Ordinanza n. 468/97

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ORDINANZA N.468

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 8 del d.lgs.lgt. 21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all'ordinamento del Corpo degli agenti di custodia delle carceri), nonché dell'art. 126 della legge 18 febbraio 1963, n. 173; dell'art. 29, comma 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 395; dell'art. 1, comma 3, del decreto legge 29 gennaio 1992, n. 36, convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213, e dell'art. 17, comma 2, del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri,

udito nella camera di consiglio del 26 novembre 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa l'8 novembre 1996, pervenuta a questa Corte il 25 febbraio 1997, il Tribunale amministrativo regionale della Calabria ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 4, primo comma, 3 e 52, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 4, numero 8, del d. lgs. lgt. 21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all'ordinamento del Corpo degli agenti di custodia delle carceri), nonché "delle norme legislative che ne estendono l'operatività", indicate nell'art. 126 della legge 18 febbraio 1963, n. 173, nell'art. 29, comma 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 395, nell'art. 1, comma 3, del decreto legge 29 gennaio 1992, n. 36, convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213, e nell'art. 17, comma 2, del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, "nella parte in cui condizionano l'arruolamento nel Corpo degli agenti di custodia (ora Corpo di polizia penitenziaria: art. 1 della legge 15 dicembre 1990, n. 395) al possesso del requisito di 'non aver riportato qualifiche inferiori a quella di buono durante il servizio militare' ;

che il giudice a quo riferisce come al ricorrente nel giudizio incidentato sia stato negato, con provvedimento dell'8 maggio 1993, l'arruolamento nel Corpo di polizia penitenziaria, per difetto del requisito predetto, ancorché egli avesse sostenuto favorevolmente le prove psico-attitudinali;

che, ad avviso del remittente, le norme denunciate contrastano anzitutto con il diritto al lavoro sancito dall'art. 4, primo comma, della Costituzione, in quanto, da un lato, porrebbero all'accesso ad un posto di lavoro un limite discriminatorio e privo di ragionevole giustificazione, in ragione di valutazioni conseguenti ad attività svolte durante il servizio di leva, anche, come nel caso di specie, in settori non attinenti all'ambito dell'addestramento e della disciplina militare, in relazione ad incarichi, espletati durante detto servizio, non coerenti con la preparazione culturale e professionale dell'interessato; dall'altro lato, imporrebbero un requisito non giustificabile in base ad alcuna esigenza collettiva, trattandosi di accedere ad un corpo ormai civile, ed essendo previste modalità di accertamento dell'idoneità fisica e attitudinale degli aspiranti, la valutazione della cui sussistenza dovrebbe togliere rilievo alla qualifica riportata durante il servizio militare;

che, in secondo luogo, l'autorità remittente dubita della conformità delle norme impugnate al principio costituzionale di eguaglianza, in quanto esse introdurrebbero per gli aspiranti all'arruolamento nel Corpo in questione una disciplina differenziata rispetto ad altre categorie di lavoratori, priva di ragionevole giustificazione per le ragioni già dette;

che infine, secondo il giudice a quo, sussisterebbe un contrasto con l'art. 52, secondo comma, della Costituzione, in quanto verrebbe pregiudicata dal servizio militare la posizione di lavoro del cittadino, in assenza di un interesse pubblico o comunque superindividuale meritevole di tutela;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata, in quanto non sarebbe ravvisabile nella normativa impugnata alcun contrasto con i parametri costituzionali invocati.

Considerato che il remittente afferma che l'art. 4, numero 8, del d. lgs. lgt. n. 508 del 1945 sarebbe stato mantenuto in vigore dalle disposizioni insieme ad esso impugnate, e sarebbe stato abrogato solo dall'art. 5 del d. lgs. 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell'art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), ma non argomenta in alcun modo circa la compatibilità della norma impugnata con la legge n. 395 del 1990 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), che ha disciolto il Corpo militare degli agenti di custodia e ha istituito il Corpo civile di polizia penitenziaria: compatibilità alla quale l'art. 29, comma 2, della stessa legge di riforma condizionava la perdurante applicabilità, nel periodo precedente l'entrata in vigore del nuovo regolamento di servizio, della previgente normativa recata, fra l'altro, dal d. lgs. lgt. n. 508 del 1945;

che, soprattutto, il remittente non spiega in base a quale iter logico abbia ritenuto applicabile alla specie la disposizione dell'art. 4, numero 8, del d. lgs. lgt. n. 508 del 1945, tenendo conto che l'atto amministrativo dinanzi ad esso impugnato - datato 8 maggio 1993 - è posteriore all'entrata in vigore del nuovo ordinamento del personale, recato dal d. lgs. n. 443 del 1992, il cui art. 5, che ridefinisce i requisiti per l'accesso al Corpo di polizia penitenziaria, è sicuramente incompatibile con la predetta disposizione, come lo stesso giudice a quo avverte; e che l'art. 1, comma 3, del decreto legge n. 36 del 1992 a cui fa rinvio anche l'art. 17, comma 2, del decreto legge n. 306 del 1992 - come del resto, successivamente, l'art. 2, comma 1, del decreto legge 28 maggio 1993, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1993, n. 254, e, implicitamente, l'art. 1, comma 1, del decreto legge 10 giugno 1994, n. 356, convertito dalla legge 8 agosto 1994, n. 488 - disponeva bensì che l'assunzione di nuovo personale nel Corpo di polizia penitenziaria avvenisse, in via transitoria, seguendo le "procedure" previste dalla normativa anteriore alla riforma del Corpo, ma non in base ai requisiti richiesti da tale normativa per l'assunzione;

che per verificare l'applicabilità della norma denunciata si sarebbe altresì dovuto tenere conto del fatto che le assunzioni previste dalla citata normativa transitoria non avvenivano in base ad un procedimento concorsuale, nell'ambito del quale fosse fissato un termine di presentazione delle domande, alla cui scadenza dovessero essere posseduti i requisiti richiesti, bensì in base a domande di arruolamento e ad accertamenti di idoneità fisica e attitudinale (cfr. artt. 6 e 7 del r.d. 30 dicembre 1937, n. 2584; art. 5 del d. lgs. lgt. 21 agosto 1945, n. 508; artt. 127 e 128 della legge 18 febbraio 1963, n. 173); e del fatto che alle domande di assunzione già presentate, anche prima della riforma del Corpo, la medesima legislazione transitoria attribuiva ultrattività ai fini delle procedure di assunzione da essa regolate (cfr. art. 2 del d.l. n. 163 del 1993; art 1 del d.l. n. 356 del 1994);

che la motivazione sulla rilevanza, offerta dal giudice a quo, risulta dunque insufficiente;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, numero 8, del d. lgs. lgt. 21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all'ordinamento del Corpo degli agenti di custodia delle carceri), nonché dell'art. 126 della legge 18 febbraio 1963, n. 173 (Stato giuridico dei sottufficiali e dei militari di truppa del Corpo degli agenti di custodia), dell'art. 29, comma 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), dell'art. 1, comma 3, del decreto legge 29 gennaio 1992, n. 36 (Provvedimenti urgenti per il Corpo di polizia penitenziaria e istituzione dell'Ufficio centrale per la giustizia minorile), convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213, e dell'art. 17, comma 2, del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, sollevata, in riferimento agli articoli 4, primo comma, 3 e 52, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.