cosa giudicata ai sensi dell’art. 324 del codice di procedura civile (tra le tante, v. Consiglio di Stato, ad plen., 23 marzo 1979, n. 12; 1° aprile 1980, n. 10).

Poichè il riscontro del dato normativo, come conformato dall’indirizzo ermeneutico giurisprudenziale, depone in senso contrario alla pretesa fatta valere nel giudizio di merito, ad avviso del collegio rimettente, si imporrebbe l’indagine sulla legittimità costituzionale delle disposizioni che disciplinano il giudizio di ottemperanza, preclusive all’ottenimento del bene della vita cui sarebbe preordinata la tutela giurisdizionale, in contrasto altresì con il precetto scaturente dalla proclamata esecutività della sentenza del giudice amministrativo.

Sul piano dell’effettività della tutela giurisdizionale che trova presidio costituzionale negli artt. 24 e 113 della Costituzione, atti a garantire il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto, dovrebbe essere affermata, secondo la prospettazione del giudice a quo, l’incostituzionalità delle disposizioni che regolano il giudizio di ottemperanza nella parte in cui precludono che siano portate ad esecuzione coattiva le decisioni giustiziali di per sè esecutive, prima di aver acquisito autorità di cosa giudicata.

Il dubbio di legittimità costituzionale troverebbe ulteriore fondamento alla stregua della sentenza n. 419 del 1995 della Corte, che ha riconosciuto il potere del giudice amministrativo di assumere tutti i provvedimenti necessari all’esecuzione delle proprie ordinanze cautelari; il che oltretutto, quale portato logico-giuridico, sottintenderebbe che a maggior ragione tale potere venisse attribuito alla sentenza che, a differenza della misura cautelare, abbia definito un grado di giudizio.

Sul piano dell’intrinseca ragionevolezza delle disposizioni censurate, che si tradurrebbe altresì in ingiustificata disparità di trattamento, rileverebbe, sempre secondo il giudice a quo, la distinzione fra effetti demolitori, ripristinatori e conformativi, conseguenti alle sentenze del giudice amministrativo, in diretta corrispondenza alla natura dell’interesse fatto valere in giudizio: solo i c.d. interessi oppositivi, che non necessitano di misure attuative concrete, sarebbero immediatamente garantiti dall’annullamento degli atti impugnati; non quelli pretensivi, pur sempre omogenei quanto a tutela giurisdizionale.

Sotto altro profilo, la violazione dell’art. 3 in relazione agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione si evincerebbe dalla comparazione con l’esecutività ex lege delle sentenze emesse dal giudice ordinario, suscettibili di essere portate ad esecuzione coattiva, a prescindere dalla natura della sentenza e dal contenuto della statuizione, nei confronti della pubblica amministrazione senza che possano invocarsi ostacoli all’esecuzione forzata che la prassi giudiziale ha progressivamente ridotto; irrazionalità vieppiù palese se considerata con riguardo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo avente ad oggetto i rapporti paritetici, le cui decisioni sono di contenuto omologo a quelle rese dal giudice ordinario.

D’altra parte il presunto grado di certezza, sguarnito di tutela costituzionale, insito nell’autorità di cosa giudicata delle sentenze emesse dal giudice amministrativo, si rivelerebbe, secondo la prospettazione delle censure, meramente ipotetico se verificato, con riguardo alle sentenze del Consiglio di Stato, alla luce dell’esclusività del difetto di giurisdizione quale unico motivo di ricorso in Cassazione; mentre il ricorso straordinario per revocazione e l’opposizione di terzo pongono in discussione la stessa nozione teorica di definitiva certezza della situazione giuridica definita con sentenza passata in giudicato.

Inoltre l’eventuale pregiudizio scaturente dal mutamento dell’assetto di interessi in forza dell’esecuzione della pronuncia non definitiva sarebbe scongiurato dall’attribuzione del potere di sospensione della sentenza al giudice investito della cognizione dell'appello.

Infine, sempre secondo il collegio rimettente, sul piano sistematico, l’irragionevolezza delle disposizioni censurate si evidenzierebbe dal più frequente intervento del legislatore volto ad introdurre disposizioni acceleratorie del corso del giudizio amministrativo (cfr., da ultimo, art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109), tale da porsi in insanabile contrasto con disposizioni che, viceversa, subordinano il soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio ad eventi temporali remoti, quali il passaggio in giudicato della sentenza.

2.- Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

La questione, come proposta dal giudice a quo, difetterebbe della rilevanza avendo questi autonomamente modificato il titolo della domanda del ricorso, avanzato ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971, e non come giudizio di ottemperanza verso le cui disposizioni si appuntano le censure di legittimità costituzionale.

Nel merito, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe infondata poichè il giudice a quo, pur muovendo dall’esatto presupposto dell’imprescindibilità della tutela esecutiva, non considera la specificità del processo amministrativo ed, altresì, i limiti che circoscrivono l’esecuzione coattiva delle sentenze nei confronti dell’attività provvedimentale dell’amministrazione.

D’altra parte la censura che investe la postulata incoerenza dell’esecutività delle sentenze di primo grado e l’ammissibilità del ricorso per ottemperanza delle sole sentenze passate in giudicato, si rivelerebbe ad una indagine approfondita insostenibile.

L’esecutività, infatti, rileva l’Avvocatura, sarebbe propria delle sentenze autoesecutive, quali sono le sentenze di annullamento emesse dal giudice amministrativo all’esito di un giudizio impugnatorio; mentre l’azione di ottemperanza é diretta a conseguire effetti ulteriori, mediati, tali da presupporre l’adozione di provvedimenti, diversi da quelli oggetto di impugnazione.

Del resto la natura stessa del giudizio di ottemperanza, riconducibile per espressa previsione normativa alla giurisdizione estesa al merito riservata alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, renderebbe intuitiva ragione del carattere sostitutivo di tale giudizio rispetto a provvedimenti discrezionali, altrimenti rimessi alle attribuzioni dell’amministrazione.

Nè si rivelerebbe fondata l’argomentazione incentrata sulla comparazione delle misure esecutive proprie della fase cautelare, che per sua natura é meramente interinale ed inidonea ad incidere in via definitiva sull’assetto di interessi dedotto in giudizio, con il giudizio di ottemperanza, diretto ad adeguare stabilmente la situazione anteriore alla statuizione, imponendo misure attuative e provvedimenti all’amministrazione, al fine di ricercare un momento di equilibrio fra la necessità di garantire la effettività della decisione giurisdizionale e quella, in ossequio al principio di divisione dei poteri, di non invadere la sfera destinata alla amministrazione da parte del potere giudiziario.

Considerato in diritto

 

1.- Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, con ordinanza 22 gennaio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), 27, primo comma, numero 4, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), 90 e 91 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), nella parte in cui stabiliscono che i ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi alle decisioni pronunciate dagli organi di giustizia amministrativa possano essere proposti esclusivamente avverso le sentenze passate in giudicato e non anche con riferimento a sentenze di primo grado, esecutive e non sospese dal giudice di appello, ma non passate in giudicato.

A parere del Tribunale rimettente, le norme anzidette violerebbero gli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, in quanto l’effettività della tutela giudiziaria esecutiva sarebbe procrastinata in modo irragionevole tanto più se comparata con le misure esecutive proprie della tutela cautelare; traducendosi, inoltre, nella violazione del principio di uguaglianza stante l’ingiusta discriminazione fra chi abbia ottenuto una sentenza civile immediatamente esecutiva anche in mancanza di giudicato, e chi, pur avendo ottenuto una sentenza esecutiva amministrativa, non può esperire il ricorso per ottemperanza.

2.- Va preliminarmente rilevato che il richiesto scrutinio di costituzionalità deve incentrarsi sugli artt. 37 della legge n. 1034 del 1971, e 27, primo comma, numero 4, del regio decreto n. 1054 del 1924, che sono le norme dalle quali può dedursi il presupposto contestato, mentre gli artt. 90 e 91 del r.d. n. 642 del 1907 hanno la sola funzione di regolamentazione della procedura per i ricorsi cui le prime si riferiscono.

3.- La questione non é fondata.

Giova premettere che lo speciale (per l’oggetto e la procedura) giudizio ex art. 27, numero 4, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) era concepito con specifico riguardo alle sentenze dei tribunali ordinari ed é stato esteso a tutte le decisioni di organi giurisdizionali, compresi quelli della giustizia amministrativa, prima dalla giurisprudenza e poi espressamente, per quanto riguarda il giudicato degli organi di giustizia amministrativa, dall’art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 nel regolare la distribuzione della competenza tra Tribunale amministrativo regionale e Consiglio di Stato. Mentre solo con il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 70, é stata enucleata - salvo quanto previsto per la esecuzione forzata dal cod. proc. civ.- una particolare procedura di "ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza delle commissioni tributarie" purchè "passata in giudicato", attribuita alla competenza delle commissioni tributarie, laddove in precedenza la giurisprudenza, sia pure in modo non uniforme, aveva ammesso l'azionabilità del giudizio avanti al giudice amministrativo.

Di conseguenza, stante l'unicità dei presupposti del ricorso per ottemperanza di sentenze dei giudici ordinari e di quelle dei giudici amministrativi, deve escludersi in radice qualsiasi disparità nell'ambito dei ricorsi per l'esecuzione del giudicato.

Invece differenti, rispetto all'azione in base a ricorso per ottemperanza, e quindi non comparabili, sono le azioni esecutive davanti al giudice ordinario secondo le norme del codice di procedura civile, sia nella forma dell'espropriazione forzata mobiliare ed immobiliare sia nelle forme per consegna o rilascio ovvero per violazione di un obbligo di fare o di non fare. Rispetto a dette azioni esecutive é ininfluente il mancato passaggio in giudicato della sentenza o provvedimento giudiziale purchè esecutivo, trattandosi di circostanza necessaria solo per il concorrente strumento di tutela costituito dal giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo.

D'altro canto il giudizio di ottemperanza, secondo l'attuale elaborazione giurisprudenziale, ricomprende una pluralità di configurazioni (in relazione alla situazione concreta, alla statuizione del giudice e alla natura dell'atto impugnato), assumendo talora (quando si tratta di sentenza di condanna al pagamento di somma di denaro esattamente quantificata e determinata nell’importo, senza che vi sia esigenza ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio) natura di semplice giudizio esecutivo - come tale assoggettabile alle limitazioni proprie delle "azioni esecutive" nei confronti degli enti locali dissestati - e quindi qualificabile come rimedio complementare che si aggiunge al procedimento espropriativo del codice di procedura civile, rimesso alla scelta del creditore. In altri casi il giudizio di ottemperanza può essere diretto a porre in essere operazioni materiali o atti giuridici di più stretta esecuzione della sentenza; in altri ancora ha l'obiettivo di conseguire una attività provvedimentale dell'amministrazione ed anche effetti ulteriori e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto della impugnazione; inoltre può essere utilizzato, in caso di materia attribuita alla giurisdizione amministrativa, anche in mancanza di completa individuazione del contenuto della prestazione o attività cui é tenuta l'amministrazione, laddove invece l'esecuzione forzata attribuita al giudice ordinario presuppone un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.

Del resto il giudizio di ottemperanza non deve necessariamente (sotto il profilo costituzionale) modellarsi, anche nei presupposti, al processo esecutivo ordinario, attese le peculiarità funzionali del giudizio amministrativo (esteso al merito) con potenzialità sostitutive e intromissive nell'azione amministrativa, non comparabili con i poteri del giudice dell'esecuzione nel processo civile.

Infatti, non esiste un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo (civile e amministrativo), potendo i rispettivi ordinamenti processuali differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, naturalmente a condizione che non siano vulnerati i principi fondamentali di garanzia ed effettività della tutela (sentenza n. 82 del 1996).

4.- Il limitare l’ambito dello speciale giudizio di ottemperanza - diretto ad ottenere l’adempimento coattivo dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso - al giudicato, inteso come cosa giudicata, é una interpretazione plausibile che il giudice a quo ritiene di seguire.

Tale limitazione costituisce una scelta che rientra nella discrezionalità legislativa, in quanto non obbligata sul piano costituzionale, essendo libero il legislatore di adottare particolari sistemi di esecuzione in via amministrativa delle sentenze dei giudici nei confronti delle pubbliche amministrazioni, quando queste non si conformino spontaneamente (scelta di recente ripetuta nel processo tributario), fermo il principio (v. sentenza n. 435 del 1995) che in caso di "pronuncia giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, incombe su quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa, ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice". La fase di esecuzione coattiva di questo obbligo, che pur nasce con la pronuncia del giudice con il carattere della esecutività, é costituzionalmente necessaria senza alcuna possibilità di distinzioni tra funzioni giurisdizionali di natura diversa o tra pubbliche autorità anche di rilevanza costituzionale (sentenza n. 435 del 1995), mentre non necessariamente sul piano costituzionale la proponibilità della speciale azione deve coincidere con la pronuncia di primo grado non passata in giudicato.

La procedura di ottemperanza - con la possibilità di esercizio di poteri sostitutivi rispetto all'amministrazione inadempiente e di inserimento nello svolgimento concreto dell'azione amministrativa mediante un commissario ad acta o, a seconda della fattispecie, direttamente da parte del giudice - nei confronti della pubblica amministrazione comporta l’esercizio di una giurisdizione estesa anche al merito, di modo che non é irragionevole, nell'attuale contesto del sistema processuale, la scelta di porre, come presupposto della speciale azione, l’esistenza di una cosa giudicata, anche se é stata auspicata una diversa soluzione legislativa accompagnata da modifiche al processo amministrativo.

5.- L’azione di ottemperanza al giudicato, così come configurata, non esclude nè limita la ulteriore tutela giurisdizionale, potendo il soggetto interessato, da un canto, avvalersi dell'azione esecutiva ordinaria per espropriazione forzata in base a sentenza esecutiva contenente condanna al pagamento di somma di denaro; dall'altro canto, proporre le normali azioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione, nonchè le impugnazioni contro gli atti della amministrazione che siano in contrasto con le statuizioni contenute in una sentenza provvista di esecutività, ancorchè non definitiva. Del resto, la spontanea esecuzione (pur sempre atto dovuto) da parte della Amministrazione di una sentenza del giudice amministrativo di primo grado, in quanto immediatamente esecutiva, non può configurare di per sè acquiescenza alla sentenza stessa, anche se intervenga successivamente all'appello e senza riserva alcuna circa l'obbligatorietà del comportamento sulla base della sentenza, proprio perchè l'Amministrazione "é tenuta a darvi esecuzione", secondo un indirizzo giurisprudenziale tutt'altro che isolato.

Sullo stesso piano qualsiasi nuovo atto dell'Amministrazione, che sia in contrasto con la statuizione contenuta nella sentenza esecutiva o che trovi fondamento o giustificazione o che si basi sul presupposto dell'esistenza di un atto annullato con la medesima sentenza ovvero dia ulteriore seguito ai provvedimenti eliminati dal mondo giuridico con l'annullamento disposto da sentenza esecutiva, é affetto da antigiuridicità derivata (per violazione dell'obbligo, in precedenza sottolineato, a carico della Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale), suscettibile di essere censurato in sede giurisdizionale con gli ordinari rimedi previsti per la tutela delle posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo, restando affidato ai giudici l'esercizio dei poteri cautelari conferiti dagli ordinamenti processuali, con le conseguenze attuative (v., sulle possibilità di esecuzione delle ordinanze di sospensiva del giudice amministrativo, sentenza n. 419 del 1995).

D’altro canto, secondo un indirizzo della giurisprudenza amministrativa, perfino il giudice che ha provveduto sulla sospensione di una sentenza impugnata in appello conserva il potere di emanare provvedimenti cautelari che impongano alla Amministrazione la assunzione di atti ritenuti necessari per l’effettiva tutela interinale dell’interesse perseguito. Infatti, su un piano più generale é stato affermato il principio che qualora il diritto assistito da fumus boni iuris sia minacciato da pregiudizio imminente ed irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti di urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (sentenza n. 190 del 1985 a proposito di controversie patrimoniali attribuite alla giurisdizione esclusiva).

In ogni caso, la mancata adozione da parte dell'Amministrazione di provvedimenti che rimuovano o interrompano gli effetti persistenti e produttivi di ulteriori conseguenze giuridiche a seguito di atti annullati o comportamenti dichiarati illegittimi da sentenza esecutiva o il mancato conformarsi alle statuizioni della medesima sentenza esecutiva - ancorchè non ancora suscettibile di coazione in forma specifica attraverso il giudizio di ottemperanza - é un comportamento a rischio dell'Amministrazione inadempiente (e del funzionario responsabile), potendo ravvisarsi responsabilità nelle diverse forme - a seconda della sussistenza dei relativi presupposti - e nelle sedi competenti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), 27, primo comma, numero 4, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), 90 e 91 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 12 dicembre 1998.