Sentenza n. 454/97

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SENTENZA N.454

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Francesco GUIZZI, Presidente

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1996 dal Pretore di Varese nei procedimenti civili riuniti vertenti tra il Comune di Varese e Bonomi Giuseppe ed altro, iscritta al n. 898 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza in data 22 aprile 1996 (r.o. n. 898 del 1996), il Pretore di Varese - nel corso di due giudizi civili riuniti, promossi dal Comune di quella città, per la restituzione delle maggiori somme percepite dai convenuti, in occasione del contemporaneo espletamento della carica di assessore comunale e del mandato di parlamentare nazionale - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), nella parte in cui impone il divieto di cumulo della indennità di carica di assessore con l'indennità parlamentare, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 51, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione.

Il rimettente, premesso che le indennità di carica assessoriale e parlamentare hanno entrambe natura sostanzialmente retributiva, reputa irragionevole la normativa denunciata che, pur riconoscendo la compatibilità delle due cariche, ha, tuttavia, vietato il cumulo tra le relative indennità.

Considerato che l'espletamento delle suddette cariche pubbliche comporta, il più delle volte, la necessità di rinunciare agli altri impegni di lavoro assunti in modo stabile e continuativo, l'ordinanza ritiene la disposizione denunciata in contrasto, anzitutto, con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la sostanziale diseguaglianza che il divieto di cumulo cagiona fra chi fruisce di redditi esclusivamente derivanti da prestazioni di lavoro (autonomo o dipendente) e chi fruisce di redditi da capitale.

Nel censurare, inoltre, la situazione di diminuita capacità di ricoprire cariche pubbliche nella quale, in contrasto con l'art. 51, primo comma, della Costituzione, si vengono a trovare i cittadini che devono far ricorso all'attività lavorativa per ragioni di sostentamento, il rimettente, sull'assunto del carattere retributivo delle indennità in questione, reputa la disposizione lesiva, altresí, dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, che garantisce una remunerazione proporzionata alle prestazioni rese.

2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Secondo l'Avvocatura al giudice rimettente non sarebbe consentito sindacare l'uso del potere discrezionale esercitato dal legislatore nel riconoscere la compatibilità fra la carica di assessore e quella di parlamentare, pur disponendo la non cumulabilità delle due indennità.

La disposizione stessa non apparirebbe irrazionale, considerato anche che la contestuale assunzione della carica di assessore e di parlamentare comporta, di necessità, una contrazione dell'impegno in sede locale e tenuto conto, per di più, del fatto che il legislatore ha introdotto nell'ordinamento un meccanismo di compensazione per gli oneri maggiori derivanti dal doppio incarico, disponendo la cumulabilità dell'indennità di presenza (spettante agli assessori in quanto consiglieri comunali) con quella parlamentare.

Né potrebbe essere lamentata una disparità di trattamento in relazione alla natura del reddito percepito da coloro che vengano ad assumere incarichi elettivi, considerato che, ai sensi dell'art. 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, l'indennità parlamentare ha la funzione "di garantire il libero svolgimento del mandato" e, di conseguenza, non ha vera e propria natura retributiva, onde sarebbe da ritenere viziata, semmai, la eventuale cumulabilità delle due indennità.

Considerato in diritto

1.- Con l'ordinanza in epigrafe indicata il Pretore di Varese ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), il quale, nel disciplinare il trattamento economico spettante agli assessori degli enti locali, dispone che i parlamentari nazionali od europei, nonché i consiglieri regionali, possono percepire solo le indennità di presenza, e non quelle di carica, previste dalla legge medesima.

Il giudice rimettente ritiene che la disposizione denunciata, imponendo il divieto di cumulo dell'indennità di carica di assessore con l'indennità parlamentare, contrasti con vari precetti costituzionali, e cioè con:

- l'art. 3, primo comma, per la sostanziale diseguaglianza tra la posizione di colui che fruisce di redditi esclusivamente derivanti da prestazioni di lavoro (autonomo o dipendente) e colui che fruisce di redditi di capitale;

- l'art. 51, primo comma, per la situazione di diminuita capacità di ricoprire cariche pubbliche in cui verserebbero i cittadini tenuti a far ricorso all'attività lavorativa per ragioni di sostentamento;

- l'art. 36, primo comma, per la lesione del principio che garantisce una remunerazione proporzionata alle prestazioni rese.

2.- La questione va reputata non fondata, per ragioni che, in gran parte, si rifanno ad orientamenti già espressi in argomento dalla giurisprudenza costituzionale.

La considerazione di detti precedenti, unitamente a motivi di priorità logica, suggerisce, trascurando l'ordine di prospettazione seguito nell'ordinanza, di muovere, anzitutto, dalla lamentata violazione dell'art. 51, primo comma, della Costituzione che costituisce il principale cardine delle garanzie in tema di accesso alle cariche pubbliche elettive. La Corte, già da tempo, ha affermato che il legislatore ha l'obbligo di porre in essere le condizioni indispensabili per consentire anche ai meno abbienti l'accesso alle cariche pubbliche e l'esercizio delle funzioni a queste connesse, come conferma anche l'art. 69 della Costituzione nell'assicurare ai membri del Parlamento la corresponsione di una indennità da stabilirsi con legge (v. sentenza n. 24 del 1968). Anche se l'istituto dell'indennità, come la Corte stessa ha avuto occasione di rilevare (v. sentenza n. 193 del 1981), si è andato estendendo dal Parlamento alle Regioni ed anche alle Province ed ai Comuni - in armonia con le tendenze delle moderne legislazioni, che, proprio al fine di cui sopra, vanno eliminando o attenuando la gratuità delle funzioni pubbliche elettive -la compiuta disciplina delle implicazioni d'ordine economico, connesse all'attività pubblica svolta, rimane nondimeno affidata, ferma restando la garanzia del posto di lavoro espressamente prevista dall'art. 51, terzo comma, della Costituzione, alle scelte discrezionali del legislatore (v., oltre alla già citata sentenza n. 193 del 1981, le sentenze n. 52 del 1997 e n. 35 del 1981).

3.- Posto dunque che la disciplina denunciata è espressione dell'ampia discrezionalità di cui gode il legislatore, giova osservare, altresí, che, ad inficiare la stessa, sul piano della legittimità, non può valere nemmeno l'evocazione, da parte dell'ordinanza, del parametro di cui all'art. 36, primo comma, della Costituzione.

Le indennità considerate costituiscono, infatti, un ristoro forfettario per le funzioni svolte, rimesso al legislatore sia nell'entità sia nei limiti in cui può consentirsene il cumulo, come confermano quei precedenti della giurisprudenza costituzionale che, a proposito dell'indennità di carica, hanno escluso qualsiasi assimilazione alla retribuzione connessa a rapporto di pubblico impiego (v. sentenza n. 52 del 1997, cit.) ed hanno, del pari, rilevato che l'indennità percepita dai parlamentari ha sempre assunto, nei presupposti e nelle finalità, connotazioni distinte da detta retribuzione (v. sentenza n. 289 del 1994).

4.- Non diverse appaiono le conclusioni, anche a valutare la questione sotto il profilo dell'asserita violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, in ragione della sostanziale diseguaglianza evidenziata dall'ordinanza fra colui che fruisce di redditi di lavoro (autonomo o subordinato) e colui che fruisce di redditi di capitale.

Come già altre volte rilevato (sentenza n. 89 del 1996), il principio di eguaglianza, implicando un giudizio di relazione in virtù del quale a situazioni eguali deve corrispondere l'identica disciplina e, all'inverso, discipline differenziate andranno coniugate a situazioni differenti, postula una valutazione di ragionevolezza delle scelte operate dal legislatore nell'omologare ovvero nel differenziare le varie situazioni.

Alla stregua di un siffatto criterio, la disposizione non può reputarsi illegittima, ove si consideri, da un canto, la già ricordata discrezionalità del legislatore e ove si tenga conto, dall'altro, della funzione di semplice ristoro forfettario, e non di completa reintegrazione delle perdite economiche, che le indennità assolvono, sicché non appare arbitraria o irragionevole una disciplina che prescinde dalle situazioni in cui concretamente versano gli interessati, essendo, oltretutto, difficile, se non addirittura irrealizzabile, l'accertamento della diversa entità del pregiudizio economico che, in via di fatto, ciascun cittadino subisce a causa dell'assunzione di cariche pubbliche, in relazione alle peculiari fonti del suo reddito.

In ogni caso è evidente che a tale pregiudizio questa Corte non sarebbe comunque in grado di rimediare con la pronuncia di accoglimento sollecitata dal rimettente, che, essendo volta alla rimozione del censurato divieto di cumulo, non eliminerebbe, ma lascerebbe sussistere integralmente la asserita disparità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 51, primo comma e 36, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Varese con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Francesco GUIZZI

Relatore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.