Ordinanza n. 90/98

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ORDINANZA N.90

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 216, primo comma, numero 4, della legge regionale siciliana 15 marzo 1963 n. 16 (Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana), nel testo modificato dall’art. 1, comma 1, della legge regionale siciliana 18 aprile 1989, n. 7 (Modifica dell’art. 216 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali), promosso con ordinanza emessa il 27 giugno 1996 dal Pretore di Palermo, iscritta al n. 254 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente della Regione Siciliana;

  udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 1998 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che il Pretore di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa il 27 giugno 1996, pervenuta a questa Corte il 22 aprile 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione, dell'art. 216, primo comma, numero 4, della legge regionale siciliana 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana), nel testo modificato dall'art. 1, comma 1, della legge regionale siciliana 18 aprile 1989, n. 7 (Modifica dell’art. 216 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali), nella parte in cui pone come limite massimo per la nomina a dipendente degli enti locali della Regione Siciliana l'età di 40 anni;

che, secondo il giudice a quo, benchè l'azienda convenuta abbia motivato il rifiuto dell'assunzione, cui il ricorrente afferma di avere diritto, richiamandosi al limite di età previsto dal contratto collettivo nazionale di settore, la fonte dell'obbligo dell'azienda sarebbe costituita dall'art. 216 della legge regionale n. 16 del 1963, che stabilisce i limiti di età per la nomina a dipendente dei Comuni e delle Province regionali della Sicilia, e che sarebbe applicabile a tutti gli enti locali siciliani, ivi comprese le aziende municipalizzate, stante il loro carattere di organi con personalità giuridica dei Comuni; mentre la riproduzione della disposizione legislativa nel contratto collettivo non varrebbe, nel caso, a mutare il carattere normativo primario della fonte medesima, dato che lo stesso contratto preciserebbe che i requisiti per l'assunzione sono stabiliti di volta in volta nel rispetto delle vigenti norme di legge;

che, sempre ad avviso del remittente, anche se si volesse ritenere che il contratto costituisca la fonte esclusiva dell'obbligo dell'azienda, la questione di costituzionalità della norma di legge ricordata sarebbe comunque rilevante, in quanto afferente a norma legislativa utilizzabile come parametro per valutare la conformità della disciplina contrattuale alle norme imperative di legge, presentandosi la previsione di detto limite di età, stabilito anche dalle norme sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni statali, quale principio dell'ordinamento in materia di assunzioni, ancorchè in regime privatistico, presso gli enti pubblici;

che, secondo il giudice a quo, sarebbe irragionevole e contraddittorio, in presenza dell'innalzamento dell'età media della popolazione, che ha indotto il legislatore a disporre l'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni, prevedere un limite di età così marcatamente inferiore per l’accesso agli impieghi pubblici;

che, inoltre, la norma in esame sarebbe contrastante con il principio desumibile dall'art. 3, secondo comma, della Costituzione, poichè la previsione, in forma generale ed indiscriminata, del limite di età costituirebbe un ostacolo alla emancipazione dal bisogno dei soggetti non più giovani per i quali, in assenza di forme di reddito garantito di cittadinanza, e in presenza di norme che favoriscono nel settore del lavoro privato l’ingresso dei giovani, l'accesso all'impiego presso gli enti pubblici sarebbe invece l'unica alternativa alla miseria;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente della Regione Siciliana, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;

che, ad avviso dell’interveniente, la modifica recata dalla legge regionale n. 7 del 1989 all’art. 216 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali é stata intesa ad adeguare la disciplina dell'accesso agli impieghi negli enti locali siciliani alle nuove norme contenute nella legge statale 27 gennaio 1989, n. 25, che ha elevato da 35 a 40 anni il limite massimo di età per l'accesso agli impieghi pubblici, e ciò proprio allo scopo di realizzare condizioni di eguaglianza rispetto a quanto previsto nel restante territorio nazionale: onde sarebbe infondato il richiamo al principio di eguaglianza;

che, sempre secondo l’interveniente, una valutazione di illegittimità costituzionale della norma censurata potrebbe fondarsi solo su di una irrazionalità manifesta della disciplina, che nella specie non potrebbe essere affermata, posto che la determinazione dei requisiti di accesso all'impiego rientra nella piena discrezionalità del legislatore, che deve operare una valutazione prettamente politica delle esigenze di modifica, come appunto sarebbe avvenuto con l’elevazione del limite ad opera della legge statale n. 25 del 1989.

Considerato che, secondo la consolidata giurisprudenza, i dipendenti delle aziende municipalizzate non sono soggetti alla disciplina del rapporto di lavoro prevista per i dipendenti dei Comuni, ma sono parti di un rapporto di lavoro retto – ancor prima della "privatizzazione" di recente intervenuta nel campo del pubblico impiego – dal diritto privato, e regolato da contratti collettivi di diritto comune;

che ogni dubbio in proposito é superato dalla disciplina recata dall’art. 23 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che configura le aziende speciali dei Comuni come enti strumentali dell’ente locale dotati di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale, nonchè dalla disciplina recata dall’art. 1, comma 3, del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che si riferisce ai rapporti di impiego presso le amministrazioni pubbliche, comprendendo fra queste gli enti locali e "tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali": così che i dipendenti delle aziende speciali dei Comuni non sono inclusi nel comparto, relativo alla speciale contrattazione collettiva prevista dall’art. 45 del d. lgs. n. 29 del 1993, concernente il personale delle Regioni e delle autonomie locali, ed il loro rapporto di lavoro resta invece disciplinato da contratti collettivi di lavoro di diritto comune (cfr., per quanto riguarda l’ambito interessato dalla specie, il contratto collettivo nazionale di lavoro per i lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana in data 1° ottobre 1991, e il più recente analogo contratto del 31 ottobre 1995);

che dunque la disposizione impugnata, concernente il rapporto di pubblico impiego presso gli enti locali della Regione Siciliana, non trova applicazione nella fattispecie;

che, anche a voler ricercare, come ipotizza il remittente, nella disciplina legislativa del pubblico impiego locale un parametro per l’apprezzamento della validità delle clausole del contratto collettivo nazionale di lavoro, dovrebbe farsi riferimento non già alla legislazione regionale siciliana, bensì a quella nazionale (nel cui ambito, peraltro, l’art. 3, comma 6, della legge 15 marzo 1997, n. 127, recentemente sopravvenuta, ha disposto che, in linea di principio, la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non é soggetta a limiti di età);

che, pertanto, la questione é palesemente priva di rilevanza, così che essa deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 216, primo comma, numero 4, della legge regionale siciliana 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana), nel testo modificato dall’articolo 1, comma 1 della legge regionale siciliana 18 aprile 1989, n. 7 (Modifica dell’art. 216 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Pretore di Palermo con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 1° aprile 1998.