Sentenza n. 63/98

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SENTENZA N.63

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di Polizia), convertito, con modificazioni, in legge dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, e degli artt. 3, 4, 13, 14 e 15 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), promossi con ordinanze emesse il 20 giugno e il 4 luglio 1996 (n. 3 ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed il 19 febbraio 1997 dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, rispettivamente iscritte al n. 1288 del registro ordinanze 1996 ed ai nn. 240, 241, 242 e 266 del registro ordinanze 1997, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 1996 e nn. 20 e 21, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visti gli atti di costituzione di Di Meo Antonio ed altri, Fontana Ernesto ed altro, Visciotto Francesco, Conte Raffaellina ed altri, Meuti Giovanni ed altri, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° luglio 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli avvocati Piergiovanni Alleva per Di Meo Antonio ed altri, Conte Raffaellina ed altri, Meuti Giovanni ed altri, Giuseppe Abbamonte per Fontana Ernesto ed altro, Giuseppe Pericu per Visciotto Francesco e l’Avvocato dello Stato Gaudenzio Pierantozzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.— Nel corso del giudizio sul ricorso collettivo proposto da Orlando Gizzi ed altri ispettori della Polizia di Stato, che lamentavano la illegittima equiparazione, operata a seguito del d.l. 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di Polizia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, ai propri livelli retributivi di quelli dei sovrintendenti della stessa Polizia di Stato, originariamente collocati in posizione funzionale ed economica inferiore a quella degli ispettori, l’adito Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 20 giugno 1996 (r.o. n. 1288 del 1996), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del citato decreto-legge n. 5 del 1992 nella parte in cui attribuisce ai sovrintendenti della Polizia di Stato lo stesso trattamento economico degli ispettori, senza parificarne le funzioni.

Ad avviso del collegio rimettente, tale disciplina sarebbe scaturita da una libera interpretazione della sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991, la quale si era limitata a pronunciarsi sulla mancata equiparazione tra gli ispettori della Polizia di Stato e i sottufficiali dei carabinieri, caducando l’art. 43, diciassettesimo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121 e la allegata tabella "C", relativamente a tale mancata equiparazione. Sicchè, del tutto irragionevolmente i sovrintendenti, soggetti inseriti nell’ordinamento della Polizia di Stato in posizione sottordinata rispetto agli ispettori, ed ai quali restavano affidate le stesse incombenze previste dal precedente ordinamento, inferiori a quelle degli ispettori, si sono visti attribuire un trattamento economico corrispondente a quello di soggetti gerarchicamente e funzionalmente sovraordinati.

Il collegio rimettente precisa che sulla questione non incide il successivo decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197, con il quale una parte dei sovrintendenti é stata inquadrata nella qualifica degli ispettori, poichè fino a quando tale inquadramento non é avvenuto, le funzioni dei sovrintendenti, nell’ambito dell’attività di Polizia, sono state organizzatoriamente inferiori a quelle degli ispettori.

2.— Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti Antonio Di Meo, Maria Teresa Seneci e Flavio Tuzi, ricorrenti nel giudizio a quo, i quali hanno insistito per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata, sottolineando, in particolare, la diversa collocazione nella scala gerarchica e i diversi compiti e funzioni degli ispettori e dei sovrintendenti ai sensi della legge n. 121 del 1981, e richiedendo che a mansioni caratterizzate da un superiore contenuto professionale sia attribuito un trattamento economico superiore rispetto a quello diretto a retribuire mansioni di minore impegno.

Nella memoria si segnala, altresì, che i sovrintendenti, oltre ad avere ottenuto la medesima classe stipendiale degli ispettori, godono, ai sensi dell’art. 4 del d.l. impugnato, di una valutazione dell’anzianità di servizio comparativamente più vantaggiosa rispetto a questi ultimi, potendo far valere ai fini economici quella maturata nella posizione precedente.

3.— Ha, altresì, spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della questione, affermando che si richiede alla Corte un intervento additivo, non logicamente necessitato, consistente nella formulazione di una norma che preveda un aumento di retribuzione per le qualifiche di ispettori della Polizia di Stato, ovvero una equiparazione tra le funzioni dei sovrintendenti e quelle degli ispettori stessi.

4.— Nel corso del giudizio sul ricorso collettivo proposto da Raffaele Ambrosino ed altri ispettori della Polizia di Stato contro i rispettivi decreti di inquadramento nelle diverse qualifiche di ispettore, l’adito Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 4 luglio 1996, pervenuta alla Corte costituzionale il 15 aprile 1997 (r.o. n. 240 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 13, 14 e 15 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato) per contrasto con gli artt. 97 e 76 della Costituzione.

Ad avviso del collegio rimettente, il predetto decreto legislativo n. 197 — le cui premesse si radicano nella sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991, che aveva ritenuto illegittima la tabella allegata alla legge n. 121 del 1981 nella parte in cui non prevedeva alcuna equiparazione tra gli ispettori della Polizia di Stato e i sottufficiali dei Carabinieri — anzichè limitarsi ad individuare la suddetta equiparazione eliminando la omissione esistente, avrebbe dato luogo ad un "sommovimento integrale" dei ruoli della Polizia di Stato, determinando una commistione, nel nuovo ruolo degli ispettori, delle funzioni degli stessi con quelle originariamente attribuite ai sovrintendenti, nonchè il sorgere di un complesso di qualifiche (quanto meno per quelle da vice ispettore e ispettore capo) i cui compiti risulterebbero sostanzialmente ridotti, quanto a qualità delle prestazioni, rispetto a quelli previsti dall’originaria riforma della pubblica sicurezza.

In particolare, per ciò che concerne gli artt. 3 e 4 del decreto legislativo n. 197 del 1995, il Collegio rimettente rileva che essi avrebbero compresso quel ruolo d’intelligence originariamente attribuito agli ispettori, determinando una nuova organizzazione, che ne modifica le funzioni; quanto agli artt. 13, 14, 15 dello stesso decreto, osserva che essi determinano le modalità d’inquadramento e la progressione in carriera nell’ambito del nuovo ruolo degli ispettori — nonchè, in via transitoria, le modalità di inquadramento in tale nuovo ruolo del personale che, alla data del 1° settembre 1995, apparteneva ai precedenti ruoli dei sovrintendenti e degli ispettori — in modo irragionevole, in assenza, cioé, di una ordinata riqualificazione degli ispettori stessi nel quadro della riorganizzazione operata. Si creerebbero, cioé, posizioni e scavalcamenti senza alcun criterio logico e di buona amministrazione, frammischiando ruoli diversi e soggetti in possesso di requisiti non omogenei. E ciò in violazione sia dell’art. 97 della Costituzione, in quanto il nuovo assetto non tenderebbe alla "ottimizzazione organizzativa" della pubblica amministrazione; sia dell’art. 76 della Costituzione, poichè il decreto legislativo in questione, pur non dovendo porsi, alla stregua della delega contenuta nella legge 6 marzo 1992, n. 216, come modificativo dei principi organizzatori che avevano ispirato la riforma del 1981, ma essendo semplicemente finalizzato alla perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri, ai sensi della predetta sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991, avrebbe, invece, provveduto, obliterando le ragioni della delega stessa, ad una modifica sostanziale di quei principi.

5.— Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti Ernesto Fontana e Stanislao Aleotti, ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno concluso per la declaratoria d’illegittimità costituzionale della normativa impugnata, sottolineando, in particolare, che con la legge n. 121 del 1981 il legislatore aveva istituito il nuovo ruolo degli ispettori, quale forza di collegamento, e dunque intermedia, tra il ruolo esecutivo degli agenti e dei sovrintendenti ed il ruolo direttivo dei commissari, affidando loro mansioni essenzialmente di concetto ed importanti compiti d’investigazione. Con il decreto legislativo n. 197 del 1995 sarebbe stato completamente ridisegnato il ruolo degli ispettori di Polizia, stravolgendosi l’assetto configurato dalla legge n. 121 del 1981, con forte riduzione delle funzioni proprie di costoro, sminuendosi, in particolare, il ruolo di coordinamento intermedio, e contemporaneamente consentendo ai sovrintendenti (ruolo esecutivo) di transitare ex lege nel ruolo degli ispettori, anche scavalcando i neo ispettori. In tal modo, costoro vedrebbero appiattite le loro funzioni, e verrebbero affiancati, quando non addirittura scavalcati, dagli ex sovrintendenti.

Si é altresì costituito Francesco Visciotto, che ha prospettato argomentazioni adesive alle motivazioni della ordinanza di rimessione, in particolare sottolineando i precisi limiti che all’operazione di complessivo riordino aveva posto il legislatore delegante, e l’irrazionale rivisitazione che il decreto delegato avrebbe operato dei principi organizzatori che avevano ispirato la riforma della Polizia di Stato.

6.— Nel giudizio ha altresì spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione. Ha osservato, in particolare, l’Autorità intervenuta che la legge n. 216 del 1992 contiene due distinte deleghe al Governo, la prima delle quali (art. 2) concerne l’adozione di un decreto legislativo per definire, in maniera omogenea, nel rispetto dei principi fissati dai relativi ordinamenti di settore, stabiliti dalle leggi vigenti, le procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di Polizia e delle Forze Armate; la seconda (art. 3) prevede, invece, una serie di decreti legislativi recanti le "necessarie modificazioni agli ordinamenti" del medesimo personale, per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea. Il decreto impugnato é stato emanato in attuazione appunto della delega contenuta nell’art. 3. La questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sarebbe originata, secondo l’Avvocatura, da un equivoco, quello, cioé, di far riferimento ad uno specifico criterio della legge delega, quale "il rispetto dei principi fissati dai rispettivi ordinamenti di settore", contenuto solo nell’art. 2 della delega, laddove l’art. 3 ha per oggetto proprio la modificazione degli ordinamenti del personale, con l’unica finalità di conseguire la omogeneizzazione delle discipline di settore.

Nella memoria si aggiunge che, per effetto del riordinamento di cui si tratta, il nuovo ruolo degli ispettori ha visto accrescersi, e non diminuire, le proprie funzioni, in quanto ha recepito quelle precedenti, di carattere prevalentemente investigativo, inglobandone altre, nuove e di livello superiore, quali quelle derivanti dall’attribuzione di compiti di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, e dalla responsabilità di uffici.

7.— La medesima questione é stata sollevata dallo stesso Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con altre due ordinanze di contenuto identico a quelle di cui si é riferito sub 4), emesse sempre il 4 luglio 1996 (r.o. nn. 241 e 242 del 1997).

8.— Nei relativi giudizi si sono costituiti rispettivamente Raffaellina Conte, Ciro Panico, Pasquale Andreozzi, Laura Marcesini (giudizio introdotto con la ordinanza r.o. n. 241 del 1997), Giovanni Meuti, Giuseppe Pierro, Benedetto Vescovo e Salvatore Montemale, Catello Somma, Flavio Tuzi (r.o. n. 242 del 1997), insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa denunciata, con argomentazioni adesive alle motivazioni della ordinanza di rimessione.

9.— Nei giudizi é, altresì, intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri che ha concluso per la infondatezza.

10.— La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, lettere a) e b), del d.lgs. n. 197 del 1995 é stata, altresì, sollevata dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, con ordinanza del 19 febbraio 1997 (r.o. n. 266 del 1997). Secondo il collegio rimettente, la predetta normativa si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto regolamenterebbe situazioni differenti in modo uguale, e con l’art. 97 della Costituzione, violando il principio di buon andamento della pubblica amministrazione per il fatto di determinare una commistione di ruoli diversi e di soggetti in possesso di requisiti non omogenei.

11.— Nell’imminenza della data fissata per l’udienza, la difesa di Antonio Di Meo, Maria Teresa Seneci, Flavio Tuzi, parti private nel giudizio originato dalla ordinanza r.o. n. 1288 del 1996, ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate, sulla base del rilievo della irragionevolezza della equiparazione del trattamento economico spettante ai sovrintendenti a quello riservato agli ispettori della Polizia di Stato. In proposito, si ribadisce il diverso carattere delle mansioni di concetto affidate ai secondi rispetto a quelle, esecutive, che fanno capo ai primi.

Nè l’attribuzione di uno scatto aggiuntivo, operata a seguito del d.l. n. 271 del 1994, a far tempo, peraltro, solo dal 1° gennaio 1994 — soggettivamente limitata al personale appartenente alla qualifica di vice ispettore, di ispettore e di ispettore capo, risultandone esclusi gli ispettori principali, ed inclusi gli ispettori capo a condizione di provenire dai ruoli del disciolto Corpo della Guardia di pubblica sicurezza o da quelli del Corpo di Polizia femminile — sarebbe in grado di sanare il contrasto con l’art. 36 della Costituzione, posto che il differenziale retributivo preesistente alla legge n. 216 del 1992 tra le due citate categorie di dipendenti della Polizia di Stato era di entità ben superiore a quella di uno scatto di stipendio, tenuto anche conto che lo scatto in questione é attribuito in misura percentuale rispetto non all’intero trattamento economico percepito, ma al solo stipendio in godimento, con esclusione, quindi, delle altre voci stipendiali diverse dalla retribuzione.

12.— Anche l’Avvocatura ha depositato una memoria, con la quale ha insistito per la inammissibilità della questione, e comunque, ne ha richiesto il rigetto in quanto infondata. In proposito, ha sottolineato che, a seguito della riforma attuata con la legge n. 121 del 1981, l’inquadramento del personale del Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza nei nuovi ruoli della Polizia di Stato si era ispirato al criterio della collocazione degli ex sottufficiali del Corpo — già equiparati ai sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e delle altre Forze di Polizia — nel nuovo ruolo dei sovrintendenti della Polizia di Stato, con la sola eccezione dei marescialli di prima classe, carica speciale, inquadrati nel nuovo ruolo degli ispettori. Pertanto, solo per la figura apicale dell’ispettore capo non si era rinvenuta una corrispondenza retributiva con sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e delle altre Forze di Polizia. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991, che aveva ritenuto irragionevole tale esclusione degli ispettori dalla tabella di equiparazione allegata alla legge n. 121 del 1981, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 986 del 1991, riconosceva la corrispondenza delle funzioni connesse ai vari gradi dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri con quelle delle qualifiche della Polizia di Stato, ivi compresi gli ispettori di Polizia.

In attuazione di tali sentenze, il legislatore ha, dapprima, con il d.l. n. 5 del 1992, operato l’allineamento economico equiparando altresì, ai sottufficiali dei carabinieri i sovrintendenti della Polizia di Stato, in forza dell’originario allineamento con i primi. In una seconda fase, per risolvere le più complesse esigenze di riordinamento in forza di una norma di delega contenuta nella legge di conversione del predetto decreto, sono stati emanati, in data 12 maggio 1995, diversi decreti legislativi contenenti le necessarie modificazioni agli ordinamenti del personale delle varie Forze di Polizia, per il riordino delle carriere, delle funzioni e dei trattamenti economici allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali. In tale contesto, gli ispettori di Polizia, nell’attesa di siffatto riordinamento, non potevano che permanere nella posizione economica transitoriamente prevista dalla legge di conversione del d.l. n. 5 del 1992 e, comunque, nelle more dell’adozione di tali provvedimenti, al personale del ruolo degli ispettori é stato riconosciuto un trattamento stipendiale superiore a quello dei sovrintendenti ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 271 del 1994. Successivamente, con il d.lgs. n. 197 del 1995, il personale proveniente dal vecchio ruolo degli ispettori é stato reinquadrato nelle varie qualifiche del nuovo ruolo, ottenendo una progressione gerarchica, funzionale ed economica ed un correlativo trattamento economico di livello superiore a quello precedentemente percepito.

13.— Hanno depositato memorie anche le parti private dei giudizi introdotti con le ordinanze r.o. nn. 241 e 242 del 1997, rispettivamente Ciro Panico, Pasquale Andreozzi, Raffaellina Conte, Laura Marcesini e Meuti, Pierro, Vescovo, Montemale, Somma, Tuzi, ponendo l’accento sullo svuotamento, che sarebbe stato operato dal d.lgs. n. 197 del 1995, delle funzioni esercitate dagli ispettori, e sulla incongruenza tra procedure selettive per l’accesso al relativo ruolo e funzioni attribuite agli appartenenti al ruolo medesimo. Si rileva, altresì, che per il personale appartenente ai ruoli di assistenti e di sovrintendenti il riordino non avrebbe comportato alcuna modificazione dei compiti e delle funzioni in precedenza attribuiti.

Si lamenta, inoltre, una immissione automatica ed incontrollata in un ruolo superiore di personale già inquadrato in un ruolo inferiore, senza previo accertamento, attraverso una idonea procedura selettiva, delle relative competenze professionali.

Per le ricorrenti provenienti dal corpo delle ex assistenti di Polizia femminile, l’inquadramento nella posizione di ispettore superiore sarebbe fonte di ulteriori pregiudizi, in quanto esse si vedrebbero equiparate a personale proveniente dalla carriera esecutiva, al pari di quanto avviene per tutti coloro che erano inquadrati nel ruolo degli ispettori anteriormente al riordino, mentre, secondo la sentenza n. 219 del 1993 della Corte costituzionale, presentano caratteristiche peculiari, applicandosi ad esse le disposizioni previste per gli impiegati civili dello Stato ed essendo inquadrate in una carriera di concetto.

Esse, tra l’altro, sono in possesso dei requisiti per essere inquadrate in ruoli direttivi (commissario).                    

Quanto alla creazione di un fittizio ruolo ad esaurimento con l’unica qualifica di ispettore capo, nel quale é inquadrato personale con qualifica di sovrintendente capo e principale, essa darebbe vita, in realtà, ad una carriera che si sviluppa a latere di quella ordinaria prevista per gli ispettori, realizzando una immissione nella qualifica di ispettore capo di personale appartenente ad un ruolo diverso senza concorso e senza alcuna selezione.

14.— Anche l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memorie in relazione ai giudizi introdotti con le ordinanze r.o. nn. 241 e 242 del 1997, oltre che in relazione a quello introdotto con ordinanza r.o. n. 240 del 1997, insistendo per la infondatezza delle questioni sollevate. Ha, al riguardo, ribadito che il decreto legislativo n. 197 del 1995 rispetta le finalità e il contenuto della delega conferita con la legge n. 216 del 1992, che non era stata attribuita solo per determinare un nuovo assetto in linea con la sentenza n. 277 del 1991 della Corte costituzionale, ma per incisive modificazioni nei gradi e nelle qualifiche delle Forze di Polizia. E comunque, nel decreto delegato n. 197 del 1995, il ruolo dei sovrintendenti é tenuto distinto, secondo l’Avvocatura, da quello degli ispettori, mentre solo in via transitoria specifiche norme prevedono che il personale di ruolo dei sovrintendenti e vice sovrintendenti sia inquadrato nella qualifica di vice ispettore. Anche per quanto riguarda l’inquadramento del sovrintendente capo o del sovrintendente principale nella qualifica di ispettore capo del ruolo ad esaurimento, si precisa che questi é funzionalmente subordinato agli ispettori capo del ruolo degli ispettori. Del resto, si osserva, già nella riforma di cui alla legge n. 121 del 1981, era stata introdotta l’equiparazione tra il sovrintendente di quarta, l’ispettore di prima e l’ispettore di seconda, e prevista una posizione diversa dell’ispettore di terza.

Considerato in diritto

 

1.— Le questioni sollevate possono essere suddivise in due gruppi.

Il primo riguarda l’art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di Polizia), convertito, con modificazioni (ma per questa norma senza variazioni), dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, censurato nella parte in cui attribuisce ai sovrintendenti della Polizia di Stato lo stesso trattamento economico degli ispettori, senza parificarne le funzioni, sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione(questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con ordinanza r.o. n. 1288 del 1996).

Il secondo gruppo concerne il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato). Di questo vengono impugnati gli artt. 3 e 4 in riferimento all’art. 97 della Costituzione, sotto il profilo che, determinando un nuovo sistema organizzatorio della Polizia di Stato, che ridimensionerebbe la funzione attribuita agli ispettori, accomunando i compiti ad essi già assegnati con quelli originariamente spettanti ai sovrintendenti, si porrebbero in contrasto con il principio della ottimizzazione organizzatoria della pubblica amministrazione; nonchè in riferimento all’art. 76 della Costituzione per la obliterazione delle ragioni della delega contenuta nella legge n. 216 del 1992, limitata alla mera perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri rispetto agli ispettori della Polizia di Stato ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991 (questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze r.o. nn. 240, 241 e 242 del 1997).

Inoltre viene denunciata la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 97 e 76 della Costituzione, degli artt. 13, 14 e 15 del predetto decreto legislativo n. 197 del 1995, nella parte in cui disciplinano le funzioni e le modalità di progressione in carriera nell’ambito del nuovo ruolo degli ispettori, nonchè, in via transitoria, le modalità di inquadramento del personale che, alla data del 1° settembre 1995, apparteneva ai precedenti ruoli dei sovrintendenti e degli ispettori, in modo da determinare posizioni e scavalcamenti senza alcun ordine logico. (Questioni sollevate dallo stesso Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le predette ordinanze r.o. nn. 240, 241 e 242 del 1997).

Infine viene riproposto un particolare profilo di illegittimità costituzionale, per violazione sempre degli artt. 3 e 97 della Costituzione, dell’ anzidetto art. 13, lettere a) e b), del d. lgs. n. 197 del 1995, nella parte in cui provvede agli inquadramenti degli ispettori e dei sovrintendenti della Polizia di Stato, in quanto regolamenterebbe situazioni differenti in modo uguale, operando una commistione di ruoli diversi e di soggetti in possesso di requisiti non omogenei (questione sollevata dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, con ordinanza r.o. n. 266 del 19 febbraio 1997).

2.— Stante la identità di alcune questioni e l’evidente connessione oggettiva di altre, deve disporsi la riunione dei giudizi per la decisione con unica sentenza.

3.— Preliminarmente deve essere precisato che tutti i profili non dedotti nelle ordinanze di rimessione, che nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale fissano il thema decidendum, non possono essere oggetto di esame in questa sede, così dovendosi ridimensionare le argomentazioni nuove dedotte in alcune memorie delle parti private, come nel primo gruppo, per il profilo attinente al trattamento economico, in taluni casi più favorevole per i sovrintendenti in conseguenza dell’applicazione di norme sulla valutazione dell’anzianità

4.— L’eccezione di inammissibilità, per il primo gruppo di questioni, contenuta nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, é priva di fondamento, in quanto la questione proposta non si concreta in una mera richiesta di adeguamento in aumento del trattamento economico — che di per sè non può essere rimesso alla Corte costituzionale, anche perchè la soluzione non sarebbe logicamente necessitata e comunque comporterebbe scelte discrezionali — , ma riguarda, con finalità implicitamente caducatorie, l’esame della stretta legittimità costituzionale della norma che ha attribuito ai sovrintendenti e corrispondenti qualifiche il trattamento economico del livello VI.

5.— Nel merito, le questioni sono prive di fondamento.

6.1.— La norma denunciata con la prima ordinanza (art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992, n.5, r.o. n. 1288 del 1996) é una tipica misura di perequazione del trattamento economico che rientra nella discrezionalità legislativa, fermo il limite generale per ogni intervento normativo della ragionevolezza, come svolgimento dell’art. 3 della Costituzione. Tale discrezionalità ricomprende tanto la differenziazione del trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, che non incorre di per sè in violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 36 (sentenza n. 133 del 1985), quanto la possibilità che nell’ambito del pubblico impiego siano attribuite voci retributive o indennità particolari in maniera uniforme per personale appartenente a figure e livelli differenti. Ciò, ovviamente, se non vi siano appiattimenti retributivi (sentenza n. 65 del 1997) o non si verifichino altre forme sintomatiche di palese arbitrarietà o di manifesta non ragionevolezza (sentenze n. 133 del 1996 e n. 217 del 1997). Inoltre non vi é un obbligo, negli interventi legislativi in materia, di assoluta contemporaneità tra variazioni del trattamento tabellare e modifiche ordinamentali e organizzatorie di funzioni, potendo queste subire ritardi in una fase transitoria e di riforma progressiva.

Sullo stesso piano, deve escludersi che il cambiamento verso l’alto di un livello retributivo tabellare di una categoria di personale debba, in ogni caso, comportare la necessità di innalzare i livelli superiori, in modo da esigere l’ulteriore avanzamento di un "gradino" di coloro che erano in posizione sovraordinata, potendo i livelli retributivi essere anche modificati nel numero (in riduzione o in aumento), così come può pervenirsi a riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l’ambito dei livelli, ciò naturalmente fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza.

Inoltre, il rapporto di proporzionalità della retribuzione ai fini dei principi desumibili dall’art. 36 della Costituzione deve essere effettuato con riguardo al trattamento economico complessivo in relazione alla categoria e al livello proprio dell’ impiego pubblico quale configurato dalla relativa normativa, e non é suscettibile di differenziazioni personali nell’ambito del livello unificato, salvo quelle derivanti da anzianità o quelle particolari indennità o compensi per attività aggiuntive o comportanti maggiore impegno quantitativo o qualitativo.

6.2.— Il d.l. 7 gennaio 1992, n. 5 e la legge di conversione 6 marzo 1992, n. 216 sono andati oltre il semplice adeguamento alla statuizione di incostituzionalità (per la parte de qua, relativa alla mancata comparazione tra ispettori e sottufficiali dei carabinieri nella tabella "C" allegata alla legge n. 121 del 1981), contenuta nella sentenza n. 277 del 1991.

Infatti, le dette disposizioni hanno proceduto — operando una scelta propria del legislatore — non solo a colmare il vuoto di comparazione ed equiparazione per i sottufficiali dei Carabinieri, ma anche alla unificazione completa, a decorrere dal 1° gennaio 1992, del trattamento economico (allineandolo sui livelli VI, VI bis e VII) di tutti i sottufficiali dei Corpi di Polizia sia a ordinamento militare che civile (e qualifiche corrispondenti), compresi quelli appartenenti a Forze di Polizia (diverse dai Carabinieri), che erano stati mantenuti al di fuori sia dell’oggetto della pronuncia della Corte, sia delle conseguenti decisioni dei giudici amministrativi (v., per quest’ultimo profilo, sentenze n. 465 del 1997, n. 455 del 1993).

In sostanza, in considerazione delle più urgenti esigenze derivanti dall’intervento sui sottufficiali dei carabinieri, si é inteso ridurre — attraverso una compattazione verso l’alto delle posizioni economiche dei sovrintendenti, riallineate alla originaria equiparazione tra sottufficiali — le discrasie e le differenze ben più gravi che si sarebbero verificate nei confronti degli stessi vice sovrintendenti e dei sovrintendenti rispetto alle altre Forze di Polizia, pur nella consapevolezza di non potersi raggiungere, con questa operazione meramente meccanica ed economica, il risultato ottimale nei trattamenti retributivi ed ordinamentali, che mantenevano, sia pure ridotte, ulteriori discrasie. Queste sono al di fuori del contenuto della norma denunciata e dipendono principalmente dal fatto che la omogeneizzazione (in linea di principio) dei trattamenti economici del personale delle Forze di Polizia — attraverso l’estensione automatica e normativa con effetti di rinvio mobile al trattamento della Polizia di Stato (da fissarsi con esclusione dei dirigenti, mediante accordi: legge n. 121 del 1981) — non era ancora affinata e completa dal punto di vista funzionale.

Si era ancora in un periodo da considerarsi pur sempre transitorio, in quanto ciascuna delle Forze di Polizia aveva all’epoca conservato il suo precedente assetto organizzativo funzionale, salvo la Polizia di Stato, che aveva conseguito, con la stessa legge n. 121 del 1981, nuove norme organizzative cui era accompagnato un nuovo ordinamento della pubblica sicurezza.

Del resto, la Corte ha chiarito che il trattamento economico dell’anzidetto personale subiva i riflessi sostanziali derivanti dalle diverse forme di progressione nelle qualifiche e nei gradi, anche se l’omogeneizzazione economica era destinata ad affinarsi nel corso del tempo, nell’obiettivo di perseguire l’effettivo equilibrio di trattamenti, che presuppone l’eliminazione di differenze o carenze di meccanismi di progressione in taluni ordinamenti e l’adeguamento di moduli ordinamentali (sentenze nn. 65 e 465 del 1997).

Nè può farsi a meno di sottolineare che non possono costituire motivo di illegittimità costituzionale di una norma, per un verso, gli effetti distorsivi che possono derivare da applicazione non corretta e non conforme ai principi in materia di pubblico impiego; per l’altro, gli effetti riflessi che costituiscono conseguenza indiretta dell’applicazione di altre norme non denunciate.

7.1.— Le anzidette discrasie ed incongruenze (o la possibilità di "eventuali distorsioni", come definite dalla Avvocatura dello Stato) sono state percepite dal legislatore, che, proprio in occasione della perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri a seguito della sentenza della Corte n. 277 del 1991, ha proceduto, in un disegno chiaramente transitorio, non solo ad una perequazione sempre economica delle corrispondenti posizioni delle altre Forze di Polizia, ma ha altresì avviato la successive fasi dirette ad una ulteriore e sostanziale omogeneizzazione, con il conferimento di duplice delega (differenziata per fonte, oggetto, proponenti, principi direttivi e criteri di delega: artt. 2 e 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216).

Lo stesso legislatore ha poi provveduto ad un ulteriore intervento urgente correttivo, peraltro non esaustivo, ritoccando il trattamento economico del ruolo ispettori (art. 1 del d.l. n. 271 del 1994, convertito in legge n. 433 del 1994)

7.2.— La prima delega contenuta nell’art. 2, comma 1, della legge 6 marzo 1992, n. 216, ha per oggetto la definizione "in maniera omogenea, nel rispetto dei principi fissati dai relativi ordinamenti di settore, stabiliti dalle leggi vigenti, ivi compresi quelli stabiliti dalla legge 11 luglio 1978, n. 382", delle procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di Polizia anche ad ordinamento militare, ai sensi della legge 1° aprile 1981, n. 121, nonchè del personale delle Forze armate, ad esclusione dei dirigenti civili e militari e del personale di leva. La delega doveva essere esercitata con un unico decreto legislativo su proposta del Ministro dell’interno di concerto con gli altri Ministri interessati, sulla base di appositi e ulteriori criteri e principi stabiliti nei commi 3 e seguenti del suddetto art. 2. Era evidente, come ha avuto occasione di sottolineare la Corte con sentenza n. 65 del 1997, la crescente preoccupazione del legislatore di non alterare gli equilibri tra i vari ordinamenti militari.

La prima delega é stata esercitata con il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, che richiama anche la legge 29 aprile 1995, n. 130.

La seconda delega, prevista nell’art. 3 della citata legge n. 216 del 1992 (quella esercitata, tra l’altro, con il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 197, denunciato con il secondo gruppo di ordinanze: r.o. nn. 240, 241, 242, 266 del 1997) prevede "le necessarie modifiche degli ordinamenti del personale delle Forze di Polizia e delle Forze armate, esclusi dirigenti e direttivi, per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di stato, nonchè le attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, previsti dalle vigenti disposizioni di legge". L’esercizio della delega era previsto con più decreti legislativi su proposta dei Ministri rispettivamente interessati e per le Forze di Polizia con la concertazione del Ministro dell’interno, attesi i suoi compiti istituzionali confermati nella legge n. 121 del 1981. I principi e i criteri direttivi sono fissati con specifiche disposizioni, che prevedono anche la copertura finanziaria.

7.3.— Sulla base delle predette considerazioni é evidente che la delega, cui deve farsi riferimento per valutare l’osservanza, da parte del denunciato d.lgs. n. 197 del 1995, dell’art. 76 della Costituzione, é quella dell’art. 3 della legge n. 216 del 1992, sicchè é fuor di luogo il richiamo all’art. 2 e al "rispetto dei principi fissati dai relativi ordinamenti di settore", che riguardano una delega diversa per oggetto, procedura e criteri. Allo stesso modo é completamente arbitrario ritenere che le ragioni della delega fossero circoscritte alle esigenze di colmare il vuoto evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991, di modo che ne risultasse anche una limitazione di oggetto. Il richiamo alla sentenza della Corte n. 277 del 1991 é contenuto nel titolo, nelle premesse e nell’art. 1 del decreto-legge n. 5 del 1992, convertito dalla legge n. 216, che a sua volta nella disposizione di conversione all’art. 1 si riferisce al decreto-legge, menzionandolo con il suo titolo.

Invece, gli artt. 2 e 3 (contenenti le due deleghe) della legge n. 216 del 1992 sono disposizioni del tutto autonome rispetto al decreto-legge e alla sua conversione, essendo stati introdotti, come norma aggiuntiva, alla legge di conversione nel corso dell’esame dello stesso disegno di legge; nè poteva essere altrimenti, posto che l’atto di conferimento al Governo di delega legislativa può avvenire solo con legge.

In realtà la legge n. 216 del 1992 ha un duplice contenuto con diversa natura ed autonomia: l’uno (art. 1) di conversione del decreto-legge "con le modificazioni riportate in allegato alla legge", adottato in base alla previsione dell’art. 77, terzo comma della Costituzione; l’altro (artt. 2 e 3), di legge di delega ai sensi dell’art. 76 della Costituzione.

Nè può ritenersi che il contenuto o le premesse del decreto-legge influiscano sull’ambito della legge di delega, essendovi solo una mera contestualità nelle disposizioni legislative, senza alcun collegamento e senza richiamo nell’oggetto o nei criteri direttivi della delega, come del resto si evince anche dal titolo della legge n. 216, che riproduce il titolo del decreto-legge, distinguendo nettamente l’altra parte del testo normativo relativa alla delega.

7.4.— In ordine alla infondatezza della ulteriore censura di eccesso di delega sotto il profilo che non si sarebbero dovuti modificare il ruolo degli ispettori nè le nuove funzioni di investigazione, é sufficiente rilevare che la delega di cui all’art. 3 prevedeva tutte le necessarie modifiche degli ordinamenti per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, si noti, con riguardo ad una vasta gamma di ordinamenti comprendenti Forze di Polizia e Forze armate. Di conseguenza, non può rinvenirsi nella delega l’affermazione della intangibilità della posizione del ruolo degli ispettori. Nè ciò può dedursi dalle altre limitazioni contenute nell’art. 3, in quanto i compiti istituzionali sono quelli previsti per i singoli corpi, mentre gli artt. 3 e 4 del d.lgs. di cui si tratta non coinvolgono norme fondamentali di Stato, nè "attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza" (con chiaro riferimento alla prima parte del Capo I della legge 1° aprile 1981, n. 121).

7.5.— Neppure si ravvisa la lesione dell’art. 97 della Costituzione, ad opera delle norme denunciate del d.lgs. n. 197, in quanto le variazioni dell’assetto organizzatorio della pubblica amministrazione rientrano nelle scelte del legislatore, e non sono di per sè indice di un peggioramento dell’andamento dell’amministrazione, anche se diminuiscono o non accrescono le posizioni di singoli o di gruppi di dipendenti. Ciò quando si inseriscono in un disegno dichiarato di politica normativa tendente alla razionalizzazione e alla omogeneizzazione di situazioni di ordinamenti, quali quelli delle Forze di Polizia o delle Forze armate, che in una valutazione politica dello stesso legislatore (certamente non palesemente arbitraria o manifestamente irragionevole) dovevano essere ricondotte ad effettivo equilibrio di trattamenti normativi ed economici, (v., per riferimenti, sentenza n. 65 del 1997), evitando alterazioni settoriali e rincorse di rivendicazioni.

Sul piano costituzionale le norme denunciate sono il risultato di una scelta del legislatore, che può essere anche discutibile in comparazione ad altre possibili soluzioni più o meno convenienti per particolari interessi di categorie o di settori di personale (certamente degni di apprezzamento nella sede opportuna di iniziativa); ma ciò costituisce merito di politica legislativa non sindacabile in questa sede al di fuori dei ricordati limiti di non palese arbitrarietà o di non manifesta irragionevolezza.

Nè le modifiche ordinamentali e di trattamento intervenute con riferimento ai sovrintendenti ed agli ispettori erano precluse dalla delega legislativa e dai relativi criteri e principi direttivi, che espressamente prevedevano "la revisione dei ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche, gradi, ovvero mediante la istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e gradi", con "le occorrenti disposizioni transitorie". Come si vede, la delega era di tale ampiezza da consentire certamente modificazioni dell’ordinamento del personale e dei ruoli ai fini di migliore organizzazione. Di conseguenza, il mutamento del precedente assetto per dette categorie e ruoli non può essere riproposto neppure sotto un indiretto profilo di violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Del resto, il predetto principio costituzionale resta estraneo alla tutela delle posizioni acquisite o dei precedenti assetti normativi derivanti da una legge, quale quella n. 121 del 1981, che costituisce — come già sottolineato — solo un inizio di omogeneizzazione dei trattamenti del settore, e, si può aggiungere, non un modello assolutamente ottimale, e, quindi, non immodificabile, in relazione anche a esigenze man mano sopravvenute di notevole rilievo, secondo l’apprezzamento dello stesso legislatore, come quelle di equilibrio di interi settori di Polizia e di Forze armate.

8.— In ordine agli art. 13, 14 e 15 del predetto d.lgs. n. 197 del 1995 deve essere sottolineato, secondo quanto, del resto, rilevato dall’Avvocatura dello Stato, che il ruolo dei sovraintendenti é rimasto distinto da quello degli ispettori, e solo in via transitoria si é operato un inquadramento degli attuali sovrintendenti e vice sovrintendenti nella qualifica di vice ispettore, mentre i sovrintendenti capo e i sovrintendenti principali inquadrati nella qualifica di ispettore capo del ruolo ad esaurimento rimangono funzionalmente subordinati agli ispettori capo del ruolo degli ispettori, ridimensionandosi così taluni effetti dell’inquadramento (art. 15, comma 3).

Del resto, già con la legge 1° aprile 1981, n. 121 il sovrintendente di quarta e l’ispettore di prima erano stati posti nel livello VI, cui era seguita poi la creazione del livello VI bis per l’ispettore di terza.

9.— Sulla base delle predette considerazioni risulta l’infondatezza anche dei profili di illegittimità sollevati dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma per la Provincia di Bolzano (r.o. n. 266 del 1997).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991, e all’esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di Polizia), convertito, con modificazioni, in legge dall’art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 13, 14 e 15 del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), sollevate, in riferimento agli artt. 97 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, lettere a) e b), del predetto decreto legislativo n. 197 del 1995, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 12 marzo 1998.