Sentenza n. 351/98

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SENTENZA N. 351

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI  

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza emessa il 17 maggio 1997 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Mario Attanasio e la Cassa di Risparmio di Bologna s.p.a., iscritta al n. 607 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

  1. — Con ordinanza emessa il 17 maggio 1997 nel corso di un giudizio di opposizione promosso dal terzo che pretendeva di avere la proprietà di beni mobili pignorati, presso la casa di abitazione del contribuente, dall’esattore che procedeva ad espropriazione forzata per la riscossione di imposte non pagate, il Pretore di Bologna, quale giudice dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito).

  La disposizione denunciata, nell’indicare i beni pignorabili, prevede che l’ufficiale esattoriale debba astenersi dal pignoramento quando sia dimostrato che i beni appartengono a persone diverse dal debitore. La stessa disposizione stabilisce che tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante l’esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate, di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo, ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno.

  Il Pretore di Bologna ritiene, in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che l’art. 65 del d.P.R. n. 602 del 1973 non solo stabilisca un limite per l’attività dell’ufficiale esattoriale che procede all’espropriazione forzata, ma costituisca anche una deroga ai limiti di prova previsti per il terzo opponente dalla disciplina comune (art. 621 cod. proc. civ.), escludendo in ogni caso, appunto, la prova testimoniale, mentre viene ammessa solo quella documentale specificamente indicata.

  Ad avviso del giudice rimettente, questa diversità di disciplina determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento. Difatti, sia nell’esecuzione forzata comune che in quella esattoriale, il terzo é, per definizione, estraneo all’esecuzione. Nei suoi confronti l’esattore, come qualsiasi altro creditore, non é titolare di alcuna azione esecutiva, essendo la partecipazione del terzo opponente al procedimento esecutivo determinata da una illegittima apprensione di beni di cui egli é titolare. Posta la identità di situazioni del terzo rispetto alla procedura esecutiva, non si giustificherebbero i più rigorosi limiti alla prova in ordine alla proprietà del bene, previsti per l’esecuzione esattoriale; limiti che violerebbero anche la garanzia, per il terzo, di poter agire in giudizio a tutela dei propri diritti.

  Il Pretore di Bologna richiama la giurisprudenza costituzionale che riconosce come preminente l’esigenza di realizzare il credito fiscale con speditezza, procedendosi, mediante la riscossione coattiva delle imposte dirette, all’espropriazione di beni che, per il luogo in cui si trovano, si presume siano del debitore. Sono stati, difatti, ammessi ragionevoli limiti alla prova per i terzi che, opponendosi all’esecuzione esattoriale, affermino di essere proprietari dei beni pignorati; ma é stata tuttavia esclusa l’espropriazione di beni che, con certezza e senza il rischio di fraudolente elusioni, non appartengono al contribuente (sentenza n. 358 del 1994).

  I limiti alla prova posti al terzo dalla norma denunciata sarebbero, ad avviso del giudice rimettente, irragionevoli. Nella gran parte dei casi l’acquisto di beni mobili non viene formalizzato con una scrittura privata autenticata o con un atto pubblico, mentre paradossalmente proprio la predisposizione di questi mezzi di prova potrebbe far sospettare della loro strumentalità. In molti casi il terzo opponente non sarebbe in collusione con il debitore, ma si limiterebbe a chiedere la tutela del proprio diritto, in particolare in situazioni di convivenza, quando il terzo é andato ad abitare nella casa di un congiunto o di altra persona.

  2. — E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

  L’Avvocatura concorda con l’ordinanza di rimessione nel ritenere che l’art. 65 del d.P.R. n. 602 del 1973 é stato interpretato nel senso che, per l’opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare esattoriale, la prova dell’appartenenza dei beni rinvenuti nella casa di abitazione del debitore possa essere fornita solo con atto pubblico, scrittura privata autenticata o sentenza passata in giudicato. Non troverebbe, quindi, applicazione la regola comune dell’esecuzione mobiliare (art. 621 cod. proc. civ.), che consente di provare con testimoni il diritto di proprietà sui beni pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, quando l’esistenza del diritto sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Ad avviso dell’Avvocatura, la disposizione denunciata, anche interpretata come deroga alla disciplina comune, non sarebbe in contrasto con la Costituzione, sia perchè la limitazione probatoria sarebbe ragionevolmente giustificata dalla necessità di speditezza nella riscossione delle imposte non pagate, sia per evitare il rischio di fraudolente elusioni.

  L’esistenza di differenti limiti di prova nelle diverse procedure esecutive non violerebbe gli artt. 3 e 24 della Costituzione, giacchè il legislatore può discrezionalmente determinare un regime differenziato di prove, purchè giustificato e razionale. Nei procedimenti di esecuzione coattiva delle imposte, curati dall’ufficiale esattoriale, difficoltà probatorie, preclusioni e presunzioni di appartenenza dei beni sarebbero giustificate dall’interesse, sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 444 del 1995, n. 358 del 1994 e n. 87 del 1962), di assicurare la tempestiva riscossione dei crediti tributari, che concorre a garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

Considerato in diritto

  1. — La questione di legittimità costituzionale investe la disciplina dell’opposizione di terzo nell’esecuzione esattoriale.

  Il Pretore di Bologna, chiamato a giudicare, quale giudice dell’esecuzione, sull’opposizione proposta da un terzo che affermava di essere proprietario dei beni mobili pignorati dall’ufficiale esattoriale nella casa di abitazione di un contribuente moroso, ritiene che l’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), che consente di dimostrare che i beni appartengono a persona diversa dal debitore soltanto con atto pubblico o scrittura privata autenticata di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero con sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta anteriormente allo stesso anno, possa essere in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

  Aderendo all’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, il giudice rimettente ritiene che la norma denunciata non si limiti a disciplinare gli atti che compie l’ufficiale esattoriale, disponendo che egli non possa procedere al pignoramento o che debba desistere dal procedimento di riscossione coattiva quando gli siano esibiti documenti che, senza necessità di altre valutazioni, dimostrino la proprietà dei beni, ma stabilisca un limite alla prova destinato ad operare anche nel giudizio di opposizione promosso dal terzo. Questa interpretazione della disposizione denunciata, pur non essendo l’unica possibile, giacchè il giudice potrebbe esprimere quella valutazione delle prove sottratta all’ufficiale esattoriale, é tuttavia plausibile e ad essa si riferisce la verifica di legittimità costituzionale.

  Il Pretore di Bologna, considerata identica la posizione del terzo rispetto ad ogni procedimento di esecuzione forzata, ritiene che la disciplina della prova nell’esecuzione forzata esattoriale, più restrittiva rispetto al regime dell’esecuzione comune (art. 621 cod. proc. civ.), determini, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, una ingiustificata disparità di trattamento. Inoltre, consentire al terzo opponente solo la prova documentale (con atto pubblico, scrittura privata autenticata o sentenza passata in giudicato) per dimostrare la proprietà di beni mobili il cui acquisto non é solitamente formalizzato con una scrittura, limiterebbe in modo irragionevole, in contrasto anche con l’art. 24 della Costituzione, la garanzia per il terzo di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

  2. — La questione di legittimità costituzionale non é fondata.

   La disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate, mediante l’espropriazione forzata alla quale provvede lo stesso esattore, risponde all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale, attuata con una procedura improntata a criteri di semplicità e di speditezza, che possono comportare non solo presunzioni in ordine all’appartenenza dei beni e preclusioni nelle opposizioni (sentenze n. 415 del 1996, n. 444 del 1995 e n. 358 del 1994), ma anche limiti probatori.

  La disciplina dell’ammissibilità e del regime delle prove é rimessa, sempre nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore (sentenze n. 560 e n. 251 del 1989, n. 94 del 1973 e n. 128 del 1972; ordinanze n. 307 del 1995 e n. 233 del 1986), il quale può, per determinati rapporti, ammettere solo la prova documentale ed escludere quella testimoniale, ponendo limitazioni che non incidono sul diritto di azione, ma disciplinano il regime delle prove quando l’azione sia esercitata o esprimono profili della disciplina sostanziale.

  Ammessa la presunzione di appartenenza al contribuente dei beni mobili pignorati nella sua casa di abitazione, non é di per sè arbitrario, nè manifestamente irrazionale, porre limiti alla prova contraria. Nè una disciplina di tali limiti, diversa e differenziata rispetto a quella prevista per la comune esecuzione forzata, é di per sé irragionevole o lesiva del principio di eguaglianza, potendo trovare giustificazione nelle specifiche finalità del procedimento di esecuzione esattoriale e nella diversità di condizione del credito fiscale e di posizione dei soggetti coinvolti nella riscossione coattiva delle imposte. Inoltre richiedere una prova più onerosa, quale é quella documentale, che dia inequivoca certezza della proprietà dei beni in base a un titolo di acquisto anteriore al verificarsi del presupposto al quale é collegato il rapporto obbligatorio tributario, non comporta una preclusione dell’azione del terzo, diretta a dimostrare in giudizio il proprio diritto sui beni pignorati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Bologna con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 9 ottobre 1998.