Sentenza n. 16 del 1998

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SENTENZA N.16

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 59 e 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in relazione all'art. 30 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promosso con ordinanza emessa il 13 febbraio 1997 dal Tribunale per i minorenni di Cagliari nel procedimento penale a carico di A. M. ed altro, iscritta al n. 283 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 novembre 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale per i minorenni di Cagliari, con sentenza del 23 febbraio 1993, condannava due imputati minori di età alla pena di giorni quindici di reclusione ciascuno, pena sostituita con la libertà controllata per la durata di un mese.

A seguito di ricorso per saltum del Procuratore generale - che aveva dedotto l'inapplicabilità della sanzione sostituiva per l'ostacolo derivante dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981, risultando gli imputati più volte condannati per delitti della stessa indole - la Corte di cassazione, con sentenza del 13 gennaio 1995, annullava la decisione impugnata, con rinvio al Tribunale per i minorenni di Cagliari in diversa composizione.

Rilevava la Corte che erroneamente il Tribunale per i minorenni aveva ritenuto che la specifica regolamentazione contenuta nell'art. 30 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, assuma un'assoluta autonomia rispetto al regime delle sanzioni sostitutive quale delineato dalla legge n. 689 del 1981 e che tale regolamentazione sia stata "depurata" dalle esclusioni soggettive ed oggettive previste dagli artt. 59 e 60 di detta legge. Con la conseguenza che, ancora una volta erroneamente, il Tribunale aveva sostenuto la tesi della non operatività dei limiti soggettivi derivanti dal ricordato art. 59.

2. - Con ordinanza del 13 febbraio 1997, il Tribunale per i minorenni di Cagliari, quale giudice del rinvio, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31 e 97, primo comma, della Costituzione, gli artt. 59 e 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in relazione all'art. 30 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, nella parte in cui non escludono che si applichino anche agli imputati minorenni le "condizioni soggettive" e le "esclusioni oggettive" previste dalla legge n. 689 del 1981 per l'operatività delle sanzioni sostitutive.

3. - In punto di rilevanza, osserva il giudice a quo come il vincolo derivante per il giudice del rinvio in forza della decisione della Corte di cassazione, vincolo conseguente, nel caso di specie, al decisum concernente l'applicazione della sanzione sostitutiva, in deroga all'art. 59 della legge n. 689 del 1981, non impedisce al rimettente di sollevare la questione di legittimità della norma così come interpretata dalla Corte di cassazione. E ciò perchè, avendo il Procuratore generale proposto ricorso diretto, si sarebbe alterato "il corso 'fisiologico' delle fasi processuali" e, dunque, anche "la (comune) modalità di formazione del 'giudicato'". Tanto che in caso di contrasto interpretativo fra decisione della Cassazione ed interpretazione della norma ad opera del giudice di rinvio, non essendo la decisione del giudice di primo grado passata al vaglio del giudice di appello, l'unico rimedio azionabile al fine di contestare l'interpretazione contra Constitutionem adottata dalla Corte, resta la proposizione della questione di legittimità costituzionale, non potuta sollevare in sede di merito per l'assenza della fase di gravame.

4. - In punto di non manifesta infondatezza, rileva, in primo luogo, il Tribunale che il richiamo alle "leggi vigenti" contenuto nell'art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 448 del 1988 non vale ad escludere l'estensione ai minori delle ricordate disposizioni della legge n. 689 del 1981; la norma in parola si riferisce, infatti, alla sola fase dell'esecuzione, così da specificare il precetto dell'art. 75 della detta legge e da "adattare le modalità applicative della sanzione sostitutiva alla peculiare condizione degli imputati minorenni", per i quali era previsto un trattamento differenziato in sede esecutiva.

In secondo luogo, che dal raffronto tra il primo comma dell'art. 30 e l'art. 58 della legge n. 689 del 1981 emerge l'assoluta autonomia della norma del d.P.R. L'uno, infatti, prescrive che "il giudice (penale minorile) - nell'esercitare la facoltà di sostituire la pena detentiva ritenuta irrogabile in concreto all'imputato minorenne (purchè contenuta entro il limite di due anni) - deve considerare la "personalità", le "esigenze di lavoro e studio" e le "condizioni familiari, sociali e ambientali" dello stesso minore; l'altro individua il parametro valutativo ai fini dell'applicazione delle sanzioni sostitutive nel "reinserimento sociale del condannato".

In terzo luogo, che, con la fissazione di un tetto unico riguardante sia la libertà controllata sia la semidetenzione, il legislatore ha dimostrato di voler creare una disciplina autonoma e differenziata concernente i minori; e ciò allo scopo di evitare il loro ingresso nel circuito carcerario ed agevolarne la fuoriuscita dall'area penale.

Il tutto secondo quanto risulterebbe univocamente dall'art. 2, numero 45, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che prevede l'applicazione delle sanzioni sostitutive "nei casi consentiti" solo con riguardo agli imputati maggiorenni; tale formula non é stata, al contrario, adottata nell'art. 30 del d.P.R. n.448 del 1988. Il giudice rimettente richiama inoltre l'art. 3, lettera f), della stessa legge-delega, che sancisce per i minori l'applicabilità delle sanzioni sostitutive "anche in base alla pena irrogabile in concreto", ricorda che la dottrina dominante é attestata nel senso dell'autonomia dell'art. 30 rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 689 del 1981 ed evoca il forte contrasto giurisprudenziale esistente in seno alla stessa Corte di cassazione a proposito dell'applicabilità ai minori dell'art. 59 di detta legge.

Dopo aver richiamato talune decisioni di questa Corte concernenti le peculiarità del giudizio minorile, il rimettente conclude nel senso che l'estensione agli imputati minorenni dei limiti previsti dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981, affermata dalla Corte di cassazione nella sentenza pronunciata nel giudizio a quo, "determina una irragionevole disparità, riservando ai minorenni l'identico trattamento sanzionatorio riservato agli imputati maggiorenni nonostante la profonda diversità della rispettiva condizione"; vulnera pure l'art. 31 della Costituzione ed "i principi di eguaglianza sostanziale" (art. 3 della Costituzione stessa), la funzione rieducativa della pena, nonchè l'art. 97 della Costituzione, perchè l'estensione agli imputati minorenni dei limiti generali in materia di sostituzione delle pene detentive, ostacolando la fuoriuscita dei medesimi dall'area penale, comporta una lesione del principio del buon andamento dell'attività amministrativa statuale, con il determinare un maggiore ed irragionevole impegno delle strutture preposte all'esecuzione delle pene detentive.

5. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata. Sotto il primo profilo si assume che le censure sarebbero dirette a vulnerare (sotto il nomen della proposizione di una questione di legittimità costituzionale) il principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione.

In ogni caso, la disciplina denunciata sfugge al sindacato della Corte, spettando al legislatore di delineare le modalità attuative volte a realizzare la ratio di maggior favore per il rito minorile.

Considerato in diritto

 

1. - Il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31 e 97, primo comma, della Costituzione, della legittimità degli artt. 59 e 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non escludono che si applichino anche agli imputati minorenni le condizioni soggettive e le esclusioni oggettive previste dalle disposizioni denunciate per la sostituzione delle pene detentive.

Più in particolare, all'esito del procedimento a carico di due imputati minori di età, condannati alla pena di giorni quindici di reclusione ciascuno per il delitto di furto, il Tribunale per i minorenni aveva sostituito la reclusione con la sanzione sostitutiva della libertà controllata nonostante entrambi gli imputati avessero riportato plurime condanne per delitti della stessa indole. A seguito di ricorso per saltum del Pubblico ministero, la Corte di cassazione aveva annullato tale decisione perchè le prescrizioni degli artt. 59 e 60 della legge n. 689 del 1981 opererebbero pure nei confronti degli imputati minorenni.

Il Tribunale di Cagliari, quale giudice del rinvio, ha allora sollevato la questione di legittimità costituzionale sopra ricordata, chiamando in causa anche l'art. 30 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), che per gli imputati minorenni consente la sostituzione con la semidetenzione o con la libertà controllata della pena detentiva irrogata in misura non superiore a due anni, "tenuto conto della personalità e delle esigenze di studio e di lavoro del minorenne nonchè delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali".

2. - L'Avvocatura generale dello Stato, nel suo atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha contestato l'ammissibilità della questione per essere il giudice del rinvio tenuto ad uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dalla Corte di cassazione, così da prospettare l'ammissibilità della proposizione di una quaestio de legitimitate in quella sede solo in quanto diretta a sottoporre al vaglio della Corte la norma del codice di procedura penale che impone al giudice del rinvio di sottostare al decisum del giudice di legittimità pure nei casi in cui ritenga costituzionalmente illegittima la norma che dovrebbe trovare applicazione in forza della decisione della Cassazione.

3. - L'eccezione dell'Avvocatura dello Stato deve essere disattesa, in quanto si rivela in contrasto con la linea interpretativa seguita da questa Corte, costante nel senso che, poichè la norma, così come interpretata dalla Corte di cassazione, deve ancora ricevere applicazione nella fase del rinvio, il giudizio circa la legittimità costituzionale della norma stessa "é riservato a questa Corte e non può ritenersi assorbito dalla valutazione compiuta dal giudice della nomofilachia". Ne deriva che il precludere che sul principio di diritto da cui promana il precetto ritenuto applicabile dalla Corte di cassazione vengano prospettati dubbi di legittimità costituzionale comporterebbe la "violazione delle disposizioni regolanti la materia (artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953), dato che queste non contengono al riguardo alcuna specifica limitazione" (v. sentenze n. 426 del 1993, n. 138 del 1993, n. 289 del 1992, n. 30 del 1990); la preclusione derivante al giudizio di rinvio dal principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione non impedisce, quindi, la proposizione della questione di legittimità costituzionale della norma da cui é stato tratto il principio di diritto cui deve uniformarsi il giudice di rinvio (sentenze n. 257 del 1994, n. 58 del 1995, n. 224 del 1996).

4. - Nè l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla norma denunciata può valere a sottrarre a scrutinio di costituzionalità la norma medesima. L'intervento della Corte si attua nel solo ambito di detto sindacato. Va ripetuto in proposito che tale sindacato può operare anche "nel caso in cui il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione costituisca la conseguenza di una linea ermeneutica del tutto isolata" (v. sentenza n. 130 del 1993, ordinanza n. 314 del 1996). Ciò purchè sotto il nomen della quaestio de legitimitate non si nasconda un mero dubbio interpretativo.

Senonchè il rimettente mostra di avere adeguatamente ponderato gli esatti termini della proposta questione di legittimità costituzionale quando ha descritto le cadenze del procedimento e le ragioni che l'hanno determinato a non sollevarla nel corso del primo giudizio. E ciò vale a contestare l'ulteriore (ma complementare) argomento contenuto nell'atto di intervento dell'Avvocatura generale dello Stato secondo cui, non avendo il Tribunale nel procedimento conclusosi con la decisione annullata dalla Corte di cassazione proposto incidente di legittimità costituzionale con riferimento alle norme denunciate solo in una fase successiva, la verifica di legittimità dovrebbe restare affidata alla Corte di cassazione che, non avendo, a sua volta, sollevato "questione di legittimità costituzionale delle norme in oggetto", ne ha tratto "una valutazione positiva della conformità di esse alla Costituzione". Tale conformità non risulta infatti condivisa dal giudice a quo, il quale ha correttamente utilizzato l'unica via accessibile per rimuovere l'illegittimità costituzionale della norma che sarebbe tenuto ad applicare.

Che il rimettente abbia più volte richiamato il contrasto giurisprudenziale in subiecta materia non vale certo a qualificare la questione proposta come una richiesta alla Corte di sovrapporsi con la sua interpretazione all'organo giurisdizionale cui é attribuito il compito di esercitare la funzione nomofilattica. Pur dovendo rilevarsi come gran parte delle argomentazioni siano di ordine interpretativo, appare evidente che esse costituiscono l'indispensabile premessa per pervenire alla denuncia del vizio di legittimità costituzionale, per giunta attraverso l'evocazione di plurimi parametri.

A questa Corte non resta, pertanto, che procedere alla verifica delle censure sollevate sulla norma scaturente dal principio di diritto enunciato nel caso in esame dalla Corte di cassazione e che il giudice del rinvio dovrebbe applicare in forza dell'art. 627, comma 3, del codice di procedura penale, senza che possano individuarsi preclusioni di sorta all'esito del giudizio di legittimità, derivando la statuizione dal raffronto tra la norma sopra ricordata ed i parametri costituzionali indicati dal rimettente.

5. - La questione incentrata sull'art. 60 della legge 689 del 1981 é inammissibile. Il principio di diritto che il giudice a quo é tenuto ad applicare riguarda esclusivamente le condizioni soggettive richieste dall'art. 59 della stessa legge per l'accesso alle sanzioni sostitutive, essendo stata irrogata una pena per un reato non compreso tra le esclusioni oggettive di cui all'art. 60.

6. - Fondata é, invece, la questione di legittimità dell'art. 59 della legge 689 del 1981.

Se, infatti, del tutto ininfluente si rivela il richiamo alla lesione del principio "del buon andamento dell'attività amministrativa statuale", non essendo l'art. 97 della Costituzione invocabile a proposito dell'attività giurisdizionale oltre i limiti riguardanti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo (cfr. sentenze n. 122 del 1997, n. 428 del 1993, n. 376 del 1993), risulta invece compromessa l'osservanza degli altri parametri costituzionali evocati dal giudice a quo.

In primo luogo il contrasto riguarda l'art. 31 della Costituzione, nel suo collegamento con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione stessa, non potendo ritenersi osservante del principio della protezione della gioventù un regime che collide con la funzione rieducativa della pena irrogata al minore facendo operare in sede di cognizione il rigido automatismo che é insito nella previsione della norma denunciata, la quale preclude ogni valutazione del caso concreto, tanto da impedire - malgrado "la preminente finalità di reinserimento sociale del giovane condannato" (v. sentenza n. 107 del 1997) - la realizzazione della specifica funzione rieducativa perseguita dalle sanzioni sostitutive, desumibile anche dalle condizioni e dagli scopi che ne consentono l'accesso. Primi fra tutti la "personalità" e le "esigenze di lavoro o di studio del minorenne nonchè le sue condizioni familiari, sociali e ambientali". Con la conseguenza che non solo l'automatismo che caratterizza l'art. 59 della legge n. 689 del 1981 ma la stessa finalità posta dall'art. 58 a fondamento delle sanzioni sostitutive applicabili agli adulti non sono in grado di realizzare un assetto di massima individualizzazione nel concreto atteggiarsi delle sanzioni. Lo comprova, tra l'altro - in un'ottica attenta al regime della sostituzione nel suo complesso -, il raffronto con l'ora citato art. 58 della legge n. 689 del 1981, che indica quale regola base per l'applicazione delle sanzioni sostitutive "i criteri indicati nell'art. 133 del codice penale" limitandosi ad additare quale regula iuris alla quale il giudice dovrà conformare la sua decisione quanto alla individuazione della sanzione da applicare, secondo i principi enunciati dall'art. 53 della stessa legge n. 689 del 1981, il generico potere di scelta nella sostituzione della pena sostitutiva "più idonea al reinserimento sociale del condannato".

Ad essere vulnerato é infine, l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza di un sistema che, nonostante abbia elevato in modo consistente il tetto massimo della sostituzione riferendo comunque l'applicabilità delle sanzioni sostitutive "anche in base alla pena irrogabile in concreto" (art. 3, lettera f), della legge-delega, che ha trovato attuazione nell'art. 30, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448), lascia in vita un effetto preclusivo di per sè contraddittorio se riferito ad imputati che, pure in forza degli ulteriori parametri chiamati in causa dal giudice a quo, devono restare assoggettati ad una disciplina improntata a criteri non segnati da assoluta rigidità. Dovendosi qui ribadire quanto già più volte statuito da questa Corte a proposito della contigua materia dell'esecuzione della pena, e cioé che l'assoluta parificazione tra adulti e minori rischia di "confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilità di trattamento" che devono caratterizzare la disciplina minorile (cfr., da ultimo, sentenza n. 403 del 1997).

7. - Va, dunque, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 59 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non esclude che le condizioni soggettive da esso prevedute per l'applicazione delle sanzioni sostitutive si estendano agli imputati minorenni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 59 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non esclude che le condizioni soggettive in esso prevedute per l'applicazione delle sanzioni sostitutive si estendano agli imputati minorenni;

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, 31 e 97 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Cagliari con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Giuliano VASSALLI

Depositata in cancelleria il 18 febbraio 1998.