Ordinanza n. 329/98

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ORDINANZA N.329

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda         CONTRI       

- Prof.    Guido  NEPPI MODONA   

- Prof.    Piero Alberto  CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale         MARINI       

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio sull'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Pretore di Brescia nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, sorto in relazione all'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sul pubblico impiego), con ricorso depositato il 2 febbraio 1998, ed iscritto al n. 87 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1998 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 2 febbraio 1998, il Pretore di Brescia ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo in relazione all’art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), così come sostituito dall’art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sul pubblico impiego), nella parte in cui dispone l’abrogazione dell’art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia di finanza pubblica), come sostituito dall’art. 6-bis del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito con modificazioni con la legge 18 marzo 1993, n. 67;

che, secondo la ricostruzione del Pretore di Brescia, l’art. 13 della legge n. 498 del 1992, concernente la disciplina di taluni adempimenti previdenziali delle province, delle comunità montane, dei relativi consorzi e delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), é stato dapprima sostituito dall’art. 6-bis del decreto-legge n. 9 del 1993, e, successivamente, é stato espressamente abrogato dall’art. 38 del decreto legislativo n. 546 del 1993, disposizione, quest’ultima, che ha sostituito l’art. 74 del decreto legislativo n. 29 del 1993;

che il ricorrente deduce di avere fatto applicazione dell’art. 13 della legge n. 498 del 1992 anche dopo che la norma era stata abrogata, e di "essere venuto a conoscenza dell’abrogazione (...) per pura casualità, dopo circa quattro anni", sicchè dalla detta abrogazione é derivato "un danno agevolmente individuabile nella perdita di credibilità esterna ed interna dell’autorità giudiziaria, la quale ha per anni applicato una norma abrogata e, così, violato il principio costituzionale che le impone di rispettare la legge";

che, ad avviso del Pretore di Brescia, l’art. 38 del decreto legislativo n. 546 del 1993 é inoltre illegittimo per eccesso di delega ed anche per irragionevolezza, in quanto ha disposto l’abrogazione di una disciplina legislativa che, al momento in cui la legge di delegazione é entrata in vigore, non risultava ancora vigente;

che, secondo il ricorrente, la natura legislativa dell’atto impugnato non preclude l’ammissibilità del conflitto, dato che gli istituti del conflitto di attribuzione e del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale "sono coesistenti e concorrenti e non antagonisti ed incompatibili";

che il ricorrente chiede, infine, che la Corte costituzionale dichiari "la spettanza in via esclusiva all’Autorità giudiziaria della funzione giurisdizionale ed in particolare dell’attribuzione che le impone di conoscere ed applicare la legge, attribuzione lesa nella sua credibilità esterna ed interna dall’inidoneità dell’art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, ad essere conosciuto ed applicato" e, per l’effetto, annulli tale disposizione "con specifico riferimento alla previsione dell’abrogazione dell’art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall’art. 6-bis della legge n. 67 del 1993".

Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte é chiamata a deliberare senza contraddittorio in ordine all’ammissibilità del ricorso sotto il profilo dell’esistenza della "materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza";

che, sotto il profilo dei requisiti soggettivi, il Pretore di Brescia deve ritenersi legittimato a sollevare il conflitto, in ragione della posizione di piena indipendenza attribuita dalla Costituzione a ciascun organo giurisdizionale nell’esercizio delle relative funzioni (ex plurimis, ordinanze nn. 37 del 1998, 469, 442 e 325 del 1997), e che il Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, é legittimato a resistervi;

che, in ordine alla sussistenza dell’oggetto del conflitto, occorre valutare se il ricorrente lamenti la violazione, da parte dell’atto impugnato, di una propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita (sentenza n. 49 del 1998, ordinanze nn. 131 e 73 del 1997);

che il Pretore di Brescia deduce la violazione delle proprie attribuzioni costituzionali da parte dell’art. 38 del decreto legislativo n. 546 del 1993, per il fatto che tale disposizione, anche in conseguenza dei modi e dei tempi di approvazione, sarebbe "inidonea" ad essere conosciuta ed applicata, e quindi lesiva della funzione giurisdizionale nella sua "credibilità interna ed esterna";

che i motivi per i quali la disposizione impugnata sarebbe "inidonea" ad essere conosciuta ed applicata sin dalla sua entrata in vigore, e la "perdita di credibilità" della funzione giurisdizionale, dedotta dal ricorrente quale limitazione della propria sfera di competenza, non concretano però una menomazione giuridicamente apprezzabile delle attribuzioni costituzionali del ricorrente medesimo, ma integrano, semmai, una situazione di puro fatto, insuscettibile ex se di dar vita ad un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato;

che difetta conseguentemente, sotto il profilo oggettivo e prescindendo da ulteriori motivi di inammissibilità relativi alla natura legislativa dell'atto impugnato, la "materia" di un conflitto la cui risoluzione spetti alla competenza di questa Corte, in quanto il ricorso non prospetta alcuna lesione di un’attribuzione costituzionalmente garantita.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione sollevato dal Pretore di Brescia nei confronti del Governo con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Relatore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.