Ordinanza n. 24

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ORDINANZA N.24

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1996 dalla Corte di cassazione, nel procedimento penale a carico di Franceschi Giovanni, iscritta al n. 432 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Udito nella Camera di consiglio del 14 gennaio 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che la Corte di cassazione ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che sia disposto il rinvio al giudice di primo grado quando il mancato appello della parte non ricorrente sia stato condizionato dal vizio della sentenza impugnata;

che nel caso di specie l’imputato era stato condannato dal tribunale a seguito di giudizio abbreviato per il delitto di illecita detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti e il Procuratore della Repubblica aveva proposto ricorso per cassazione per violazione di legge, lamentando che era stata irrogata una pena illegale, perchè al di sotto dei minimi previsti dalla legge;

che, in particolare, dall’ordinanza di rimessione risulta che il tribunale, nonostante avesse escluso l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), aveva applicato sulla pena base riduzioni di pena superiori a quelle consentite dalla legge in riferimento alle attenuanti concesse e alla diminuente conseguente al giudizio abbreviato;

che il giudice rimettente - qualificato il ricorso del pubblico ministero, relativo alla misura della pena, come ricorso immediato (o per saltum), e preso atto del mancato appello dell’imputato a causa dell’errore e della mancanza di interesse determinati dal vizio della sentenza - rileva che, a causa dell’espresso divieto posto dall’art. 569, comma 4, cod. proc. pen. di disporre, a seguito di pronuncia di annullamento con rinvio, la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, "la parte non appellante si vede privata d’un grado di giurisdizione e resa inerte, di fronte ad un giudizio di rinvio fatalmente rivolto all’approdo di una reformatio in pejus, dal giudicato parziale maturatosi nei suoi confronti" sull’omessa concessione dell’attenuante speciale;

che tale conseguenza determinerebbe appunto la denunciata violazione del diritto di difesa della parte non appellante, privata di un grado di giurisdizione, nonchè del principio di eguaglianza, in quanto, a differenza del pubblico ministero, portatore dell’astratta esigenza della corretta applicazione della legge, l’imputato nel caso di specie risulterebbe privo dell’interesse ad impugnare, non potendo "erigersi a paladino dell’ortodossia giuridica contra se ipsum".

Considerato che nel caso di specie, come emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, il ricorso del pubblico ministero aveva per oggetto la sola entità della pena inflitta a seguito di giudizio abbreviato;

che si trattava di una sentenza avverso la quale il pubblico ministero, a norma dell’art. 443, comma 3, cod. proc. pen., non poteva proporre appello, ma esperire solo il rimedio del ricorso per cassazione ex articoli 606, comma 2, e 608, comma 2, cod. proc. pen., relativo al ricorso del procuratore della Repubblica presso il tribunale nei confronti di ogni sentenza inappellabile;

che nel caso in esame il ricorso proposto dal pubblico ministero non é dunque qualificabile come ricorso immediato ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen., istituto che attribuisce la facoltà di proporre direttamente ricorso per cassazione solo alla parte che ha il diritto di appellare la sentenza di primo grado;

che nel giudizio a quo non é pertanto applicabile la norma di cui viene denunciata l’illegittimità costituzionale, bensì la disciplina prevista in via generale in caso di annullamento con rinvio e, in particolare, l’art. 623, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., che in caso di annullamento di una sentenza del tribunale dispone il rinvio del giudizio ad un’altra sezione dello stesso tribunale o, in mancanza, al tribunale più vicino;

che la questione sollevata dal giudice rimettente va quindi dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 569, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 febbraio 1998.