Sentenza n. 28/98

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SENTENZA N.28

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), promosso con ordinanza emessa il 24 agosto 1996 dal Pretore di Aosta nel procedimento civile vertente tra Pietro Dupont e Heineken Italia S.p.A., iscritta al n. 1199 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto in fatto

1. — Un impiegato della Heineken Italia s.p.a., in servizio presso lo stabilimento di Pollein, eletto consigliere comunale e designato assessore di tale comune, era collocato, a domanda, in aspettativa non retribuita ai sensi dell’art. 2 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, dal giugno 1989 al maggio 1995, data di cessazione del mandato. La società, con atto del 28 luglio 1995, disponeva il trasferimento del predetto presso lo stabilimento di Messina, a far data dal 1° settembre 1995.

L’impiegato impugnava il trasferimento innanzi al Pretore di Aosta, in funzione di giudice del lavoro, deducendone l’illegittimità, e chiedeva d’essere reintegrato nell’originaria sede di lavoro.

2. — Il Pretore di Aosta, con ordinanza del 24 agosto 1996, ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 27 della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 41, secondo comma, e 51, primo e terzo comma, della Costituzione.

Siffatta norma prevede che i consiglieri comunali e provinciali che <<sono lavoratori dipendenti non possono essere soggetti a trasferimenti durante l’esercizio del mandato consiliare, se non a richiesta o per consenso>> e non é, quindi, direttamente applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio. Il ricorrente é stato, infatti, trasferito dopo la scadenza del mandato, ma, ad avviso del giudice rimettente, proprio a causa della situazione determinatasi <<in conseguenza (o anche in conseguenza)>> dell'espletamento del mandato. La natura eccezionale della norma non consente peraltro di far ricorso all’interpretazione analogica, nè essa é applicabile al caso in esame mediante l’interpretazione estensiva.

La disposizione denunziata, secondo il giudice a quo, stabilendo il divieto di trasferimento del lavoratore dipendente limitatamente al tempo durante il quale é esercitato il mandato, violerebbe, però, l’art. 51, primo comma, della Costituzione, dato che tale ultima norma tutelerebbe anche <<l’interesse alla conservazione tout court dell’originario luogo di lavoro>>, in quanto preordinata a rimuovere tutti i possibili fattori di dissuasione dei cittadini dall’accesso alla carica elettiva.

La facoltà del datore di lavoro di disporre il trasferimento del lavoratore dopo la scadenza del mandato, ma <<a causa>> del suo espletamento, secondo il rimettente, recherebbe vulnus ad un fondamentale diritto politico ed al <<diritto al lavoro in condizioni (che non appare equo siano) pregiudicate o pregiudicabili>> dal suo esercizio e, quindi, contrasterebbe con gli artt. 51, terzo comma e 41, secondo comma, della Costituzione. Quest’ultima norma, prescrivendo che l’iniziativa economica non possa svolgersi in modo da <<recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana>>, concorrerebbe, infatti, a tutelare il diritto di elettorato passivo da ogni possibile pregiudizio.

L’art. 27 della legge n. 816 del 1985, ad avviso del Pretore, violerebbe, infine, l’art. 3, primo comma, della Costituzione, dato che stabilisce un <<trattamento immotivatamente deteriore>> per l’eletto trasferito dopo la scadenza del mandato, ma a causa di esso, rispetto a quello garantito all’eletto durante l’espletamento della funzione pubblica.

3. — E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

L’art. 51, terzo comma, della Costituzione, osserva la difesa erariale, riconosce il diritto del lavoratore subordinato di disporre del tempo necessario per espletare il mandato consiliare ed il diritto di conservare il posto di lavoro, allo scopo di realizzare l’eguaglianza dei cittadini nell’accesso alle cariche elettive, ma riserva la disciplina delle loro modalità di esercizio alla discrezionalità del legislatore ordinario, che può, eventualmente, ampliare il contenuto di siffatte garanzie.

L’estensione del divieto di trasferimento ad un tempo successivo all’esercizio del mandato, correttamente esclusa dal Pretore in via di interpretazione analogica, sfugge, però, alla ratio della norma impugnata e va ben oltre il fine avuto di mira dalla norma dell’art. 51 della Costituzione. L’ampliamento della previsione dell’art. 27 della legge n. 816 del 1985 configurerebbe, infatti, il diritto alla permanenza illimitata nella sede di lavoro occupata al momento dell’elezione e, in mancanza di ogni plausibile giustificazione, integrerebbe un ingiusto privilegio rispetto sia al datore di lavoro, sia a tutti gli altri lavoratori, in palese contrasto con gli artt. 41 e 3 della Costituzione.

4. — Le parti private non si sono costituite nel giudizio innanzi alla Corte.

Considerato in diritto

1. — La questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe riguarda la disposizione dell'art. 27 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, che stabilisce: "i consiglieri comunali e provinciali che sono lavoratori dipendenti non possono essere soggetti a trasferimenti durante l'esercizio del mandato consiliare, se non a richiesta o per consenso". Secondo il giudice rimettente, questa disposizione, non prevedendo il divieto del trasferimento anche dopo la scadenza del mandato, qualora esso sia disposto "in conseguenza (o anche in conseguenza)" del suo espletamento, viola una pluralità di articoli della Costituzione. Innanzi tutto, l'art. 51, primo e terzo comma, della Costituzione, poichè la norma impugnata non tutela l'interesse del lavoratore dipendente alla conservazione dell'originaria sede di lavoro e, in tal modo, non elimina un forte fattore di dissuasione all'accesso alla carica elettiva, connesso al timore di subire una conseguenza negativa, quale il trasferimento. In secondo luogo, l'art. 41, secondo comma, della Costituzione, in quanto il principio che l'iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana postula anche l'esigenza di non pregiudicare il diritto di elettorato passivo. Ed infine l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata riserva un trattamento immotivatamente deteriore "all'eletto che sia trasferito dopo il mandato (ma a causa di esso) rispetto a chi lo sia durante l'esercizio dello stesso".

2. — La questione non é fondata.

Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, il terzo comma dell'art. 51 della Costituzione va interpretato nel senso che in esso é prevista una garanzia strumentale all'attuazione del precetto contenuto nel primo comma, consistente nell'affermazione del diritto di chi é chiamato ad esercitare funzioni pubbliche elettive di disporre del tempo necessario per l'adempimento dei compiti inerenti al mandato e del diritto di mantenere il posto di lavoro (ex plurimis: sentenza n. 158 del 1985). Tutto ciò, del resto, é una coerente derivazione dei principi e dei valori degli articoli 1, 2, 3, 4 della Costituzione (sentenza n. 388 del 1991), essenziale per garantire a tutti i cittadini la possibilità di concorrere alle cariche elettive.

Questa Corte ha costantemente affermato, sin dalla sentenza n. 6 del 1960, che l'espressione dell'art. 51 "conservare il posto di lavoro", interpretata anche alla luce del dibattito all'Assemblea Costituente, in cui si manifestò l'intento di "fissare il principio che, quando un lavoratore viene ad essere investito di una carica pubblica, non deve essere per questo licenziato ma ritenuto in congedo o in aspettativa" (Assemblea Costituente, prima sottocommissione, seduta del 15 novembre 1946), garantisce soltanto "il diritto a mantenere il rapporto di lavoro o di impiego" (sentenza n. 111 del 1994) e non tutela affatto -come invece afferma il giudice rimettente- "l'interesse alla conservazione tout court dell'originario luogo di lavoro".

Si può quindi ritenere che la norma esprima l'interesse costituzionale alla possibilità che tutti i cittadini concorrano alle cariche elettive in posizione di eguaglianza, anche impedendo, se occorre, la risoluzione del rapporto di lavoro o di impiego, con giustificato, ragionevole sacrificio dell'interesse dei privati datori di lavoro (sentenza n. 124 del 1982). L'art. 51 assicura, dunque, un complesso minimo di garanzie di eguaglianza di tutti i cittadini nell'esercizio dell'elettorato passivo, riconoscendo peraltro al legislatore ordinario la facoltà di disciplinare in concreto l'esercizio dei diritti garantiti; la facoltà, cioé, di fissare, a condizione che non risultino menomati i diritti riconosciuti, le relative modalità di godimento, al fine di agevolare la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica ed amministrativa del Paese (sentenze n. 454 e n. 52 del 1997, n. 158 del 1985, n. 193 del 1981).

3. — Nel quadro di tali principi va pertanto considerata la prescrizione sul divieto di trasferimento del lavoratore subordinato nel periodo durante il quale esercita la funzione elettiva. Si tratta di una scelta del legislatore ordinario che, nella discrezionalità riconosciutagli e non irragionevolmente esercitata, ha ritenuto di stabilire il predetto divieto allo scopo di rafforzare la effettiva possibilità di espletare il mandato elettivo, in deroga alle ragioni dell'impresa e ponendo un ulteriore onere a carico del datore di lavoro privato. Questa garanzia legislativa, finalizzata all'esercizio effettivo dei diritti di elettorato passivo riconosciuti dal disposto dell'art. 51, primo e terzo comma, della Costituzione, non postula però la previsione del divieto di trasferimento del lavoratore subordinato, anche dopo la scadenza del mandato elettivo, perchè questo divieto, mirando ad evitare che le vicende del rapporto di lavoro ostacolino il regolare svolgimento del mandato elettivo, non può logicamente trovare ragione di applicazione, una volta che la relativa funzione pubblica sia cessata.

La ratio, che informa l'art. 27 della legge n. 816 del 1985, spiega e giustifica la delimitazione temporale del divieto di trasferimento al solo periodo durante il quale é svolto il mandato e dimostra altresì che le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo sono specificamente diverse e non comparabili, cosicchè va esclusa anche l'eccepita violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. Una volta scaduto il mandato, viene meno infatti la correlazione, costituzionalmente rilevante, tra stabilità della sede di lavoro e possibilità dell'effettivo esercizio della funzione elettiva. Resta comunque affidato al giudice il controllo sul rispetto dei divieti legali di discriminazione e degli altri limiti che definiscono il potere di trasferimento del datore di lavoro, condizionandolo ai requisiti ed alle modalità procedurali stabiliti dalla legge (art. 2103 codice civile; art. 15, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300) e dalla contrattazione collettiva.

Infine non sussiste neppure la eccepita violazione dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione, poichè questa norma non può evidentemente essere evocata, per la palese estraneità del suo contenuto, in riferimento alla tutela del diritto di accesso alla funzione elettiva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), sollevata dal Pretore di Aosta con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 41, secondo comma e 51, primo e terzo comma. della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.