Sentenza n. 218/98

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SENTENZA N.218

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), introdotto dall’art. 15 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1997 dal Pretore di Bari nel procedimento penale a carico di Turturro Nicola, iscritta al n. 591 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 7 aprile 1998 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

  1. — Nel corso del dibattimento di un processo a carico di persona imputata del reato previsto dall’art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), introdotto dall’art. 15 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), il Pretore di Bari solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di costituzionalità della citata disposizione, che sanziona con l’arresto da sei mesi a due anni il sottoposto a una misura di prevenzione ai sensi della legge n. 575 del 1965 che non ottemperi, nel termine fissato dal Tribunale, alla prescrizione, adottata a norma del primo comma dell’art. 3-bis, di depositare una somma a titolo di cauzione, nè offra garanzie sostitutive.

  Nel caso di specie, all’imputato é contestato il reato de quo per non avere adempiuto al versamento di una cauzione di trenta milioni di lire, imposta dal Tribunale all’esito del procedimento di prevenzione. Lo stesso imputato, nel dibattimento celebrato dinanzi al Pretore rimettente, si é difeso osservando che all’epoca dell’imposizione della cauzione egli non disponeva della somma necessaria, e che si era dichiarato disponibile a offrire, quali garanzie sostitutive, la propria autovettura e dei monili; tale richiesta era stata respinta, per intempestività, dal Tribunale, con apposito provvedimento.

  Ad avviso del Pretore, l’incriminazione dell’inottemperanza all’ordine di deposito della cauzione é censurabile sul piano costituzionale, secondo un triplice ordine di argomenti.

  In primo luogo, la sanzione penale per l’omissione del versamento della cauzione o per la mancata prestazione delle garanzie sostitutive risulta discriminatoria in danno di chi non dispone di mezzi economici adeguati; tale disparità appare iniqua e irragionevole e perciò lesiva dell’art. 3 della Costituzione, tenuto conto - osserva il giudice a quo - della mancanza di previsioni collaterali che permettano all’autorità giudiziaria di verificare le effettive disponibilità e i redditi dell’interessato.

  In secondo luogo, la norma appare in contrasto anche con l’art. 27, primo comma, della Costituzione, perchè essa fa conseguire l’applicazione di una sanzione penale dalla inosservanza di un obbligo di dare, il cui adempimento - secondo il Pretore rimettente - non é interamente riconducibile alla determinazione e alla volontà del soggetto; la punizione della mancata prestazione della cauzione per scarse disponibilità economiche finisce quindi per violare il principio di personalità della responsabilità penale, giacchè rende oggettivamente responsabile la persona di una omissione non riconducibile al suo agire.

  Per un terzo e ultimo profilo, la previsione incriminatrice contrasterebbe con il finalismo rieducativo della pena (art. 27, terzo comma, della Costituzione): la funzione rieducativa postula che il soggetto percepisca il disvalore del reato commesso, e viene meno se la sanzione risulta irrazionale e incomprensibile. Se il soggetto non versa la cauzione non per colpevole e volontaria decisione, ma per oggettiva impossibilità, si delinea appunto la vanificazione della portata rieducativa della sanzione penale.

  2. — E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

  Ad avviso dell’Avvocatura, la questione sembra evocare, a prima vista, gli argomenti che condussero alla dichiarazione di incostituzionalità del vecchio testo dell’art. 136 cod. pen., che prevedeva, in caso di insolvenza del condannato, la conversione della pena pecuniaria in quella detentiva. La Corte costituzionale (sentenza n. 131 del 1979) osservò allora che la conversione assumeva quale motivo esclusivo dell’aggravamento qualitativo della pena le condizioni economiche e sociali del condannato, e si poneva perciò in contrasto con il principio di uguaglianza.

  Ma la questione ora sollevata é del tutto diversa: la norma impugnata non istituisce un’automatica conversione di un obbligo a contenuto patrimoniale in una pena restrittiva della libertà personale, ma delinea semplicemente un’ipotesi di reato contravvenzionale che soggiace a tutti i princìpi generali del diritto penale.

  Non é quindi esatto quanto assume il rimettente, che individua nella norma un caso di responsabilità oggettiva. L’inottemperanza all’ordine di deposito deve essere infatti dolosa o, perlomeno, colposa, trattandosi di reato contravvenzionale, cosicchè colui che si trovi nell’impossibilità di ottemperare per mancanza di mezzi economici e per causa a lui non imputabile verserà in una situazione di "inesigibilità", tale da escludere la colpevolezza, ovvero potrà invocare la forza maggiore, tale da far venire meno il fatto-reato tipico. Verso tale interpretazione conforme a Costituzione e ai principi generali orienta del resto la stessa formulazione complessiva dell’art. 3-bis, che, al primo comma, nel dettare i criteri che il tribunale deve osservare all’atto di determinare la cauzione, prescrive di tener conto delle condizioni economiche del sottoposto alla misura preventiva.

  Escluso, per quanto detto, che si possa prescrivere una cauzione a persona in stato di totale indigenza, e rispettato da parte del tribunale il criterio di commisurazione dell’importo alle reali capacità economiche del soggetto, l’alternativa possibile si riduce (a) all’inottemperanza preordinata e volontaria, nel qual caso sussisteranno gli estremi del reato, ovvero (b) all’inosservanza per difficoltà economica non preordinata e non imputabile a fatto del soggetto, che andrà pertanto liberato dall’addebito penale, o sul piano della sussistenza del fatto o su quello dell’elemento soggettivo.

  Se non é violato il principio di personalità della responsabilità penale, l’Avvocatura osserva che anche la censura riferita alla finalità rieducativa della pena viene conseguentemente meno: tale finalità non é un elemento della colpevolezza, ma ha rappresentato un principio-base cui la Corte costituzionale ha fatto riferimento nella ricostruzione della colpevolezza come "rimproverabilità" (sentenza n. 364 del 1988). Il rimettente ha invertito l’ordine logico della sequenza, desumendo la violazione della finalità rieducativa dall’assunto che la norma preveda un’ipotesi di responsabilità oggettiva: ma se così non é, come si é detto, e se dunque la contravvenzione non é configurabile in caso di non imputabilità dell’incapacità economica che determina l’inosservanza, viene meno anche il profilo di censura in esame.

  L’Avvocatura conclude quindi per una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione.

Considerato in diritto

  1. — Il Pretore di Bari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), introdotto dall’art. 15 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), che prevede che colui il quale sia sottoposto a una misura di prevenzione personale a norma della legge n. 575 del 1965 e non ottemperi, nel termine fissato dal tribunale, alla prescrizione di depositare una somma a titolo di cauzione o non offra garanzie sostitutive, sia sottoposto alla sanzione dell’arresto da sei mesi a due anni.

  La norma - introdotta nel sistema della legislazione antimafia dalla richiamata legge n. 646 del 1982 unitamente alle disposizioni rivolte a prevenire e sanzionare le accumulazioni patrimoniali di origine illegale - vale a garanzia dell’obbligo di versare la cauzione imposta contestualmente all’applicazione della misura di prevenzione personale (art. 3-bis, primo comma), in funzione del rispetto dei divieti e delle prescrizioni che derivano da quest’ultima. Conformemente a tale suo carattere strumentale e "cautelare" (art. 3-bis, ottavo comma), la somma versata é restituita all’interessato al termine dell’esecuzione della misura (quinto comma), ovvero é confiscata in caso di trasgressione ai divieti e agli obblighi posti con il decreto (sesto comma).

  Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata é in contrasto (a) con l’art. 3 della Costituzione, poichè essa determinerebbe un ingiustificato uguale trattamento di soggetti che, a causa delle loro disponibilità economiche, sono o non sono in condizione di adempiere all’obbligo di deposito della cauzione o di prestazione della garanzia; (b) con l’art. 27, primo comma, della Costituzione, poichè il prevenuto il quale versi in condizioni economiche che non gli consentono di adempiere all’obbligo di cauzione o di garanzia verrebbe a essere assoggettato a una sanzione penale per una condotta incolpevole, a lui riferibile solo oggettivamente; (c) con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, poichè la pena irrogata a un soggetto chiamato a rispondere per una propria omissione a titolo meramente oggettivo sarebbe inidonea a perseguire la sua necessaria funzione rieducativa.

  2. — La questione é infondata in riferimento a tutti i parametri costituzionali invocati.

  2.1. — Quanto alla violazione del principio di uguaglianza, sotto il profilo dell’uguale trattamento di situazioni in fatto diverse, é sufficiente considerare che, a norma del primo comma del medesimo art. 3-bis, la determinazione da parte del tribunale della somma da versare a titolo di cauzione in vista di "un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte" col provvedimento di prevenzione deve tenere conto - oltre che dei provvedimenti di sequestro e confisca che siano stati adottati, a norma dell’art. 2-ter della medesima legge, nei confronti del proposto o del sottoposto a misura di prevenzione relativamente ai suoi beni di origine illegale - anche delle condizioni economiche del prevenuto. La corretta considerazione congiunta della finalità della misura, cioé l’efficace deterrenza rispetto alla violazione delle prescrizioni di prevenzione, e delle disponibilità economiche su cui la cauzione viene a incidere consente al tribunale, anzi impone, come condizione di validità del provvedimento, la valutazione differenziata delle diverse condizioni economiche dei soggetti interessati; una valutazione, inoltre, non solo sottoposta a verifica nelle normali procedure di ricorso in appello e in cassazione previste dall’art. 4 della legge n. 1423 del 1956, ma anche sempre rivedibile alla stregua dell’ultimo comma dell’art. 3-bis in esame, il quale consente in ogni momento la revoca, totale o parziale, della misura per comprovate gravi necessità personali o familiari, che includono, secondo la corrente interpretazione della giurisprudenza, l’ipotesi dell’incapacità economica.

  Si deve perciò escludere che la legge operi un cieco livellamento di situazioni diverse dal punto di vista delle disponibilità economiche dei prevenuti, essendo invece sempre tenuto il tribunale a valutare la specificità delle situazioni e la congruità delle singole misure ai fini della determinazione dell’entità della cauzione. Ne segue che la fattispecie penale dell’impugnato quarto comma dell’art. 3-bis, della quale il provvedimento del tribunale costituisce il presupposto, non comporta quell’equiparazione nello stesso trattamento penale di situazioni diverse che il giudice rimettente ha ravvisato nel sollevare la presente questione d’incostituzionalità.

  2.2. — Anche i dubbi sollevati con riguardo al primo comma dell’art. 27 della Costituzione risultano infondati.

  La censura che il Pretore rimettente prospetta a tale proposito muove dall’ipotesi non di applicazione ma di violazione della legge. Si considera infatti il caso in cui il tribunale, male intendendo il suo compito, abbia imposto il versamento di una cauzione che il soggetto non ha la possibilità materiale di effettuare. Tale soggetto sarebbe posto nelle condizioni di non poter non violare l’obbligo penalmente sanzionato, indipendentemente dalla sua volontà. La sanzione penale conseguirebbe in tal modo, in violazione dell’art. 27, primo comma, della Costituzione, a un comportamento omissivo incolpevole, la cui responsabilità verrebbe quindi ascritta obbiettivamente al suo autore.

  In tal modo, tuttavia, il giudice rimettente opera arbitrariamente un rovesciamento argomentativo, ragionando come se la responsabilità penale, nella specie, fosse il dato di partenza necessario invece che il punto d’arrivo eventuale del suo giudizio. Egli infatti assume che vi sia responsabilità penale anche se il comportamento omissivo previsto dalla disposizione denunciata non é ascrivibile soggettivamente all’imputato, e da ciò inferisce la lesione dell’art. 27, primo comma, della Costituzione. Le regole ordinarie che valgono in tema di colpevolezza in materia penale portano invece pianamente alla conclusione opposta. In particolare, dalla disciplina dei criteri di imputazione soggettiva del reato contenuta nell’art. 42 cod. pen. discende che anche il reato contravvenzionale in questione presuppone quantomeno la colpa. Perciò la materiale impossibilità di provvedere al versamento della cauzione, causata da mancanza di disponibilità economiche evidentemente non preordinata o colposamente determinata, comporta non una forma di responsabilità oggettiva ma l’esenzione da responsabilità.

  2.3. — Le considerazioni che precedono, infine, danno la ragione dell’infondatezza anche della questione prospettata sotto il profilo della violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione. Una volta esclusa la possibilità di individuare, nella fattispecie prevista dall’impugnato quarto comma dell’art. 3-bis della legge n. 575 del 1965, un’ipotesi di responsabilità penale oggettiva, viene a mancare infatti ogni motivo per seguire il ragionamento del giudice rimettente circa il rapporto tra funzione rieducativa della pena e volontarietà dell’illecito penale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), introdotto dall’art. 15 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° giugno 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.