Ordinanza n. 288/98

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ORDINANZA N.288

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 371 bis del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1997 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di C. G., iscritta al n. 34 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 1° luglio 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale per il delitto di omicidio e di porto illegale di arma, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, richiesto dal pubblico ministero di applicare la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di persona sottoposta alle indagini per il delitto di cui all’art. 371-bis del codice penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 371-bis, secondo comma, cod. pen., introdotto dall’art. 25 della legge 8 agosto 1995, n. 332, nella parte in cui dispone la sospensione del procedimento <<fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione>>;

che, ad avviso del remittente, la norma impugnata, nel prevedere la sospensione del procedimento in caso di reticenza della persona informata sui fatti o di falsità delle dichiarazioni da questa rese, determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di cui all’art. 378 cod. pen. (favoreggiamento personale), in relazione alla quale é prevista l’immediata procedibilità e finanche l’arresto, nonchè rispetto alla fattispecie di cui all’art. 372 cod. pen. (falsa testimonianza), aventi entrambe <<la medesima ratio e lo stesso bene giuridico da tutelare>> del reato previsto dall’art. 371-bis cod. pen.;

che l’art. 371-bis, secondo comma, cod. pen. si porrebbe inoltre, secondo il remittente, in contrasto con i princìpi sanciti negli artt. 2 e 13 della Costituzione, che assegnerebbero allo Stato, anche attraverso l’azione repressiva dei reati, una funzione di garanzia dei diritti dell’uomo e dell’inviolabilità della libertà personale, dal momento che la sospensione del procedimento imposta dalla norma impugnata impedirebbe in casi come quello di specie, in cui si procede per omicidio volontario, l’accertamento della responsabilità in ordine a reati di notevole allarme sociale, con il conseguente venir meno della predetta funzione di garanzia;

che il giudice a quo denuncia altresì il contrasto dell’art. 371-bis, secondo comma, cod. pen. con il principio sancito nell’art. 112 della Costituzione, in quanto tale norma, subordinando la procedibilità per il delitto di cui al comma 1 della stessa disposizione all’esito del procedimento nel quale sono state rese le dichiarazioni, introduce una <<notevole restrizione del precetto dell’obbligatorietà dell’azione penale>>;

che la norma censurata violerebbe infine, a parere del remittente, il principio di economia processuale e il <<principio internazionale della speditezza dei processi>> di cui all’art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848; principio, quest’ultimo, che secondo il giudice a quo <<ha assunto una valenza costituzionale anche nell’ambito del nostro ordinamento>>; di qui la presunta violazione dell’art. 10 Cost., esplicitamente evocato nella sola parte motiva dell’ordinanza di rimessione;

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando in via preliminare che la medesima questione era già stata sollevata dallo stesso Giudice per le indagini preliminari ed era stata dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte con l’ordinanza n. 300 del 1997, in quanto il giudice rimettente, respingendo la richiesta di custodia cautelare, aveva già fatto applicazione della norma impugnata, esaurendo la propria cognizione relativa alla fase cautelare nell’ambito della quale era stata sollevata la questione;

che l’Avvocatura dello Stato chiede che anche la nuova questione venga dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto proposta in un procedimento già sospeso, e comunque non fondata.

Considerato che lo stesso giudice rimettente aveva già sollevato identica questione con riferimento al medesimo fatto di reato e alla medesima persona sottoposta alle indagini, dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 300 del 1997, in quanto il giudice, avendo già fatto applicazione della norma impugnata, aveva esaurito la propria cognizione relativa alla fase cautelare nell’ambito della quale era stata sollevata la questione;

  che ora il rimettente solleva la questione senza provvedere in merito alla richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nuovamente presentata dal pubblico ministero;

  che, secondo quanto stabilito dall’art. 371-bis, secondo comma, cod. pen., il procedimento penale per tale reato avrebbe dovuto essere sospeso, e conseguentemente avrebbe dovuto esserne disposta la separazione a norma dell’art. 18, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., mentre dall’ordinanza di rimessione risulta che il pubblico ministero continua impropriamente a procedere congiuntamente per il delitto di cui all’art. 371-bis, primo comma, cod. pen. e per i più gravi delitti di omicidio e di porto illegale di arma;

  che per effetto della diminuzione del limite edittale della pena prevista per il delitto di false informazioni al pubblico ministero, introdotta dall’art. 25 della legge n. 332 del 1995, competente per tale reato é ora il pretore;

  che la competenza del tribunale potrebbe ipotizzarsi solo in forza di un eventuale vincolo di connessione ex art. 12 cod. proc. pen., aspetto su cui, peraltro, nell’ordinanza di rimessione non viene svolta alcuna considerazione;

che, anche a voler prescindere dall’incidenza di questi profili sull’ammissibilità della questione, il giudice rimettente, nel motivare sulla rilevanza, fa riferimento alla utilizzazione delle dichiarazioni che potrebbero essere rese dall’indagato del delitto di false informazioni in ordine all’imputazione di omicidio, che peraltro non forma oggetto della domanda cautelare, argomentando che l’esito del procedimento per tale reato "dipende dalla possibilità di interrogare l’indagato del delitto di cui all’art. 371-bis c.p.";

  che il rimettente vorrebbe dunque ricorrere alla misura della custodia cautelare in carcere per sottoporre ad interrogatorio l’indiziato del delitto di false informazioni al pubblico ministero, così mostrando di attribuire all’istituto del c.d. interrogatorio di garanzia disciplinato dall’art. 294 cod. proc. pen. improprie finalità di mezzo di ricerca della prova, per di più con riferimento ad ipotesi accusatoria diversa rispetto a quella oggetto della domanda cautelare;

  che invece, per raggiungere il fine, dichiarato dallo stesso rimettente, di acquisire nel procedimento per omicidio fonti di prova mediante l’interrogatorio dell’indagato del delitto di false informazioni, il pubblico ministero ben potrebbe assumere l'interrogatorio di tale soggetto in qualità di indagato in un procedimento probatoriamente collegato;

  che, sulla base di tali considerazioni, la questione si presenta palesemente priva di rilevanza e va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile, rimanendo così assorbiti gli altri concorrenti profili di inammissibilità sopra evidenziati.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 371-bis, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1998.