Ordinanza n. 175/98

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ORDINANZA N.175

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 84, 85, 169, secondo comma, 208 e 309 del codice di procedura civile e dell’articolo 104, secondo comma, del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 (Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile), promossi con cinque ordinanze, la prima emessa il 20 giugno 1995, e le altre quattro il 24 agosto 1995 dal Pretore di Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 278, 557, 558, 559 e 560 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22 e 37, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 1998 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

  Ritenuto che nel corso di una causa civile, avente a oggetto l’opposizione a un decreto ingiuntivo, all’udienza dell’11 maggio 1995, fissata per l’escussione di alcuni testimoni, i difensori delle parti dichiaravano di aderire allo "sciopero degli avvocati";

  che il Pretore di Milano, trovandosi nella necessità di decidere se le parti fossero o meno decadute dall’assunzione delle prove orali, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 208 del codice di procedura civile, nella parte in cui preclude al giudice la declaratoria di decadenza in caso di astensione dei procuratori delle parti dalle udienze, attuata in difformità dalle prescrizioni e modalità di cui alla legge n. 146 del 1990;

  che, secondo il rimettente, la Corte costituzionale avrebbe escluso, sin dal 1975, che la "protesta" dei difensori possa qualificarsi ai sensi dell’art. 40 o dell’art. 41 della Costituzione;

  che, peraltro, la situazione di fatto sarebbe tale da integrare il pericolo paventato dalla Corte con la sentenza n. 114 del 1994, essendosi verificata la "paralisi dell’esercizio della funzione giurisdizionale, con conseguente grave compromissione di fondamentali principi";

  che la "protesta" non costituirebbe legittimo impedimento all’assunzione di testimonianze;

  che, infatti, l’astensione dalle udienze andrebbe qualificata come sciopero, in base alla legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), la quale detta varie prescrizioni, fra cui il congruo preavviso e le limitazioni di durata, nella specie non sussistenti;

  che, interpretando la "protesta" dei lavoratori autonomi, quali sono da considerare nell’espletamento della loro professione gli avvocati e i procuratori legali, s’imporrebbe il controllo delle modalità di esercizio di essa alla luce dei principi costituzionali tendenti a garantire il rispetto dei diritti della persona;

  che pur risultando negativo siffatto riscontro, l’art. 208 del codice di procedura civile non consente di dichiarare la decadenza dall’acquisizione di prove, atteso che tale effetto deriva solo dalla mancata presentazione delle parti all’udienza fissata per l’escussione dei testi, nulla prevedendo con riguardo al caso in esame;

  che la disposizione censurata sarebbe lesiva dell’art. 3, perchè disciplinerebbe in modo identico due situazioni diverse;

  che violerebbe altresì l’art. 97, recando danno al buon andamento dell’amministrazione giudiziaria per le oggettive difficoltà che crea al giudice nell’organizzazione delle già scarse risorse del proprio ufficio, e l’art. 101, secondo comma, della Costituzione, permettendo alle parti di disporre dei tempi e dei modi del processo, senza alcun controllo da parte del giudice;

  che, di fatto, si rimetterebbe la decadenza al diritto potestativo delle parti e dei loro difensori;

  che la questione sarebbe rilevante, perchè solo se fondata il Pretore potrebbe dichiarare l’intervenuta decadenza delle parti dall’assunzione di ulteriori prove orali;

  che nel corso di altra causa civile, avente a oggetto il risarcimento dei danni da sinistro stradale, i difensori affermavano di astenersi dall’udienza, in data 17 maggio 1995, e il Pretore di Milano sollevava, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 208 del codice di procedura civile e dell’art. 104, secondo comma, delle disposizioni per l’attuazione dello stesso codice, di cui al regio decreto n. 1368 del 1941, con la stessa motivazione dell’ordinanza che precede;

  che nel corso di due ulteriori cause civili, avendo i difensori delle parti aderito all’astensione dalle udienze proclamata dagli organismi associativi degli avvocati e procuratori legali, il Pretore di Milano - accertata la rilevanza - sollevava, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 309 del codice di procedura civile, nella parte in cui impedisce al giudice di ordinare la cancellazione della causa dal ruolo, qualora l’astensione dalle udienze dei procuratori sia attuata in difformità dalle prescrizioni e modalità di cui alla legge n. 146 del 1990;

  che, in combinato disposto con l’art. 181, primo comma, del codice di procedura civile, l’art. 309 prevede la cancellazione della causa dal ruolo quale conseguenza della mancata comparizione delle parti a una udienza successiva alla prima;

  che, tuttavia, nel caso esaminato i procuratori delle parti sarebbero comparsi solo fisicamente, senza compiere alcuna istanza o attività processuale;

  che, pertanto, la disposizione censurata violerebbe - per le medesime ragioni illustrate sopra - gli artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione;

  che, infine, nel corso di una causa civile, avente a oggetto l’opposizione a un decreto ingiuntivo, i sostituti dei difensori delle parti, non muniti di procura scritta, dichiaravano, all’udienza del 16 maggio 1995, di aderire all’astensione in corso degli avvocati e procuratori legali;

  che il Pretore di Milano, con ordinanza del 24 agosto 1995, sollevava tre distinte questioni di legittimità costituzionale in rapporto di subordinazione conseguenziale;

  che, innanzitutto, il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 84 del codice di procedura civile nella parte in cui "consente al procuratore di farsi sostituire mediante delega orale anzichè scritta";

  che, in base a quanto premesso dal giudice a quo, la disposizione denunciata riflette una prassi, immemorabile, instauratasi negli uffici giudiziari;

  che il vulnus ai precetti costituzionali consisterebbe, in primo luogo, nell’ingiustificata disparità di trattamento fra la parte sostanziale del processo - la quale deve sempre conferire per iscritto la procura alle liti - e il suo procuratore, che può invece farsi sostituire in udienza da qualsiasi collega senza l’osservanza della forma prescritta; e, in secondo luogo, per l’opposta previsione contenuta nell’art. 108 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, con l’espressa e ineludibile richiesta, per la prova delegata, della procura scritta;

  che, inoltre, si profilerebbe un contrasto con l’art. 24 della Costituzione, perchè la citata interpretazione precluderebbe alla parte di esercitare il diritto inviolabile alla difesa tecnica mediante la designazione scritta del sostituto del proprio difensore impedito;

  che la questione sarebbe rilevante, perchè - qualora venisse riconosciuta illegittima la prassi delle "deleghe orali" - la causa andrebbe cancellata dal ruolo, non essendo comparsi all’udienza nè le parti, nè difensori nominati con atto scritto;

  che, il Pretore di Milano ha sollevato, con la stessa ordinanza, altra questione, relativa all’art. 309 del codice di procedura civile, in riferimento ai medesimi parametri e con le stesse motivazioni esposte al paragrafo 3;

  che infine ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 85 e 169, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non consentono di depositare personalmente il fascicolo di causa a chi si sia costituito in giudizio mediante un procuratore che aderisca alla protesta collettiva, e per converso non permettono al giudice di fissare un termine per l’effettuazione del deposito;

  che, ad avviso del rimettente, non é censurabile la scelta del procuratore di non depositare il fascicolo, sebbene esponga il proprio assistito alle conseguenze d’un giudizio sfavorevole per la impossibilità che siano valutate le prove documentali: di qui, la rilevanza della questione;

  che l’astensione dalle udienze di uno dei difensori non può, infatti, essere attratta nella previsione di cui all’art. 115 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile che regola il grave impedimento, ma può esserlo, piuttosto, in quella dell’art. 85 che disciplina la rinuncia alla procura compiuta dal difensore, non essendo l’astensione degli avvocati dalle udienze esercizio d’un diritto costituzionale (qual é lo sciopero), bensì soltanto una libera scelta, ovvero una volontaria omissione, civilisticamente qualificabile come rinuncia al mandato;

  che l’art. 85 del codice di procedura civile - non imponendo al giudice la verifica della conoscenza, acquisita dal litigante, circa l’astensione del proprio procuratore dall’udienza - si porrebbe in contrasto con quei precetti costituzionali che permettono alla parte di provvedere in altro modo alla propria difesa;

  che vi sarebbe lesione degli artt. 3 e 24 della Costituzione per le medesime ragioni in precedenza indicate;

  che, in particolare, ove non sia ravvisata disparità di trattamento dalla Corte, si dovrebbe sospettare di illegittimità costituzionale la disposizione processuale nel suo insieme, in quanto non riconosce efficacia alla rinuncia al mandato difensivo e non impone che ne sia data tempestiva notizia alla parte prima dell’udienza in cui sarà dichiarata; e in tal caso, non essendo possibile valutare se la parte sia stata adeguatamente posta in condizione di provvedere alla sostituzione, risulterebbe preclusa al giudice anche la possibilità di disporre un rinvio utile alla parte per esplicare in concreto le proprie difese (la disciplina dettata per le ipotesi di morte o impedimento del procuratore ex art. 301 del codice di procedura civile costituirebbe il tertium comparationis);

  che analoghe considerazioni varrebbero per l’art. 169, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui vieta la fissazione di un termine, successivo all’udienza di discussione, perchè avvenga il deposito del fascicolo non effettuato dal difensore, senza distinguere fra le possibili ragioni del mancato adempimento;

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo per l’infondatezza o per l’inammissibilità delle questioni sollevate.

  Considerato che vengono all’esame della Corte le questioni di legittimità costituzionale:

- degli artt. 208 del codice di procedura civile, 104, secondo comma, delle disposizioni per l’attuazione di esso, di cui al regio decreto n. 1368 del 1941, e 309 del medesimo codice, sollevate per lesione degli artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione;

- dell’art. 84 del codice di procedura civile, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

- degli artt. 85 e 169, secondo comma, del codice di procedura civile, per contrasto con gli artt. 3, 24, 40 e 41, secondo comma, della Costituzione;

  che tutte le ordinanze di rimessione presuppongono una valutazione dell’astensione degli avvocati dalle udienze ai sensi delle previsioni contenute nella legge n. 146 del 1990;

  che questa Corte, con la sentenza n. 171 del 1996, successiva alle cinque ordinanze di rimessione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 146 del 1990, nella parte in cui non prevede, nel caso dell’astensione collettiva dall’attività giudiziaria degli avvocati, l’obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell’astensione e non prevede, altresì, gli strumenti idonei ad assicurare le prestazioni essenziali, nonchè le procedure e le misure conseguenziali nell’ipotesi di inosservanza;

  che con detta sentenza, e le successive ordinanze nn. 106 e 105 del 1998 e 318 e 273 del 1996, si é già chiarito come la libertà dei professionisti non sia assoluta, spettando al giudice il potere di bilanciare i valori in conflitto, sì da far recedere - se del caso - quella libertà a fronte di valori costituzionalmente rilevanti;

  che, pertanto, appare opportuno disporre la restituzione degli atti al medesimo giudice, affinchè, alla luce del nuovo quadro normativo, valuti se le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  ordina la restituzione degli atti al Pretore di Milano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 8 maggio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1998.