Ordinanza n. 368/98

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ORDINANZA N. 368

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI  

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO  

- Dott. Riccardo CHIEPPA  

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con ordinanze emesse il 20 giugno 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza ed il 9 dicembre 1997 (n. 2 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di Modena, rispettivamente iscritte al n. 767 del registro ordinanze 1997 ed ai nn. 294 e 295 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che, nel corso di diversi procedimenti riuniti, promossi da vari contribuenti avverso avvisi di rettifica e liquidazione di maggiore imposta, loro notificati dal competente ufficio distrettuale imposte dirette, la Commissione tributaria provinciale di Cosenza, con ordinanza emessa il 20 giugno 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non prevede che, in caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere che consegua all'annullamento da parte della pubblica amministrazione degli atti impugnati, intervenuto dopo la proposizione del ricorso, questa possa essere condannata al pagamento delle spese del giudizio;

  che, secondo la rimettente, la denunciata norma, si pone in contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparità di trattamento tra il cittadino, il quale, rinunciando al ricorso, deve rimborsare le spese alle altre parti (ai sensi dell'art. 44 dello stesso decreto legislativo n. 546 del 1992), e l'amministrazione finanziaria, la quale, in un'ipotesi di sostanziale rinuncia, resta indenne dal pagamento delle spese di giudizio; b) con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, dato che la possibilità di conseguire la ripetizione delle spese processuali, spesso rilevanti, consentirebbe al contribuente di tutelare più efficacemente la propria posizione e di meglio apprestare le sue difese, potendo egli essere, viceversa, indotto a desistere dal far valere le sue legittime pretese; c) con l'art. 97 della Costituzione, poichè il criterio della soccombenza - esteso in via generale al processo tributario dall'art. 15 del medesimo testo normativo - costituisce anche per l'amministrazione finanziaria un elemento vòlto ad assicurare il rispetto dei princìpi di buon andamento, correttezza ed imparzialità della pubblica amministrazione, ponendosi come limite positivo alla sua attività discrezionale;

  che, nel corso di analogo procedimento e con considerazioni sostanzialmente identiche, la Commissione tributaria provinciale di Modena, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1997, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24, primo e terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione - questione di legittimità dello stesso art. 46, comma 3, "nella parte in cui non consente al contribuente di potersi esprimere sulla "rinuncia", se unilateralmente decisa dall'Ufficio impositore con atto di autotutela, al prosieguo della causa, nè al giudice di pronunciarsi sulla soccombenza delle spese del giudizio";

  che la medesima Commissione tributaria provinciale di Modena, con altra ordinanza emessa anch'essa il 9 dicembre 1997, ha sollevato ulteriore identica questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, per violazione degli artt. 3, 24, primo e terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione;

  che in tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità ovvero per la manifesta infondatezza delle sollevate questioni.

  Considerato che i giudizi, concernenti la medesima norma, possono essere riuniti e congiuntamente decisi;

  che successivamente alla proposizione degli odierni incidenti di costituzionalità questa Corte, chiamata al vaglio di questioni analoghe, ne ha dichiarato la non fondatezza con sentenza n. 53 del 1998;

  che, nella motivazione di tale sentenza, la Corte ha dato esaurienti risposte alle argomentazioni svolte dalle attuali rimettenti onde giustificare i prospettati dubbi in ordine alla violazione del principio di uguaglianza, del diritto di difesa e di tutela giurisdizionale del contribuente, nonchè del principio di buon andamento della pubblica amministrazione;

  che, in particolare, questa Corte ha ivi sottolineato come il legislatore, nell'opera - affidata alla sua discrezionalità - di conformazione degli istituti del processo tributario a quelli del rito civile, non abbia travalicato il limite della razionalità; nel contempo affermando l'inidoneità del richiamo, quale parametro, all'art. 97 Cost., riguardante le sole leggi concernenti in senso proprio l'ordinamento ed il funzionamento sotto l'aspetto amministrativo degli uffici giudiziari (v., da ultimo, sentenze n. 182 e n. 225 del 1996);

  che, relativamente a quanto ulteriormente prospettato in riferimento all'asserita violazione del principio di uguaglianza, basta solo rilevare la disomogeneità - quanto a presupposti, nonchè ad effetti processuali e sostanziali - fra l'ipotesi di rinuncia al ricorso e quella di cessazione della materia del contendere, e dunque la palese inconfigurabilità della paventata disparità di trattamento emergente dalla comparazione tra gli artt. 44 e 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992;

  che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate - in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113, della Costituzione - dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza e dalla Commissione tributaria provinciale di Modena, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Cesare RUPERTO

Depositata in cancelleria il 6 novembre 1998.