Ordinanza n. 38/98

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ORDINANZA N.38

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 8, 31, comma 3, 16 e 20 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), promosso con ordinanza emessa il 24 ottobre 1996 dal Pretore di Verona, iscritta al n. 1343 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 2, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione della Radio Montebaldo Edizioni s.r.l. nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 1998 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avv.to Eugenio Porta per la Radio Montebaldo Edizioni s.r.l. e l’Avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Pretore di Verona, con ordinanza emessa il 24 ottobre 1996, pervenuta a questa Corte il 9 dicembre 1996, ha rimesso a questa Corte due questioni di legittimità costituzionale;

che la prima questione, sollevata in riferimento agli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione, investe gli artt. 8, comma 8, e 31, comma 3, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), concernenti rispettivamente i limiti massimi ammessi per la trasmissione di messaggi pubblicitari da parte delle emittenti radiofoniche, e la sanzione amministrativa per le relative violazioni, stabilita nel pagamento di una somma da dieci a cento milioni, salva, nei casi più gravi, la sospensione della concessione;

che, ad avviso dell’autorità remittente, dette norme contrasterebbero con il principio di eguaglianza, in quanto disciplinano nello stesso modo situazioni che presenterebbero elementi soggettivi ed oggettivi profondamente diversi, non distinguendo neppure fra televisioni e radio, nonchè fra soggetti che trasmettono con più reti nazionali e soggetti che possiedono una sola emittente a diffusione locale; e violerebbero gli articoli 21 e 41 della Costituzione, impedendo la libera scelta dell'indirizzo editoriale e dei programmi della emittente, espressione delle libertà di manifestazione del pensiero e di iniziativa economica;

che, inoltre, il principio di eguaglianza sarebbe violato anche per la mancata previsione di un parametro di commisurazione della sanzione basato sull'entità del vantaggio che deriva all'emittente dalla violazione;

che, infine, le norme impugnate sarebbero illegittime per la asserita irragionevole sproporzione, rispetto alla gravità delle violazioni, delle sanzioni pecuniarie previste, con un minimo che sarebbe eccessivo per le emittenti locali ed un massimo che sarebbe irragionevolmente modesto per le emittenti nazionali, sproporzione aggravata dalla mancata previsione di un parametro di commisurazione della sanzione basato sull'entità del vantaggio conseguito dalla emittente con la violazione;

che la seconda questione, sollevata in riferimento ai medesimi parametri, investe gli articoli 16 e 20 della legge n. 223 del 1990, relativi rispettivamente al regime delle concessioni per gli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva privata e agli obblighi di programmazione dei concessionari, disposizioni che sarebbero sospette di incostituzionalità nella parte in cui "non consentono di autorizzare radiotelevisioni tematiche, prevedendo invece solo quelle generaliste, con le conseguenti irragionevoli limitazioni alla libertà di programmazione, contrastanti coi possibili e legittimi interessi editoriali", impedendo in particolare di realizzare emittenti che trasmettano per tutto il tempo pubblicità, pur se intervallata da servizi di informazione: con violazione degli artt. 21 e 41 della Costituzione, nonchè del principio di eguaglianza di cui all'art. 3, in quanto tale limitazione non é posta agli editori di pubblicazioni a stampa;

che davanti alla Corte si é costituita la società ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che le norme impugnate siano dichiarate costituzionalmente illegittime, per le ragioni esposte nella ordinanza di rimessione;

che, secondo la parte privata, inoltre, gli articoli 16 e 20 della legge impugnata, configurando un regime di concessione che sarebbe presupposto dalla sanzione applicata, si porrebbero in contrasto con il principio per cui la diffusione radiotelevisiva costituisce un diritto soggettivo perfetto, non assoggettabile a concessione;

che é intervenuto altresì nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che sia dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 8, e 31, comma 3, della legge n. 223 del 1990; e che sia dichiarata inammissibile, o in subordine infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 20 della stessa legge;

che, quanto alla prima questione, l’Avvocatura erariale nega che l'art. 8, comma 8, ponendo limiti all'affollamento pubblicitario, impedisca la libera determinazione della programmazione, in quanto la norma regolerebbe solo il tempo di trasmissione dei messaggi pubblicitari, in attuazione di esigenze di regolamentazione della pubblicità, riconosciute meritevoli di tutela dalla giurisprudenza costituzionale; e nega che la stessa norma violi il principio di eguaglianza, poichè essa disciplina in modo differenziato, in base a scelte legislative non irragionevoli, la radiodiffusione sonora in ambito locale e nazionale, e quella effettuata da concessionari a carattere comunitario, nonchè la pubblicità radiofonica e quella televisiva;

che, secondo l’interveniente, sarebbe altresì infondato l’addebito di irragionevolezza mosso all’art. 31, comma 3, della legge, dato che la sanzione prevista é ampiamente modulabile fra un minimo ed un massimo, sia da parte dell'autorità che la irroga, sia da parte del giudice che ne controlla l'applicazione;

che la seconda questione, relativa agli artt. 16 e 20 della legge n. 223 del 1990, secondo l'interveniente sarebbe priva di rilevanza, e comunque infondata, anzitutto per le medesime ragioni svolte a proposito dell'art. 8, comma 8, tenendo anche conto che fra i criteri oggettivi previsti per il rilascio della concessione, essenziali nell’ambito del sistema, sono compresi quelli relativi alla qualità dei programmi; nè sussisterebbe la pretesa violazione del principio di eguaglianza in relazione alla diversa disciplina relativa ai giornali, poichè gli editori di questi ultimi non sono concessionari di un bene pubblico; mentre appartiene alla ragionevole discrezionalità del legislatore disciplinare la programmazione televisiva e radiofonica, ivi compresa la pubblicità, in vista anche della tutela degli interessi della stampa.

Considerato che, delle due questioni sollevate dal remittente, solo la prima appare ammissibile sotto il profilo della sussistenza, plausibilmente motivata, della rilevanza, mentre la seconda, relativa agli articoli 16 e 20 della legge n. 223 del 1990, appare ictu oculi priva di rilevanza;

che, infatti, il giudice a quo, chiamato a giudicare sulla legittimità di una sanzione applicata per violazione delle norme sui limiti massimi di affollamento pubblicitario nell’ambito della programmazione radiofonica, non deve fare applicazione alcuna delle disposizioni sul regime di concessione per l’esercizio delle emittenti radiotelevisive, disciplinato dall’art. 16, in quanto i limiti imposti alla pubblicità sono indipendenti dal regime giuridico scelto dal legislatore per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva; nè é chiamato ad applicare le specifiche disposizioni contenute nel comma 18 di detto articolo 16 sui tempi minimi settimanali di programmazione che le emittenti locali debbono dedicare all’informazione e a programmi di carattere non commerciale legati alla realtà locale, poichè la limitazione quantitativa oraria dei messaggi pubblicitari, la cui violazione ha dato luogo alla sanzione irrogata nella specie, trova autonomo e compiuto fondamento nel solo art. 8, comma 8, della legge; nè deve applicare, infine, le disposizioni dell’art. 20 della legge, concernenti gli obblighi di programmazione, che, per quanto riguarda le emittenti radiotelevisive locali, si esauriscono nella imposizione di un minimo di ore giornaliere e settimanali di programmazione, indipendentemente dal contenuto di questa;

che peraltro l’asserita esclusione di radiotelevisioni "tematiche" non trova alcun fondamento nelle norme denunciate, che si limitano a porre i vincoli dianzi ricordati in tema di durata della programmazione e di spazi minimi da riservare all’informazione;

che pertanto tale questione va dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;

che le disposizioni oggetto della prima questione, vale a dire gli articoli 8, comma 8, e 31, comma 3, della legge n. 223 del 1990 sono state oggetto, dopo l’emanazione della ordinanza di rimessione, di modificazioni legislative, ad opera, rispettivamente, dell’art. 1, comma 18, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 545 (Disposizioni urgenti per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva e delle telecomunicazioni), convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650, nel testo introdotto dalla legge di conversione, e dell’art. 3, comma 3, lettera b, numero 6, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo);

che, in particolare, la disposizione da ultimo citata ha stabilito che, "in attesa che il Governo emani uno o più regolamenti nei confronti degli esercenti la radiodiffusione sonora e televisiva in ambito locale, le sanzioni previste dall’articolo 31 della legge 6 agosto 1990, n. 223, sono ridotte ad un decimo", così modificando sostanzialmente il contenuto normativo oggetto di censura;

che appare opportuno rimettere al giudice a quo, a cui vanno restituiti gli atti limitatamente alla questione di legittimità costituzionale relativa agli articoli 8, comma 8, e 31, comma 3, della legge n. 223 del 1990, ogni valutazione di sua competenza circa la applicabilità nel giudizio pendente delle citate disposizioni sopravvenute, nell’ambito di un nuovo esame della questione alla luce dello jus superveniens.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 16 e 20 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Verona con l’ordinanza in epigrafe;

b) ordina la restituzione degli atti al Pretore di Verona per nuovo esame della questione di legittimità costituzionale degli articoli 8, comma 8, e 31, comma 3, della legge 6 agosto 1990, n. 223, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.