Ordinanza n. 374/98

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ORDINANZA N.374

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 383 e 566, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 1997 dal Pretore di Livorno, iscritta al n. 58 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto che, in presenza di un imputato condotto davanti a lui perchè arrestato ad opera di privati per il reato di furto aggravato ex art. 625, numero 2, prima parte, del codice penale, per la convalida e per il contestuale giudizio direttissimo, il Pretore di Livorno, sospeso il giudizio sulla convalida ed applicata all’imputato la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, ha, con ordinanza del 29 novembre 1997, denunciato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, gli artt. 383 e 566 del codice di procedura penale;

che, premesso che nel caso di specie l’arrestato non é stato presentato al Pretore dagli stessi ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato, secondo il giudice a quo, l’art. 383 del codice di procedura penale violerebbe l’art. 2, numero 32, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, non essendo prevista alcuna conseguenza quando tale presentazione avvenga non ad opera dei predetti ma da parte di ufficiali od agenti che non hanno avuto in consegna l’arrestato, derivandone che "le condizioni della flagranza vengono riferite al giudice doppiamente de relato";

che l’art. 566, comma 2, contrasterebbe, invece, con l’art. 2, numero 43, della legge-delega, il quale prevede che solo il pubblico ministero e non anche la polizia giudiziaria possa presentare l’imputato al giudice per il giudizio direttissimo;

che nel giudizio davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

Considerato che entrambe le questioni sono manifestamente infondate: la prima, in quanto l’ultima sub-direttiva dell’art. 2, numero 32, della legge-delega si limita a prescrivere l’"obbligo della polizia di porre a disposizione del pubblico ministero al più presto e comunque non oltre le ventiquattro ore dall’arresto o dal fermo, le persone arrestate o fermate", senza nulla disporre in ordine all’ufficiale di polizia giudiziaria che deve procedere alla presentazione, tanto più nei casi, come quello di specie, in cui si sia proceduto a seguito di arresto ad opera di privati, un istituto del quale il rimettente non contesta la legittimità costituzionale; quanto alla seconda, perchè la presentazione per il giudizio direttissimo da parte degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non rappresenta un’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, ma una sorta di attività delegata dal pubblico ministero e che si esplica sotto il costante controllo di quest’ultimo, al quale deve essere data immediata notizia dell’arresto e che, a norma dell’art. 566, comma 1, del codice di procedura penale, é tenuto a formulare l’imputazione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 383 e 566, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Pretore di Livorno con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Giuliano VASSALLI

Depositata in cancelleria il 20 novembre 1998.