Sentenza n. 99/98

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.99

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 9, e del comma 19, della legge della Regione Piemonte 8 settembre 1986, n. 42 (Norme sull’organizzazione degli uffici della Regione Piemonte), nel testo sostituito dall’art. 2 della legge regionale 11 dicembre 1987, n. 60, e dell’art. 95 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promosso con ordinanza del Consiglio di Stato, del 7 novembre 1995 - 12 marzo 1996, sui ricorsi, riuniti, proposti dalla Regione Piemonte e altri contro Ferreri Maria Grazia e altri, iscritta al n. 1322 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visti gli atti di costituzione di Ferreri Maria Grazia, Cravanzola Mirella e altri, e della Regione Piemonte;

  udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 1998 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

  uditi gli avvocati Giuseppe Gallenca per Ferreri Maria Grazia, Pia Negri per Cravanzola Mirella e altri e Giulio Correale per la Regione Piemonte.   

Ritenuto in fatto

  1.1. — Il Consiglio di Stato, IV sezione, giudicando su ricorsi avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte 18 febbraio 1992, n. 46, concernenti la legittimità di un concorso interno per la seconda qualifica dirigenziale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 9, e del comma 19, della legge della Regione Piemonte 8 settembre 1986, n. 42 (Norme sull’organizzazione degli uffici della Regione Piemonte), come modificata dalla legge regionale 11 dicembre 1987, n. 60, e altresì dell’art. 95 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato).

La prima questione attiene alla composizione della commissione giudicatrice del concorso, che ai sensi del citato comma 9 é formata dai componenti della Giunta e dal Presidente del Consiglio regionale. Già in primo grado taluni ricorrenti avevano contestato la legittimità costituzionale della norma, ma ad avviso del Tribunale amministrativo la richiesta di annullamento degli atti, da loro avanzata, poteva essere soddisfatta per altre vie; mentre l’indagine sulla composizione dell’organo - prosegue l’ordinanza - é prioritaria rispetto alla verifica del suo operato, sì che appare rilevante, e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 9, quale risulta dalla novella del 1987, nella parte in cui non prevede che la maggioranza dei componenti della commissione giudicatrice sia formata da esperti dotati di specifiche competenze.

  1.2. — Il giudice a quo solleva, poi, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 19, nel testo sostituito dalla citata legge regionale n. 60 del 1987, nella parte in cui non consente la graduazione del punteggio: vi sarebbe infatti violazione dei principi di ragionevolezza e di imparzialità (artt. 3 e 97 della Costituzione) e degli stessi canoni di logica, trattandosi di giudizi di valore sulla qualità. Il legislatore regionale ha forse cercato di limitare gli spazi discrezionali della commissione, e ciò potrebbe anche risultare comprensibile - soggiunge l’ordinanza - se a tale norma non si accompagnasse contraddittoriamente l’altra, che affida la funzione valutativa a un collegio formato nella sua interezza da esponenti politici.

  1.3. — Il rimettente solleva infine, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 95 del testo unico n. 3 del 1957: secondo tale disposizione, il pubblico dipendente sospeso cautelarmente dal servizio in quanto sottoposto a procedimento disciplinare, e quindi escluso dallo scrutinio per la promozione, ha diritto a essere valutato ove il procedimento si concluda con il proscioglimento o con l’irrogazione della sola censura.      L’art. 95, che per la giurisprudenza prevalente non é suscettibile di interpretazione estensiva, non contempla, però, l’ipotesi del dipendente soggetto a procedimento penale e successivamente prosciolto, per cui l’illegittimità costituzionale deriverebbe dalla omessa previsione di un meccanismo riparatore analogo a quello codificato per le vicende disciplinari. Qualora la questione venisse dichiarata fondata - conclude il giudice a quo - l’amministrazione regionale, nel prendere atto del proscioglimento, dovrebbe rivalutare i dipendenti per quanto attiene alla voce "stima e prestigio", promuovendoli anche in soprannumero, ove sussistano i presupposti.

  2. — Si é costituita la Regione Piemonte, nel senso della inammissibilità per irrilevanza, e comunque della infondatezza della prima questione, osservando in particolare come l’interesse dei ricorrenti fosse quello di ottenere la revisione del giudizio della commissione, e non di far caducare l’intero procedimento concorsuale, e aggiungendo che il giudice amministrativo deve pronunciarsi sulla domanda così come fissata dal ricorrente. Anche la questione dell’art. 29, comma 19, sarebbe inammissibile (o infondata), essendo riconosciuta al legislatore la "sovranità della scelta normativa", nel rispetto del principio di ragionevolezza.

Inammissibile é altresì, ad avviso della Regione, la questione dell’art. 95 del testo unico n. 3 del 1957, perchè basterebbe un’interpretazione adeguatrice; e a tal fine si ricorda la decisione della IV sezione del Consiglio di Stato (n. 276 del 1983), secondo cui le disposizioni contenute negli artt. 93 e 95 del testo unico sono espressione di un principio generale. In ogni caso, sarebbe precluso a questa Corte di integrare le regole vigenti, sostituendosi al legislatore.

3. — Si sono costituiti in giudizio i signori Cravanzola, Miele e altri, parti nel processo a quo, richiamando gli argomenti svolti davanti al Consiglio di Stato a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale della normativa regionale, nella parte in cui stabilisce, in contrasto con il principio di imparzialità della pubblica amministrazione, che la commissione esaminatrice del concorso sia formata esclusivamente da esponenti politici.

4. — Si é costituita pure l’altra parte privata, Ferreri, sostenendo l’equivalenza fra le due situazioni messe a raffronto (sottoposizione a procedimento disciplinare e penale), al fine della reintegrazione di cui agli artt. 88 e 89 del testo unico.

Considerato in diritto

  1. — Il Consiglio di Stato, IV sezione, dubita della legittimità costituzionale di tre disposizioni: l’art. 29, comma 9, della legge della Regione Piemonte n. 42 del 1986, come modificata dalla legge regionale n. 60 del 1987 (Norme sull’organizzazione degli uffici della Regione Piemonte); l’art. 29, comma 19, della stessa legge regionale; e l’art. 95 del testo unico degli impiegati civili dello Stato, d.P.R. n. 3 del 1957.

  Vanno disattese, innanzitutto, le eccezioni di irrilevanza mosse dalla Regione Piemonte con riguardo alle questioni di legittimità dell’art. 29, commi 9 e 19, perchè la premessa interpretativa del rimettente é del tutto plausibile (fra le tante, v. in tal senso la sentenza n. 416 del 1993), e non vi é dubbio che l’ampia argomentazione contenuta nell’ordinanza risponde all’esigenza primaria di assicurare l’effettivo svolgimento del controllo di legittimità costituzionale.

2. — Si deve dunque passare al merito.

  La prima questione attiene alla composizione della commissione giudicatrice del concorso: il comma 9 dell’art. 29, citato, prevede che essa sia formata dai componenti della Giunta e dal Presidente del Consiglio regionale; e in proposito il giudice a quo ricorda, a ragione, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le commissioni concorsuali debbono avere prevalente carattere tecnico, a tutela dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione (sentenze nn. 333 del 1993 e 453 del 1990). Nè vale obiettare che si tratta di una procedura, del tutto peculiare, per il conferimento della seconda qualifica dirigenziale, limitata alla "prima attuazione della legge": ciò non giustifica una norma in così grave contrasto con l’art. 97 della Costituzione.

  Così come risulta dal testo vigente, la composizione della commissione non offre alcuna garanzia di imparzialità, perchè nel procedimento potrebbero inserirsi interessi estranei al corretto espletamento del concorso. E’ compromesso, altresì, il buon andamento dell’attività amministrativa, per gli effetti negativi sulla selezione della dirigenza e sull’assetto complessivo degli apparati regionali (distorsione già segnalata nella sentenza n. 333 del 1993, Considerato in diritto, n. 5); ed é motivo di allarme che la novella del 1987 (legge n. 60, menzionata), sostituendo l’art. 29 della legge n. 42 del 1986, peggiori nettamente il testo originario, che includeva nella commissione due esperti designati dalla Giunta, insieme con il suo presidente e due consiglieri regionali.

  Coerentemente, deve riaffermarsi il principio, che trova riscontro anche nell’art. 8, lettera d), del decreto legislativo n. 29 del 1993, secondo cui nelle commissioni giudicatrici la presenza di tecnici ed esperti, estranei agli organi di governo, debba essere, se non esclusiva, quanto meno prevalente, in modo da assicurare scelte fondate sull’applicazione di parametri neutrali e sull’obiettiva valutazione delle attitudini, della preparazione, dei titoli professionali (sentenze nn. 416 del 1993 e 453 del 1990).

  Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 9, nella parte in cui prevede che la commissione giudicatrice sia formata esclusivamente da componenti della Giunta regionale e dal Presidente del Consiglio regionale.

  3. — Il Consiglio di Stato solleva, poi, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 19, nella parte in cui non consente alla commissione giudicatrice di poter graduare il punteggio, con ciò violando i principi di ragionevolezza e di imparzialità (artt. 3 e 97 della Costituzione), perchè si impedirebbe alla commissione di adempiere la funzione assegnatale, sì da garantire la par condicio dei partecipanti ed evitare l’appiattimento delle posizioni individuali.

  E’ bene ricordare, per chiarezza, che si tratta di attribuire sei punti a ciascuno dei quattro elementi da ponderare per accertare l’attitudine del candidato all’espletamento delle funzioni superiori: preparazione, autonomia di giudizio, collaborazione e partecipazione, stima e prestigio (ciò fino a un massimo di ventiquattro punti: lettera d) della tabella). E’ corretta la lettura di tale norma compiuta dal Consiglio di Stato, che esclude la possibilità di graduazione sulla base dell’interpretazione letterale ("per gli elementi valutati negativamente non é attribuito alcun punto": art. 29, comma 19 citato), confortata dai lavori preparatori (v. Consiglio Regione Piemonte, seduta 10 novembre 1987, intervento del relatore sulla novella del 1987: "sono assegnati sei punti in caso di valutazione positiva, zero in caso contrario"; nel dibattito consiliare emerge l’esigenza di prevenire il contenzioso).

  Il rimettente dubita della legittimità costituzionale di siffatto meccanismo, che peccherebbe di rigidità: ma va considerato che il legislatore "gode di ampia discrezionalità nello stabilire i criteri di ammissione ai concorsi, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e di salvaguardia del buon andamento dell’amministrazione" (fra le varie, v. le sentenze nn. 234 e 51 del 1994, 964 e 331 del 1988, 81 del 1983). Qui non si realizza, però, alcuna lesione di tali canoni, perchè la norma in esame introduce un sistema sufficientemente articolato di valutazione, che si basa su quattro profili: titoli di servizio, di studio, funzioni espletate e, infine, l’attitudine alle funzioni della seconda qualifica dirigenziale. Voce, quest’ultima, che a sua volta si scompone negli ulteriori "elementi di giudizio" ricordati (v. l’art. 28, comma 18), fra cui la stima e il prestigio, all’interno e all’esterno dell’amministrazione.

  Tale previsione, considerata nel suo complesso, consente adeguato e razionale apprezzamento delle singole posizioni; e la mancata graduazione non compromette la qualità della selezione concorsuale (v. ancora la sentenza n. 234 del 1994). Onde, la non fondatezza della questione.

  4. — L’art. 95 del testo unico degli impiegati civili disciplina lo svolgimento del "procedimento riparatorio" quando vi sia esclusione dallo scrutinio per l’instaurazione di un procedimento disciplinare. Esso é censurato dal giudice a quo perchè non considera la situazione del dipendente, sottoposto a procedimento penale, che sia prosciolto successivamente all’espletamento dello scrutinio.

  L’ordinanza invoca una sentenza additiva che dovrebbe operare un’integrazione dell’art. 95, includendovi la situazione del dipendente sottoposto a procedimento penale, prosciolto in un momento successivo allo scrutinio per la promozione; per cui si dovrebbe consentirne uno "di recupero" in tutti i casi di esclusione per l’avvenuta instaurazione di un procedimento, disciplinare o penale, conclusosi in termini favorevoli al dipendente. Ma lo stesso giudice rimettente ammette che nella vicenda al suo esame non vi é stata esclusione: la lesione denunciata nel giudizio a quo dai ricorrenti é diversa, e può essere descritta come una sorta di "ricaduta" (e comunque di pregiudizio) che la pendenza del procedimento penale ha determinato a loro danno. L’apertura di tale procedimento, e i fatti addebitati, sono entrati nella ponderazione compiuta dalla commissione giudicatrice senza che il proscioglimento, sopraggiunto dopo la conclusione del concorso, potesse valere come presupposto per una nuova valutazione. E’ quindi evidente che l’intervento additivo, come prospettato, non rileverebbe nel processo a quo: di qui, l’inammissibilità della questione; ed é appena il caso di notare che un’eventuale e più ampia integrazione della norma, volta a far valere un generale "principio di riparazione" (secondo quanto affermato da una parte della giurisprudenza), dovrebbe disciplinare gli aspetti procedimentali e le modalità dell’eventuale passaggio alla qualifica superiore, anche in soprannumero, ove ne sussistano i presupposti. Il che comporterebbe una vera e propria rielaborazione della normativa posta dal testo unico che esula dai poteri di questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 9, della legge della Regione Piemonte 8 settembre 1986, n. 42 (Norme sull’organizzazione degli uffici della Regione Piemonte), come modificata dalla legge regionale 11 dicembre 1987, n. 60;

  2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 19, della citata legge regionale n. 42 del 1986, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, con l’ordinanza in epigrafe;

  3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 95 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 6 aprile 1998.