Ordinanza n. 148/98

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ORDINANZA N.148

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 agosto 1997 dal Pretore di Pescara nel procedimento penale a carico di P.S., iscritta al n. 723 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Pretore di Pescara, nel corso dell’udienza per la convalida dell’arresto di persona imputata del delitto di evasione per essersi allontanato dal luogo ove si trovava agli arresti domiciliari, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui "non prevede che il limite all’applicazione delle misure di custodia cautelare contenuto nell’ultimo periodo di tale disposizione non si applichi nei casi in cui la decisione sulla misura cautelare abbia luogo in sede di convalida dell’arresto";

  che il giudice rimettente, richiamato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il limite edittale stabilito dall’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. per l’applicazione delle misure di custodia cautelare (limite introdotto dall’art. 3 della legge 8 agosto 1995, n. 332) opera anche in sede di convalida dell’arresto, ritiene che tale disciplina si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza: da un lato, infatti, quando il giudice procede alla convalida dell’arresto per uno dei reati per i quali l’art. 381, comma 2, cod. proc. pen. consente l’arresto facoltativo in flagranza, l’art. 391, comma 5, cod. proc. pen. deroga ai limiti edittali di pena stabiliti dall’art. 280 cod. proc. pen. per l’applicazione delle misure coercitive; dall’altro l’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. preclude l’applicazione delle misure di custodia cautelare se la pena edittale dei delitti della stessa specie é inferiore ai limiti ivi previsti;

  che il rimettente precisa che la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 274, comma 1, lettera c), 381, comma 2, e 391, comma 5, cod. proc. pen. é applicabile anche al delitto di evasione in forza dell’art. 3 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (tale norma, infatti, nel comma 1 consente di arrestare anche fuori del caso di flagranza chi ha posto in essere una condotta punibile a titolo di evasione e nel comma 2 stabilisce che nell’udienza di convalida può essere disposta l’applicazione di misure coercitive al di sotto dei limiti previsti dall’art. 280 cod. proc. pen.);

  che, in particolare, il rimettente lamenta l’incongruenza della disciplina impugnata, sino al limite della irragionevolezza, a causa dello "sbilanciamento di potestà coercitiva dalla parte della polizia giudiziaria", alla quale nei casi in esame é consentito di privare il soggetto della libertà personale operando l’arresto, mentre al giudice é preclusa la possibilità di applicare misure custodiali;

  che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

  che l’Avvocatura dello Stato pone in rilievo, da un lato, il diverso fondamento delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, tra cui rientrano i limiti edittali della pena, e delle esigenze cautelari, che attengono alla prognosi in concreto di pericolosità del soggetto; dall’altro sottolinea che in caso di evasione di un soggetto sottoposto agli arresti domiciliari é prevista la possibilità di disporre la custodia in carcere e che, comunque, la misura custodiale potrebbe essere applicata sulla base di altra esigenza cautelare, quale il pericolo di fuga, per cui non opera il limite previsto dall’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.

  Considerato che, con riferimento alle condizioni di applicabilità delle misure coercitive, l’art. 391, comma 5, cod. proc. pen., al fine di coordinare la facoltà di procedere all’arresto in flagranza con la possibilità di disporre in sede di convalida misure coercitive, stabilisce che, quando l’arresto é stato eseguito per uno dei delitti indicati nell’art. 381, comma 2, cod. proc. pen., le misure coercitive possono essere disposte anche al di fuori dei limiti edittali di pena stabiliti dall’art. 280 cod. proc. pen.;

  che tale deroga é stata estesa dall’art. 3 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991, all’ipotesi dell’arresto per il delitto di evasione, anche fuori della flagranza;

  che sul diverso terreno delle esigenze cautelari l’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. stabilisce che le misure di custodia cautelare (con riferimento, quindi, alla custodia cautelare in carcere, agli arresti domiciliari e alla custodia cautelare in luogo di cura) sono disposte - quando sussiste il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie - soltanto se si tratta di delitti per i quali é prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni;

  che tale assetto normativo non determina peraltro alcuna lesione del principio di ragionevolezza, ma é una conseguenza della scelta di mantenere distinta, anche in ossequio al principio del favor libertatis, la condizione generale di applicabilità delle misure coercitive riferita alla misura edittale della pena, in quanto tale verificabile in astratto, dall’accertamento in concreto circa la sussistenza delle esigenze cautelari;

  che, infatti, la deroga prevista dall’art. 391, comma 5, cod. proc. pen. non comporta, da un punto di vista di razionalità del sistema, che in tali ipotesi si debba derogare anche alla disciplina delle esigenze cautelari, operanti sul diverso terreno di una valutazione della sussistenza in concreto delle situazioni di pericolo che giustificano l’imposizione della misura cautelare;

  che tale conclusione é avvalorata dall’autonomia concettuale e funzionale tra convalida dell’arresto e applicazione delle misure cautelari e dalle diverse finalità rispettivamente perseguite dai due istituti (vedi al riguardo sentenza n. 4 del 1994);

  che l’arresto in flagranza per taluno dei delitti previsti dall’art. 381, comma 2, cod. proc. pen. funge quindi da condizione necessaria per l’applicazione di misure coercitive al di fuori dei limiti edittali di pena stabiliti dall’art. 280 cod. proc. pen., ma di per sè non sufficiente a legittimare l’applicazione in concreto delle misure;

  che inoltre, in linea generale, non può escludersi che, nei confronti di alcuno dei reati per cui l’art. 381, comma 2, cod. proc. pen. consente l’arresto facoltativo in flagranza, sia in concreto possibile tenere conto dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. (il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie potrebbe infatti riguardare delitti più gravi di quelli per cui si procede, puniti con la pena della reclusione non inferiore a quattro anni);

  che, infine, le misure di custodia cautelare potrebbero essere adottate, sussistendone i presupposti, anche sulla base di altra esigenza cautelare, prevista nelle lettere a) o b) della medesima norma, nonchè nelle ipotesi di cui alla lettera c), evidentemente diverse da quella relativa al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie;

  che, per altro verso, l’art. 276 cod. proc. pen. attribuisce comunque al giudice, in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il potere di sostituire la misura con altra più grave e, quindi, di disporre la custodia in carcere;

  che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Pescara, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1998.