Sentenza n. 101/98

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SENTENZA N.101

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 26 luglio 1996 e depositato in cancelleria il 9 agosto successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro della sanità 15 dicembre 1995, n. 592, recante il "Regolamento concernente il piano nazionale per la eradicazione della tubercolosi negli allevamenti bovini e bufalini" ed iscritto al n. 22 del registro conflitti 1996.

  Visto l’atto di Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 25 novembre 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

  uditi l’Avvocato Giuseppe F. Ferrari per la Regione Lombardia e l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in riferimento all’art. 14, commi 2 e 3, del decreto del Ministro della sanità 15 dicembre 1995, n. 592, recante "Regolamento concernente il piano nazionale per la eradicazione della tubercolosi negli allevamenti bovini e bufalini", per violazione dell’art. 9-bis della legge 30 aprile 1976, n. 397, introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.P.R. 1° marzo 1992, n. 230, degli artt. 31 e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e degli artt. 5, 11, 117 e 118 della Costituzione.

  Premesso che il comma 1 dell’art. 14 del decreto ministeriale prevede che il Ministro della sanità possa dichiarare ufficialmente indenne da tubercolosi bovina il territorio delle singole province, di una o più regioni, qualora tutti gli allevamenti siano sottoposti a controllo ufficiale e il 99,8 per cento degli allevamenti risulti ufficialmente indenne durante l’anno, la ricorrente ritiene la disposizione di cui al comma 2 - secondo la quale per il 1995 é sufficiente che la percentuale di infezione sia inferiore all’1 per cento, calcolato sulla base di tutti gli allevamenti riscontrati infetti durante l’anno - irragionevole e contrastante con il diritto comunitario, per come attuato in forza del d.P.R. n. 230 del 1992: la percentuale di infezione dovrebbe, infatti, essere calcolata sul totale degli allevamenti esistenti a fine anno, non già sul totale accertato nel corso dell’intero anno, rivelandosi in caso contrario "penalizzante per l’intera Regione", in considerazione del continuo "assottigliamento" delle aziende di allevamento.

  Quanto al comma 3 - secondo il quale una regione può essere dichiarata ufficialmente indenne da tubercolosi solo qualora tutte le sue province godano di tale qualifica - la ricorrente rileva che nel d.P.R. n. 230 del 1992, attuativo del diritto comunitario, la base di riferimento territoriale per la dichiarazione di indennità da malattie infettive del bestiame é la regione, restando la provincia una mera articolazione amministrativa della stessa.

  Precisato che le competenze regionali in materia di profilassi igienico-sanitaria degli allevamenti, anche ove si considerino meramente delegate ai sensi del d.P.R. n. 616 del 1977, dovrebbero pur sempre ritenersi difendibili in sede di conflitto di attribuzione, in quanto necessariamente integrative di quelle conferite alla regione in materia di agricoltura (atteso che si collocano a cavallo tra l’agricoltura e la sanità), la difesa della ricorrente lamenta che le disposizioni del decreto ministeriale compromettano tali competenze, in quanto "colpiscono profondamente il settore della produzione lattiero-casearia e della carne da macello in Lombardia, impedendo alla Regione di adottare i provvedimenti necessari per la ripresa e lo sviluppo del settore".

  2. — Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

  La Regione ricorrente non contesta, ad avviso dell’Avvocatura, che il decreto impugnato sia stato emesso dal Ministro nell’ambito delle attribuzioni assegnate all’amministrazione centrale in materia di profilassi sanitaria contro le malattie del bestiame, i cui effetti possono ripercuotersi sull’intero territorio nazionale, ma censura soltanto la non conformità dei commi 2 e 3 dell’art. 14 alla normativa comunitaria e a quella nazionale di attuazione: così facendo, però, essa deduce vizi di legittimità dell’atto che non possono essere proposti in sede di conflitto di attribuzione, ma che sono, semmai, denunciabili in altra sede.

  Inoltre, la materia della profilassi delle malattie diffusive del bestiame, delegata ai sensi dell’art. 7 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, non può essere attratta per connessione nella competenza regionale concernente l’agricoltura; non devono, infatti, essere confusi gli interessi, da un lato, alla sanità del bestiame, e dall’altro, alla conservazione dello stesso.

  3. — In prossimità dell’udienza, la Regione Lombardia ha depositato una memoria che sottolinea come in sede di conflitto tra Stato e regioni ben possono essere invocate a parametro disposizioni di rango subcostituzionale, purchè si tratti di norme poste a tutela dell’autonomia costituzionalmente garantita alle regioni.

Considerato in diritto

  1. — La Regione Lombardia ricorre per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione all’art. 14, commi 2 e 3, del decreto del Ministro della sanità 15 dicembre 1995, n. 592, recante il "Regolamento concernente il piano nazionale per la eradicazione della tubercolosi negli allevamenti bovini e bufalini".

  L’art. 14 del menzionato regolamento prevede, al comma 1, che il Ministro della sanità possa dichiarare ufficialmente indenne da tubercolosi bovina il territorio delle singole province, di una o più regioni, qualora tutti gli allevamenti siano sottoposti a controllo e il 99,8 per cento degli allevamenti risulti ufficialmente indenne durante l’anno. Il comma 2 del medesimo art. 14, oggetto del conflitto, dispone che per tutto il decorso anno 1995, al fine di consentire agli uffici interessati il graduale adeguamento alla disposizione contenuta nel comma 1, per la concessione della qualifica di territorio "ufficialmente indenne" é sufficiente che la percentuale di infezione sia inferiore all’1 per cento, calcolato sulla base di tutti gli allevamenti riscontrati infetti durante l’anno. Il comma 3, anch’esso oggetto del conflitto, stabilisce infine che una regione può essere dichiarata ufficialmente indenne da tubercolosi solo qualora tutte le sue province godano di tale qualifica.

  Secondo la Regione ricorrente, le menzionate disposizioni, contenute nei commi 2 e 3, violerebbero la propria sfera di autonomia costituzionalmente garantita in quanto sarebbero in contrasto con l’art. 9-bis della legge 30 aprile 1976, n. 397, introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.P.R. 1° marzo 1992, n. 230, nonchè con gli artt. 31 e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e con gli artt. 5, 11, 117 e 118 della Costituzione.

  2. — Il ricorso non é fondato.

  3. — La Regione ricorrente espone vari argomenti tutti rivolti a sostenere l’affermato contrasto delle norme contenute nei commi 2 e 3 dell’art. 14 del regolamento ministeriale con disposizioni legislative regolanti, anche in attuazione di direttive comunitarie, il potere di dichiarare "ufficialmente indenni" da tubercolosi determinate zone di territorio nazionale.

  Nella specie, non si controverte sulla spettanza di tale potere ma sulle modalità del suo esercizio tramite l’impugnato regolamento ministeriale, modalità che si sostiene essere illegittime e, per questo, lesive delle attribuzioni regionali.

  Poichè, tuttavia, il giudizio su conflitto di attribuzione attiene alla definizione degli ambiti di competenza dello Stato e delle regioni ed é quindi rivolto principalmente alla dichiarazione circa la spettanza delle attribuzioni costituzionali contestate (articoli 41 e 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87), occorre esaminare l’esistenza di attribuzioni della Regione ricorrente nella materia oggetto di disciplina da parte del regolamento stesso.

  3.1. — In conformità con quanto costantemente previsto, a partire dal d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, a norma dell’art. 6, lettera b), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, rientrano nella competenza dello Stato, in quanto attribuzioni eccedenti l’ambito delle politiche regionali, "la profilassi delle malattie infettive e diffusive, per le quali siano imposte la vaccinazione obbligatoria o misure quarantenarie, nonchè gli interventi contro le epidemie e le epizoozie". Tale competenza statale si collega anche alle responsabilità che lo Stato stesso assume sul piano dei rapporti internazionali, responsabilità di cui é menzione nella lettera a) dello stesso art. 6 della legge n. 833 del 1978.

  Alla stregua delle norme ricordate, l’evidenza della cui ratio non é contestata dalla ricorrente, alle regioni non spettano competenze ascrivibili alle loro proprie attribuzioni costituzionali. Invece, a norma dell’art. 7, primo comma, lettera a), della stessa legge n. 833 del 1978, alle regioni é delegato l’esercizio delle funzioni amministrative concernenti "la profilassi delle malattie infettive e diffusive, di cui al precedente articolo 6, lettera b)", ma non anche di quelle relative agli "interventi contro le epidemie e le epizoozie", funzioni oggetto delle contestate norme del regolamento ministeriale in questione.

  Indipendentemente dal problema della difendibilità in sede di conflitto di attribuzione delle funzioni regionali delegate, dalla disciplina richiamata risulta quindi che le funzioni di cui si discute non rientrano in esse, attenendo non a compiti di profilassi veterinaria, ma a interventi di natura programmatoria spettanti allo Stato, quali sono le dichiarazioni di ufficiale indennità dalla tubercolosi bovina e bufalina di determinate porzioni del territorio. Tali dichiarazioni ufficiali di indennità rappresentano un elemento essenziale che condiziona l’attuazione degli interventi facenti capo al "piano nazionale di profilassi della tubercolosi bovina", previsto dagli articoli 1 e 23, comma 1, del regolamento in questione. Per il tramite dei "piani triennali di eradicazione" di competenza regionale, previsti a loro volta dall’art. 23, comma 2, il piano nazionale persegue "l’obiettivo di eradicare in tre anni la tubercolosi dagli allevamenti bovini e bufalini, ai fini della tutela della salute pubblica e della protezione degli allevamenti ufficialmente indenni", per mezzo delle "misure sanitarie da applicare agli allevamenti bovini e bufalini dell’intero territorio nazionale" che il regolamento stesso disciplina.

  Risulta così che alla Regione ricorrente non spettano, rispetto alle attribuzioni oggetto di contestazione, competenze proprie, e nemmeno delegate. Cosicchè, per la parte che attiene alla difesa delle funzioni regionali in materia di sanità, il ricorso é infondato.

  3.2. — Ad uguale conclusione negativa deve giungersi anche con riguardo all’argomentazione prospettata dalla Regione con riferimento alle proprie attribuzioni in materia di agricoltura. La ricorrente, dall’asserita illegittimità dei commi 2 e 3 dell’art. 14 del regolamento ministeriale in questione, ritiene violate le proprie attribuzioni in tale materia, in base alla premessa che l’intervento statale finalizzato all’eradicazione della tubercolosi bovina e bufalina presenta caratteri materiali misti, attenendo tanto alla sanità quanto all’agricoltura (materia nella quale, a norma dell’art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, é da ricomprendersi la zootecnia, come affermato dalla sentenza n. 123 del 1992 di questa Corte).

  Ma, anche nell’ipotesi in cui, in linea di principio, si fosse disposti a seguire questa prospettazione (che risulta peraltro contraddetta dalle sentenze di questa Corte, che dall’agricoltura-zootecnia tengono nettamente distinta la zooprofilassi: ancora sentenza n. 123 del 1992 e sentenza n. 124 del 1994), in concreto non é dato vedere rispetto a quali attribuzioni regionali si manifesterebbe, come conseguenza dell’illegittimità delle norme regolamentari contestate, la lesione lamentata dalla Regione ricorrente. Essa, senza alcun passaggio argomentativo idoneo a identificare le attribuzioni difese per mezzo del conflitto, asserisce che l’applicazione delle norme che stanno all’origine del conflitto colpisce il settore della produzione lattiero-casearia e della carne da macello in Lombardia, "impedendo alla Regione di adottare i provvedimenti necessari per la ripresa e lo sviluppo del settore".

   Ma da una formula genericamente assertiva come quella ora riferita, dalla quale non é dato identificare le attribuzioni che la ricorrente assume violate, non derivano i tratti giuridici necessari e sufficienti affinchè il contrasto tra la Regione e lo Stato possa configurarsi come conflitto costituzionale. E pertanto, anche a questo riguardo, il ricorso risulta privo di fondamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato, e per esso al Ministro della sanità, adottare l’art. 14, commi 2 e 3, del decreto ministeriale 15 dicembre 1995, n. 592, recante il "Regolamento concernente il piano nazionale per la eradicazione della tubercolosi negli allevamenti bovini e bufalini".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 6 aprile 1998.