Ordinanza n. 80/98

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ORDINANZA N. 80

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO  

- Dott. Riccardo CHIEPPA  

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 633, ultimo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 28 marzo 1997 dal Pretore di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, nel procedimento civile vertente tra Fad Fabriano Autoadesivi S.p.A. e Garoufalis Dimitrios, iscritta al n. 401 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n.27, prima serie speciale, dell'anno 1997.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio dell'11 marzo 1998 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che - a séguito di un ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti di una società avente la propria sede in Grecia - il Pretore di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con ordinanza emessa il 28 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 633, ultimo comma, del codice di procedura civile, secondo cui l'ingiunzione di pagamento non può essere pronunciata se la notificazione all'intimato deve avvenire fuori dalla Repubblica;

  che - dopo aver affermato di non poter disapplicare la denunciata norma in relazione alle affermazioni contenute nella sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 luglio 1995 (nella causa C-474/93), la quale si limita a statuire in ordine alla compatibilità del procedimento monitorio italiano con i princìpi comunitari - il rimettente rileva come, stante l'equiparabilità in tutto e per tutto del procedimento monitorio a qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale nell'àmbito comunitario, l'operatore economico interno risulta fortemente penalizzato, non potendo adeguatamente tutelare il suo credito allorquando il debitore si trovi all'estero;

  che, pertanto, la denunciata disposizione violerebbe: a) l'art. 3 della Costituzione, ponendo un'incongrua disparità di trattamento con lo straniero appartenente ad uno degli Stati membri della Comunità, che si avvalga di una procedura sommaria equipollente, ovvero con chi utilizzi qualsiasi altra procedura giurisdizionale civile, italiana o meno, nonchè con chi richieda in corso di causa un'ordinanza ex art. 186-ter cod. proc. civ., alla cui pronunciabilità non sono opposte reclusioni di sorta; b) l'art. 24 della Costituzione, in quanto non permette all'interessato di agire per la tutela del suo credito con tutti i mezzi previsti dall'ordinamento, escludendo senza idonea ragione proprio il procedimento monitorio, che appare tipicamente previsto in caso di fornitura di merci non pagate; c) l'art. 41 della Costituzione, in quanto viene di fatto imposta una restrizione all'attività economica - disincentivando i rapporti commerciali con l'estero - in conseguenza dell'immotivato difetto di tutela dei rapporti di interscambio che hanno raggiunto un'elevata frequenza;

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della sollevata questione.

  Considerato che questa Corte, in un precedente scrutinio di costituzionalità della stessa disposizione, allora censurata con riferimento all'art. 10 della Costituzione, ha già affermato che nei patti comunitari non si configurano princìpi generali incidenti nella materia del processo, lasciata alla disciplina del diritto interno degli Stati, e che il divieto di notificazione all'estero del decreto ingiuntivo determina solo una causa di inammissibilità della speciale tutela monitoria e non un difetto di giurisdizione, potendosi agire in sede ordinaria (ordinanza n. 364 del 1989);

  che proprio la possibilità per il creditore di utilizzare tutti gli altri strumenti processuali offertigli in sede ordinaria e cautelare - ivi compresi i provvedimenti anticipatori di condanna di cui agli artt. 186-bis e segg. cod. proc. civ. - onde far valere il proprio diritto, esclude la paventata menomazione del diritto di difesa e di azione dello stesso, nonchè, conseguentemente e di riflesso, la restrizione della sua piena libertà di iniziativa economica;

  che, per quanto riguarda la denunciata disparità di trattamento, mentre si palesa inconfigurabile l'ipotizzata comparabilità con la posizione dello straniero che si avvalga di non meglio precisate procedure sommarie equipollenti approntate da altri Stati comunitari, va ribadito quanto la Corte ha già ripetutamente sottolineato in ordine alla non omogeneità, in termini di natura e di funzione, del provvedimento monitorio rispetto all'ordinanza disciplinata dall'art. 186-ter cod. proc. civ., la quale dunque non può essere chiamata a fungere da tertium comparationis nella prospettazione di un'asserita illegittimità costituzionale della non simmetrica disciplina applicativa di quel provvedimento (v. sentenze n. 65 e n. 200 del 1996);

  che, più in generale, va altresì ribadito come resti comunque affidata alla discrezionalità del legislatore la differenziazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale, tanto più nella specie, dove la domandata pronuncia caducatoria implicherebbe imprescindibilmente un articolato coordinamento dello specifico contesto processuale, sia per quanto riguarda in particolare i termini di notifica del decreto ingiuntivo e gli effetti della mancata notifica dello stesso, sia con riferimento alla instaurazione del giudizio di opposizione;

  che dunque all'attenzione proprio e solo del legislatore sarebbe semmai da segnalare la necessità di rimuovere - così come hanno fatto altri Stati della Comunità europea - il limite previsto dalla denunciata norma, ove si supponesse ormai superata l'originaria ragione giustificativa di esso;

  che, pertanto, la questione appare manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 633, ultimo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Cesare RUPERTO

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1998.