Sentenza n. 200/98

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SENTENZA N.200

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 84, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), promosso con ordinanza emessa il 23 gennaio – 20 febbraio 1997 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Severino Natale ed altri contro il Ministero degli affari esteri iscritta al n. 422 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione di Baldi Renata nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 1998 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l’avvocato Federico Sorrentino per Baldi Renata e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel 1990 alcuni dipendenti del Ministero degli affari esteri in servizio a Mosca (rivestenti varie qualifiche, diverse da quella diplomatica) proponevano ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, chiedendo l'annullamento dei decreti ministeriali con cui era stato determinato – nella misura minima prevista dall'art. 84 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri) – il canone che essi dovevano corrispondere per gli alloggi loro concessi dall'ambasciata italiana nella capitale russa.

Con ordinanza emessa in data 23 gennaio – 20 febbraio 1997 il TAR, ritenendo che i suddetti decreti ministeriali siano conformi al citato d.P.R. n. 18 del 1967, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 84, quarto comma, dello stesso, lamentando la violazione degli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione.

2.— La norma impugnata dispone che, in caso di assegnazione di alloggi presi in fitto dal Ministero degli esteri, i dipendenti di ruolo debbano versare all’Amministrazione un canone corrispondente ad una percentuale dell'indennità di servizio all'estero, da loro percepita, non inferiore ad un settimo e non superiore ad un quinto, indipendentemente dall'effettiva somma corrisposta dall'ambasciata al locatore. In particolare, per gli alloggi moscoviti verrebbe, in genere, trattenuta una somma superiore al doppio dei canoni (comprensivi delle spese di riscaldamento) realmente corrisposti al Governo russo che li fornisce.

3.— Il Tribunale amministrativo regionale ritiene che la rigidità delle decurtazioni previste dalla norma impugnata sia irragionevole, risultando sproporzionata rispetto agli oneri effettivamente sostenuti dall’Amministrazione, e sia lesiva del principio di uguaglianza, "finendo con l’avvantaggiare i dipendenti che ottengono alloggi più costosi e confortevoli a danno di quelli che fruiscono di alloggi modesti, piccoli e meno costosi".

Essa sarebbe, inoltre, contraria a quanto previsto dalla legge delega (legge 13 luglio 1965, n. 891, recante "delega al Governo per l’emanazione di norme relative all’ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri"), la quale, all’art. 3, numero 6), ha disposto che le norme delegate determinino "il riordinamento del sistema del trattamento economico del personale in servizio all’estero ... tendente in particolare all’adeguamento degli assegni all’estero agli effettivi oneri dipendenti dallo svolgimento delle varie funzioni, anche in connessione con l’eventuale rimborso, totale o parziale, delle spese di alloggio e di quelle di viaggio" e con una serie di altri elementi.

Infine, sarebbe violato "il generalissimo principio di buon andamento della pubblica amministrazione".

4.— Si é costituita nel giudizio avanti alla Corte costituzionale la signora Renata Baldi, ricorrente nel giudizio principale, che ha pure depositato una memoria in prossimità dell’udienza.

La parte privata riprende e sviluppa le argomentazioni svolte dal giudice a quo.

In primo luogo, sottolinea che la violazione degli artt. 3 e 76 della Costituzione deriva dal fatto che "l’astrattezza con la quale il legislatore delegato ha dettato la disciplina delle trattenute per coloro che fruiscono di alloggio in immobili presi in fitto dal Ministero degli affari esteri non consente di attribuire rilievo alle diverse situazioni concrete e quindi ai costi effettivi degli alloggi, avvantaggiando in molti casi i dipendenti che ottengono alloggi più costosi e confortevoli a danno di quelli che fruiscono di alloggi modesti".

D’altra parte, l’indennità oggetto di trattenuta é destinata a sopperire agli oneri del servizio all’estero ed é commisurata ad essi (tra i quali vi é il costo degli alloggi nella sede ove si presta servizio): "ne discende allora che, quando il costo degli alloggi sia relativamente basso, é assai probabile che esso incida in misura assai inferiore al settimo dell’indennità stessa, onde la sua decurtazione, anche nella misura minima, rischia di far perdere, in tutto o in parte, all’indennità stessa quella funzione di adeguamento al costo della vita cui é istituzionalmente preordinata".

Infine, la norma impugnata violerebbe anche l’art. 97 della Costituzione "sia per la mancata predeterminazione di criteri orientativi dell’Amministrazione nell’assegnazione degli alloggi tale da impedire favoritismi ed arbitrî, sia per l’adozione di un criterio inidoneo ... ad adeguare ai costi effettivi degli alloggi gli oneri per gli interessati".

5.— E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che, per quanto concerne il contrasto con gli articoli 76 e 97 della Costituzione, la questione é inammissibile per difetto di motivazione, mentre, con riferimento all’art. 3, é infondata.

Infatti la norma impugnata, "proprio in ossequio all’invocato principio di uguaglianza, ha fissato la misura minima e massima del canone, attribuendo al Ministro degli affari esteri il potere di stabilire, con decreto, l’entità del canone alla luce delle caratteristiche dell’alloggio e dell’eventuale arredamento". Pertanto, la lamentata sperequazione sarebbe un dato di mero fatto, derivante "dalla casualità con la quale vengono assegnati gli alloggi e dall’estrema variabilità delle dimensioni e caratteristiche degli stessi".

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 84, quarto comma, del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), nella parte in cui introduce un elemento di rigidità ed astrattezza nella determinazione del canone degli alloggi forniti al personale in servizio all’estero, in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione.

2.— La questione deve innanzitutto essere dichiarata inammissibile in riferimento all’art. 97 della Costituzione: il TAR, infatti, non spende alcuna parola per motivare l’asserita violazione di tale norma costituzionale.

3.— Riguardo agli altri parametri la questione non é fondata.

L’art. 84, secondo comma, del decreto legislativo citato prevede che "qualora ricorrano particolari ragioni connesse con la situazione del Paese e finchè le stesse permangano, il Ministero degli affari esteri può concedere in uso al personale locali siti in immobili presi in fitto". Il quarto comma, impugnato dal TAR, dispone che, per tali alloggi, i dipendenti di ruolo debbano versare all’Amministrazione un canone corrispondente ad una percentuale dell'indennità di servizio all'estero, da loro percepita, non inferiore ad un settimo e non superiore ad un quinto (mentre al personale a contratto dev’essere trattenuta un’analoga percentuale della retribuzione mensile), "in relazione alle caratteristiche dell’alloggio e dell’eventuale arredamento" ed indipendentemente dall'effettiva somma corrisposta dall'ambasciata al locatore.

Al contrario di quanto sostiene il giudice a quo, tale disposizione non appare irragionevole: essa prevede una forma di intervento dell’Amministrazione di carattere eccezionale, temporaneo e comunque facoltativo, mentre la regola generale in materia é che i dipendenti in servizio all’estero provvedano da soli a reperire gli alloggi loro necessari e che ai sensi dell’art. 178 del d.P.R. n. 18 del 1967, il Ministero eroghi loro un contributo per le spese di abitazione, qualora queste superino la quota del 20% dell’indennità personale (indennità che risulta dal cumulo di quella di servizio all’estero con gli eventuali aumenti per i carichi di famiglia).

Nel caso in cui sussista la predetta situazione particolare occorre considerare che il legislatore delegato, nella sua discrezionalità, ha ritenuto di operare una scelta semplificatrice, individuando una misura mediamente corrispondente al costo degli alloggi per i propri dipendenti. In tale costo vanno ricompresi anche gli oneri sopportati esclusivamente dal medesimo Ministero nei periodi in cui l’alloggio rimanga inutilizzato a causa del trasferimento ad altra sede di chi ne fruiva o in conseguenza degli accordi eventualmente conclusi con i dipendenti, in base ai quali l’Amministrazione assume su di sè tutte le spese, anche di manutenzione ordinaria.

D’altra parte, la norma impugnata consente una certa flessibilità nella determinazione del canone, che può variare da un minimo di un settimo ad un massimo di un quinto dell’indennità di servizio all’estero. Questa misura risulta comunque inferiore, in percentuale, a quella che sarebbe sopportata dal dipendente in condizioni normali, qualora l’Amministrazione non gli procuri l’alloggio: infatti, in tal caso – come già ricordato – l’art. 178 del d.P.R. n. 18 del 1967 prevede un contributo del Ministero per le spese di abitazione dei propri dipendenti all’estero solo ove queste siano superiori ad un quinto dell’indennità personale da essi percepita.

4.— La norma impugnata non viola nemmeno il principio di eguaglianza, come lamenta il giudice a quo, secondo cui finirebbe "con l’avvantaggiare i dipendenti che ottengono alloggi più costosi e confortevoli a danno di quelli che fruiscono di alloggi modesti, piccoli e meno costosi".

Essa, infatti, impone al Ministero di fissare il canone degli immobili concessi al proprio personale "in relazione alle caratteristiche dell’alloggio e dell’eventuale arredamento": la casualità nell’assegnazione delle diverse abitazioni ai vari dipendenti in servizio a Mosca e l’uniformità nella determinazione del relativo canone, denunciate dal TAR e confermate dall’Avvocatura dello Stato, non sono conseguenze derivanti dalla norma considerata nel suo contenuto precettivo, ma piuttosto dalla sua applicazione in concreto. Ci si trova, dunque, di fronte ad una eventuale disparità di trattamento di mero fatto, che non ha rilevanza ai fini della verifica della costituzionalità della disposizione censurata, come ripetutamente affermato da questa Corte (si vedano, da ultime, le sentenze n. 417 del 1996, n. 175 del 1997 e n. 18 del 1998).

5.— Parimenti non é violato l’art. 76 della Costituzione, attraverso la norma interposta rappresentata dalla legge delega n. 891 del 1965.                                                                                                                                           

Quest’ultima, all’art. 3, numero 6), precisa che la determinazione degli assegni percepiti dal personale in servizio all’estero deve avvenire secondo un criterio che tenga conto di vari elementi, tra cui l’eventuale rimborso delle spese di alloggio e di viaggio, il trattamento di missione e, soprattutto, l’adeguamento "tendenziale" agli effettivi oneri sopportati dal personale a causa dello svolgimento delle funzioni. Non é, dunque, prescritto che debba esservi una perfetta corrispondenza tra l’ammontare dell’indennità di servizio all’estero ed i suddetti oneri, per cui non appare censurabile il d.P.R. n. 18 del 1967 (che ha, peraltro, operato una complessiva revisione del sistema retributivo ed indennitario previsto per il personale del Ministero degli esteri). Esso, all’art. 171, ha disposto che la predetta indennità sia calcolata sulla base di diversi parametri – quali il costo della vita, quello degli alloggi, del personale domestico e dei servizi, il corso dei cambi, ed anche le condizioni disagiate della sede – introducendo così una sufficiente correlazione con gli oneri sopportati dal personale. Conseguentemente, anche l’art. 84 impugnato, che collega la misura del canone dovuto per gli alloggi forniti dall’Amministrazione all’indennità di cui si tratta, non appare contrastante con la legge delega.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 84, quarto comma, del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 84, quarto comma, del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal medesimo Tribunale con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede dalla Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 3 giugno 1998.