Ordinanza n. 469/97

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ORDINANZA N.469

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio sull'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale di Palermo nei confronti del Senato della Repubblica a seguito della delibera con la quale il Senato della Repubblica in data 20 settembre 1995 ha dichiarato l'insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Carmine Mancuso; conflitto promosso con ricorso depositato il 23 giugno 1997 ed iscritto al n. 78 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che, nel corso di una trasmissione televisiva andata in onda il 12 maggio 1993, Carmine Mancuso, senatore nella XII legislatura, pronunciava nei confronti del questore dott. Bruno Contrada delle espressioni ritenute gravemente diffamatorie dall'interessato, che perciò sporgeva querela;

che, con ordinanza del 10 maggio 1994, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo dichiarava manifestamente infondata l'eccezione di insindacabilità ex art. 68, primo comma, della Costituzione, e, conseguentemente, ordinava la restituzione degli atti al pubblico ministero;

che, con lettera in data 25 novembre 1994, il Presidente del Tribunale di Palermo provvedeva a trasmettere copia della predetta ordinanza al Presidente del Senato della Repubblica, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.l. 9 novembre 1994, n. 627, all'epoca vigente;

che, intervenuta una nuova disciplina (d.l. 13 marzo 1995, n. 69, poi reiterato da successivi decreti-legge, tutti, peraltro, non convertiti), la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato deliberava di richiedere copia degli atti del procedimento penale de quo;

che, con deliberazione adottata nella seduta del 20 settembre 1995, l'Assemblea del Senato approvava la proposta della Giunta di dichiarare insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, le opinioni espresse dal senatore Carmine Mancuso;

che, con ordinanza del 16 ottobre 1995, il Tribunale di Palermo — premesso che l'art. 68, primo comma, della Costituzione configura una condizione di punibilità, e non, come il secondo comma, di procedibilità, con conseguente inapplicabilità del combinato disposto degli artt. 129 e 469 cod. proc. pen., i quali non contemplano, tra le ipotesi di proscioglimento, prima del dibattimento, la non punibilità dell'imputato — disponeva di "procedersi al dibattimento, dovendo peraltro trovare tutela l'eventuale interesse dell'imputato all'accertamento della sua totale estraneità ai fatti di reato";

che, a seguito di tale provvedimento, il Senato sollevava conflitto di attribuzione nei confronti del Tribunale di Palermo;

che questa Corte, con sentenza n. 129 del 1996, ha dichiarato che non spettava al predetto Tribunale disporre la celebrazione del dibattimento nel processo penale pendente a carico del senatore Mancuso, annullandone, pertanto, la citata ordinanza del 16 ottobre 1995;

che, con successiva ordinanza, emessa in data 13 maggio 1997, lo stesso Tribunale ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla predetta deliberazione del 20 settembre 1995, con la quale quest'ultimo ha dichiarato insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, le opinioni espresse dal senatore Mancuso;

che il Tribunale di Palermo ritiene che il Senato non abbia fatto corretto uso del proprio potere, in quanto il comportamento addebitato all'imputato nel processo de quo non sarebbe rientrato nell'esercizio delle funzioni parlamentari, "attenendo, al contrario, a vicende personali dello stesso senatore ed ai rapporti tra quest'ultimo, il proprio genitore ed il querelante";

che, pertanto, ad avviso del predetto Tribunale, il Senato della Repubblica, con la deliberazione di cui si tratta, avrebbe illegittimamente compresso i poteri ad esso attribuiti dalla legge.

Considerato che, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte, in questa fase, è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile, in quanto esista "la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza", restando impregiudicata ogni ulteriore decisione;

che, in linea preliminare, la forma dell'ordinanza, utilizzata dal Tribunale di Palermo per proporre il ricorso di cui all'art. 37 della legge n. 87 del 1953, deve ritenersi idonea per una valida instaurazione del conflitto, come ripetutamente affermato da questa Corte (cfr., da ultimo, ordinanze nn. 325 del 1997 e 339 del 1996);

che deve essere riconosciuta la legittimazione del Tribunale di Palermo a sollevare conflitto secondo il costante insegnamento di questa Corte, tenuto conto della posizione dei singoli organi giurisdizionali, che svolgono le loro funzioni in posizione di piena indipendenza costituzionalmente garantita (cfr., tra le altre, ordinanze nn. 325 del 1997; 6, 269 e 339 del 1996; sentenze nn. 265 del 1997, 129 del 1996);

che, parimenti, il Senato della Repubblica è legittimato ad essere parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare definitivamente la propria volontà in ordine all'applicabilità dell'art. 68, primo comma, della Costituzione (cfr., tra le altre, ordinanze n. 325 del 1997, nn. 6 e 339 del 1996; sentenze nn. 265 del 1997, 129 del 1996);

che, per quanto attiene al profilo oggettivo del conflitto, il ricorrente lamenta la lesione di una attribuzione costituzionalmente garantita, assumendo che il Senato abbia illegittimamente compresso i suoi poteri.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Palermo nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Tribunale di Palermo, ricorrente;

b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.