Ordinanza n. 252/98

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ORDINANZA N.252

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 323 del codice penale nel testo antecedente alla novella recata dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’art. 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416, 555 del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1997 dal Tribunale di Sondrio, iscritta al n. 863 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1998 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 10 ottobre 1997, pervenuta a questa Corte il 3 dicembre 1997, il Tribunale di Sondrio ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio), nel testo antecedente alla novella recata dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416, 555 del codice di procedura penale);

che il giudice a quo, chiamato a giudicare, dopo l'entrata in vigore della legge di riforma che ha ridefinito la fattispecie incriminatrice, un imputato di abuso d'ufficio per un fatto commesso sotto il vigore dell'art. 323 cod. pen. nella sua precedente formulazione, afferma di dovere fare comunque applicazione di tale ultima norma, onde verificare, ai fini dell'applicazione delle regole sulla successione delle norme penali nel tempo, dettate dall'art. 2 cod. pen., se la condotta ascritta all'imputato sia sussumibile sia nella fattispecie astratta descritta dalla norma previgente, sia in quella descritta dalla norma attualmente in vigore;

che, sempre secondo il remittente, ai fini del giudizio di rilevanza della questione dovrebbe aversi riguardo "alla formulazione della fattispecie astratta" e non già "all'eventuale concreta determinatezza del capo di imputazione";

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che, secondo l'interpretazione corrente del testo previgente dell'art. 323 cod. pen., venivano ricompresi nella condotta incriminata ogni violazione del parametro di doverosità come risulta dalle regole normative improntate ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, ogni comportamento esplicantesi in un'illecita deviazione dai fini istituzionali, nonchè gli atti viziati da eccesso di potere;

che, ad avviso dell'autorità remittente, siffatta interpretazione, la quale costituirebbe "diritto vivente", non consentirebbe di escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie penale, in relazione ad espressioni quali "parametro di doverosità" o "fini istituzionali", o alla figura normativamente non definita e in costante evoluzione dell'eccesso di potere;

che non vi é stata costituzione di parti nè intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato che una questione di legittimità costituzionale può bensì essere proposta nei confronti di una disposizione abrogata, ma solo in quanto il giudice remittente motivatamente ritenga che essa sia ancora applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio, in forza delle regole sulla successione delle norme nel tempo;

che, nella specie, il giudice a quo é chiamato a confrontare le due norme incriminatrici, quella precedentemente in vigore e quella risultante dalla legge di riforma, in relazione alla condotta concretamente contestata all'imputato, allo scopo di stabilire se l'una o l'altra delle due norme risulti applicabile ai fini del giudizio, in osservanza delle regole sulla successione di norme penali nel tempo;

che, dunque, solo all'esito di tale operazione di raffronto il giudice individuerà quale sia la norma applicabile nel giudizio, in ordine alla quale possa proporsi una eventuale questione di legittimità costituzionale rilevante nel giudizio;

che in assenza di tale determinazione la questione sollevata si presenta, invece, come meramente eventuale e sfornita di congrua motivazione sulla rilevanza (cfr. sentenze n. 195 del 1982, n. 182 del 1984; ordinanza n. 207 del 1993);

che il raffronto fra le due norme incriminatrici, ai fini di determinare la norma applicabile, non comporta alcuna applicazione giudiziale delle norme stesse, ma costituisce una mera operazione logica di confronto fra due descrizioni di fattispecie, e fra ciascuna di esse e la condotta contestata all'imputato, operazione preliminare e strumentale rispetto alla scelta della norma eventualmente applicabile, e non condizionata dall'eventuale dubbio sulla illegittimità costituzionale dell'una o dell'altra norma;

che pertanto la questione é manifestamente inammissibile per difetto di attuale rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio), nel testo antecedente alla novella recata dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416, 555 del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Sondrio con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1998.