Sentenza n. 452/97

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SENTENZA N.452

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1996 dal Giudice di pace di Riva del Garda, iscritta al n. 938 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

 

1. Il Giudice di pace di Riva del Garda, con "sentenza" depositata il 30 maggio 1996 in un giudizio di opposizione avverso un'ordinanza-ingiunzione emessa dall'Ente Poste Italiane - Filiale di Trento - a seguito della installazione di un impianto di telecomunicazioni senza la prescritta autorizzazione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), nella parte in cui attribuisce la competenza, nel giudizio di opposizione all'ingiunzione di pagamento, al giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'ente che ha emesso l'ingiunzione medesima e non al giudice del luogo in cui risiede l'ingiunto opponente.

Secondo il giudice rimettente, risulterebbero violati sia il principio del giudice naturale precostituito per legge, "da individuarsi in quello del luogo in cui risiede l'ingiunto opponente", sia il principio di eguaglianza, dal momento che verrebbe disciplinata in modo difforme la posizione dei cittadini residenti nei capoluoghi di provincia, ove hanno la sede gli uffici periferici emittenti, rispetto a quella dei residenti in periferia, esposti, in conseguenza della individuazione del giudice territorialmente competente operata dal legislatore, all'onere di affrontare ingenti quanto ingiuste spese per far valere le proprie ragioni.

2. E' intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, non solo per la forma con la quale è stata sollevata ("sentenza" in luogo della prevista "ordinanza"), ma anche per difetto di rilevanza, posto che, in relazione alla infrazione alla quale si riferisce l'ingiunzione, il giudizio di opposizione non sarebbe disciplinato dalle disposizioni del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, ma da quelle degli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).

Ad avviso dell'Avvocatura, la questione sarebbe anche infondata: poiché il principio di precostituzione del giudice deve ritenersi rispettato allorché l'organo giudicante sia istituito dalla legge sulla base di criteri fissati in anticipo e non in vista di singole controversie, dovrebbero ritenersi legittime le disposizioni derogatorie che, come nella specie, determinino la competenza territoriale sulla base di una razionale valutazione degli interessi in gioco.

Considerato in diritto

 

1. Oggetto del presente giudizio è la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, dell'art. 3 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, nella parte in cui attribuisce la competenza, nel giudizio di opposizione all'ingiunzione di pagamento, al giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'ente che ha emesso l'ingiunzione medesima e non al giudice del luogo in cui risiede l'ingiunto opponente. Secondo il Giudice di pace di Riva del Garda, questa disposizione contrasterebbe sia con il principio del giudice naturale, che dovrebbe "individuarsi in quello del luogo in cui risiede l'ingiunto opponente", sia con il principio di eguaglianza, sotto il profilo del diverso trattamento riservato ai cittadini residenti nei capoluoghi di provincia, dove normalmente hanno la sede gli uffici periferici emittenti, rispetto ai cittadini residenti in periferia.

2. Devono, in primo luogo, essere disattese le eccezioni di inammissibilità prospettate dall'Avvocatura dello Stato.

2.1. La prima eccezione, da considerare ritualmente formulata anche se solamente enunciata, investe un aspetto formale dell'atto con il quale è stato introdotto il presente giudizio: il giudice remittente lo ha qualificato "sentenza" anziché "ordinanza".

La circostanza non comporta inammissibilità della questione, posto che, come si desume dalla lettura dell'atto, nel promuovere questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte costituzionale, sì che a tale atto, anche se autoproclamantesi "sentenza", deve essere riconosciuta natura di "ordinanza", sostanzialmente conforme a quanto previsto dall'articolo 23 della legge n. 87 del 1953.

2.2. La seconda eccezione di inammissibilità concerne l'asserito difetto di rilevanza della questione, ed è formulata sul rilievo che nel giudizio principale, nel quale è contestata un'ordinanza-ingiunzione che, secondo quanto affermato nell'ordinanza di remissione, sarebbe stata emessa per violazione della legge 9 (recte: 6) agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), non dovrebbero trovare applicazione le disposizioni del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, ma, in virtù del rinvio contenuto nella stessa legge n. 223 del 1990, quelle di cui agli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Neppure tale eccezione merita accoglimento. Dalla ordinanza di remissione risulta che l'ingiunzione è stata emessa dall'Ente Poste Italiane a seguito della attivazione di un impianto di telecomunicazione senza la prescritta autorizzazione. Anche a prescindere dal riferimento contenuto nella medesima ordinanza alla legge 6 agosto 1990, n. 223, quale fonte indiretta del procedimento di cui agli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'applicazione della disposizione censurata discende dal fatto che la previsione del pagamento del doppio del canone contenuta nell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dall'art. 30 della legge 6 agosto 1990, n. 223, ha funzione satisfattoria dell'interesse dell'ente pubblico pregiudicato dalla abusiva utilizzazione degli impianti; sicché, come ritiene la Corte di Cassazione, il procedimento per la riscossione, integrando questa una entrata patrimoniale dello Stato, è quello di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639.

3. Ancorché ammissibile, la questione è infondata.

Si deve anzitutto dubitare che l'art. 3 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, realizzi effettivamente una deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza. Secondo il diritto vivente, l'opposizione alle ingiunzioni emesse ai sensi del citato r.d. n. 639 del 1910 introduce infatti un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l'opponente ha il ruolo di attore e l'amministrazione intimante quello di convenuto. Conseguentemente, l'individuazione del giudice territorialmente competente in quello del luogo nel quale ha sede l'ufficio che ha emesso l'ingiunzione non comporta una sostanziale modificazione e, tanto meno una deroga, ai criteri generali sulla competenza. Ma seppure di deroga si trattasse, questa Corte ha più volte affermato che il principio della precostituzione del giudice, sancito dall'art. 25 della Costituzione, è rispettato purché l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie (v., tra le pronunce più recenti, sentenze nn. 143 e 42 del 1996, 460 del 1994, 217 del 1993, 269 del 1992, nonché ordinanza n. 218 del 1996) e che la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione di una competenza generale, ma si forma anche a seguito di tutte le disposizioni di legge che possano derogare a tale competenza in base a criteri che ragionevolmente valutino i disparati interessi coinvolti nel processo (sentenze nn. 336 del 1995, 902 del 1988, 641 del 1987, 135 del 1980, nonché ordinanze nn. 508 del 1989, 463 del 1988 e 139 del 1971). Ne discende che la previsione che la competenza territoriale debba, nella specie, radicarsi nel luogo dove ha sede l'ufficio emanante non costituisce esercizio arbitrario o irragionevole della discrezionalità che spetta in materia al legislatore, poiché tale previsione è fondata sulla considerazione della natura dell'ente dal quale l'ordinanza proviene, della articolazione territoriale di questo e della qualità dei crediti per il soddisfacimento dei quali il procedimento di ingiunzione fiscale può essere esperito.

Quanto, poi, alla diversità di condizioni nelle quali vengono a trovarsi i cittadini in ragione del loro luogo di residenza, che può essere più o meno vicino alla sede del giudice competente, le argomentazioni appena svolte rendono evidente che si tratta di conseguenze di fatto connesse alla scelta del legislatore e non di una vera e propria disparità di trattamento sulla quale questa Corte abbia titolo per intervenire, posto che, come detto, la classificazione legislativa non appare arbitraria o irragionevole.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, dal Giudice di pace di Riva del Garda con il provvedimento indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Carlo MEZZANOTTE

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.