Sentenza n. 451/97

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SENTENZA N.451

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI             

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile promosso con ordinanza emessa il 17 giugno 1996 dal Tribunale per i minorenni di Genova iscritta al n. 1118 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un procedimento in camera di consiglio instaurato dalla madre naturale di una minore nei confronti dell'altro genitore il Tribunale per i minorenni di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, degli artt. 317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

Premette il giudice a quo di essere stato investito dalla ricorrente di una duplice domanda, l'una di affidamento della figlia naturale e l'altra di determinazione della prestazione economica da porre a carico del padre naturale a titolo di contributo per il mantenimento della bambina. Aggiunge, quindi, di essersi pronunciato soltanto sulla prima delle due.

In ordine alla seconda, che costituisce il fulcro della presente questione, il Tribunale rimettente rileva che le norme impugnate, nonostante l'esistenza di una prassi contraria seguita da altri tribunali per i minorenni, non consentono di ritenere sussistente la competenza di tale giudice per le questioni patrimoniali tra genitori naturali relative al mantenimento dei figli minori. In altre parole, mentre per i procedimenti di separazione e di divorzio la legge prevede che sia un unico giudice, ossia il tribunale ordinario, a decidere sia sull'affidamento dei figli che sui relativi obblighi di carattere economico, analoga disposizione non c'è per la rottura del rapporto more uxorio; in tal caso, infatti, le questioni di affidamento dei figli sono di competenza del tribunale per i minorenni, mentre quelle di carattere economico (tra i genitori) sono devolute al tribunale ordinario.

Osserva il Tribunale ligure che tale divaricazione, sulla cui legittimità costituzionale questa Corte si è già pronunciata (sentenza n. 23 del 1996) in modo da lasciare impregiudicata l'attuale prospettazione, crea un'ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni che sono omogenee. Ed infatti, aver sottratto al giudice che si occupa dei figli il potere di statuire anche sulle relative questioni economiche obbliga la parte interessata ad adire due giudici diversi per la cognizione di una realtà unica, impone l'adozione del rito ordinario per le controversie patrimoniali - con inevitabile allungamento dei tempi del processo - ed infine assoggetta la pronuncia su tali questioni all'iniziativa di parte, mentre tale pronuncia dovrebbe essere indisponibile.

In conseguenza di ciò, il Tribunale rimettente osserva che le norme impugnate determinano una disparità tra figli legittimi e figli naturali, con violazione degli indicati parametri costituzionali.

2.- Non si sono costituite le parti private, né ha prestato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

 

1.- Il Tribunale per i minorenni di Genova dubita che gli artt. 317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile siano in contrasto con gli artt. 3 e 30 della Costituzione nella parte in cui, assegnando al tribunale per i minorenni la competenza a statuire sull'esercizio della potestà dei genitori di figli naturali, non attribuiscono a detto giudice, unitamente alla competenza in materia di affidamento dei figli minori e di regolamentazione dei rapporti tra i predetti e il genitore non affidatario, anche la competenza a pronunciarsi, con provvedimento avente contenuto ed effetto di titolo esecutivo, sulle questioni relative all'obbligo dei genitori di mantenere la prole, con particolare riferimento alla determinazione di un assegno mensile a carico del genitore non affidatario.

2.- Il contenuto sostanziale della doglianza sta nel fatto che, mentre nell'ambito del giudizio di separazione e divorzio il tribunale ordinario assomma in sé tutti i poteri decisionali circa la dissoluzione del rapporto coniugale - ivi compresi i provvedimenti economici e quelli relativi all'affidamento ed al mantenimento dei figli legittimi -, altrettanto non si verifica nell'ambito della convivenza more uxorio e dei provvedimenti concernenti i figli naturali riconosciuti. Per questi ultimi, infatti, le norme impugnate stabiliscono la competenza del tribunale per i minorenni per le sole decisioni relative all'affidamento, mentre ogni questione patrimoniale circa il mantenimento è devoluta alla competenza del tribunale ordinario. E tale divaricazione, ad avviso del rimettente, è tanto più irrazionale nel caso in esame, nel quale la domanda di affidamento e quella di determinazione di un assegno di mantenimento a carico dell'altro genitore sono state proposte contestualmente.

3.- La questione non è fondata.

Questa Corte, pur non avendo affrontato l'attuale problema negli esatti termini nei quali oggi è presentato, ha elaborato sull'argomento numerosi principi che è opportuno richiamare. E' stato costantemente affermato, infatti, che il legislatore - al quale va riconosciuta la più ampia discrezionalità nella regolazione generale degli istituti processuali (v. sentenze n. 295 del 1995 e n. 65 del 1996) - è in particolare arbitro di dettare regole di ripartizione della competenza fra i vari organi giurisdizionali, sempreché le medesime non risultino manifestamente irragionevoli. Nell'ambito di tale giurisprudenza, si è anche ribadito che "il simultaneus processus è mero espediente processuale mirato a fini di economia dei giudizi e di prevenzione del pericolo di eventuali giudicati contraddittori", onde la sua inattuabilità non viola il diritto di difesa "una volta che la pretesa sostanziale del soggetto interessato possa essere fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e di difesa" (ordinanza n. 308 del 1991).

In relazione alla specifica questione sollevata dal giudice rimettente questa Corte, con la sentenza n. 135 del 1980, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 155 cod. civ. sollevata sotto il profilo - in qualche modo speculare - per cui la competenza del tribunale ordinario (anziché del tribunale per i minorenni) in relazione alle questioni di maggiore interesse per la prole avrebbe violato gli artt. 3 e 25 della Costituzione. In motivazione, tra l'altro, è stato ribadito che "il riparto fra la competenza del tribunale per i minorenni e quella del tribunale ordinario non può non ricadere nell'ambito della discrezionalità legislativa" (v. sul punto anche le sentenze n. 193 del 1987 e n. 429 del 1991).

In tempi recenti, infine, con la sentenza n. 23 del 1996 la Corte - decidendo una questione di legittimità costituzionale identica a quella odierna, con la sola differenza che in quel giudizio la domanda di natura patrimoniale (contributo al mantenimento a carico del genitore non affidatario di figlio naturale riconosciuto) era stata avanzata in un momento successivo rispetto alla richiesta di affidamento - è pervenuta alla declaratoria di infondatezza, sottolineando il fatto che in un simile caso la domanda coinvolge solo "due soggetti maggiorenni", per cui è del tutto ragionevole che la competenza spetti al tribunale ordinario.

4.- Rispetto a quest'ultima pronuncia - che il Tribunale rimettente dimostra di tenere presente - il novum dell'odierna questione sarebbe rappresentato dalla contestualità della domanda di natura patrimoniale con quella relativa all'affidamento; ma tale diversità non è sufficiente a modificare i termini del problema.

In realtà il tribunale per i minorenni, per la sua particolare composizione e per la specificità delle competenze, è un giudice al quale sono devolute le questioni concernenti direttamente il minore; è per questo che la composizione di quest'organo e le peculiarità del processo tengono conto delle esigenze di persone la cui evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede nel magistrato adeguata ponderazione e determinate specializzazioni.

Ben diversa è l'ipotesi in cui, sia pure in vista dell'assolvimento dei compiti genitoriali conseguenti all'esercizio esclusivo della potestà sul figlio, la questione proposta sia di natura patrimoniale, come quella prospettata dal giudice rimettente; in tal caso, invero, la lite tra i genitori - secondo quanto già rilevato nella citata sentenza n. 23 del 1996 - è una lite tra soggetti maggiorenni, sia pure con effetti sugli interessi del minore, e per di più di contenuto economico, sicché il tribunale ordinario è stato ritenuto più adatto, in quanto dotato di esperienza specifica.

E' pur vero che il sistema attribuisce al tribunale per i minorenni, nel caso di cui all'art. 277 cod. civ., anche competenze di natura patrimoniale; ma tale eccezione è stata espressamente stabilita dalla legge in considerazione della particolarità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale e non può valere come principio generale.

5.- L'argomentazione fondamentale sulla quale poggia l'ordinanza di rimessione sta nel confronto tra la posizione dei figli legittimi e quella, ritenuta deteriore, dei figli naturali riconosciuti, tenuti a rivolgersi (tramite il genitore affidatario) a due diverse autorità giudiziarie ed a subire conseguenti rallentamenti e difficoltà. Tale ragionamento tuttavia non appare persuasivo, stante la diversità strutturale delle posizioni.

A ben vedere, infatti, la situazione dei coniugi che decidono di allentare e poi di sciogliere il vincolo coniugale non coincide con quella dei conviventi more uxorio. Senza soffermarsi sui vari caratteri differenziali, costantemente affermati anche dalla giurisprudenza costituzionale, ai fini della presente questione è sufficiente osservare che è lo stesso intervento dell'autorità giudiziaria ad atteggiarsi in modo diverso nelle due predette ipotesi. Mentre in presenza di persone unite in matrimonio non è possibile che il legame giuridico tra loro esistente venga reciso senza l'intervento del giudice (con la separazione prima e col divorzio poi), la convivenza more uxorio può interrompersi immediatamente sulla base della semplice decisione unilaterale di ciascuno dei conviventi; sicché tale rapporto può venir meno senza che il giudice intervenga in alcun modo, salvo che per eventuali questioni relative ai figli naturali riconosciuti. L'obbligatorietà dell'intervento giudiziario fin dal momento della separazione, quindi, rende ulteriormente ragionevole la scelta del legislatore di affidare al tribunale ordinario tutti i provvedimenti di cui agli artt. 155 e 156 cod. civ.; e parimenti l'attribuzione al tribunale per i minorenni delle decisioni relative alla sorte dei figli minori si palesa come una conseguenza - plausibile e non irrazionale - di detta diversità.

6.- Va comunque osservato che la necessità di adire due diversi organi giudiziari non si traduce in una diminuzione della tutela, come lo stesso Tribunale rimettente deve avere avvertito nel momento in cui non ha richiamato come parametro l'art. 24 della Costituzione. E' sufficiente considerare che, qualora dovessero sussistere ragioni di urgenza tali da rendere indifferibile l'adozione di provvedimenti di carattere economico, la pendenza del giudizio davanti al tribunale per i minorenni non impedirebbe il ricorso agli strumenti cautelari.

A conferma delle conclusioni cui la Corte è giunta può infine osservarsi che la divaricazione di competenze tra due diversi organi giudiziari non è del tutto estranea neppure ai figli legittimi. Dalla coordinata lettura degli artt. 330 e 333 cod. civ. e 38 disp. att. cod. civ. emerge che anche per costoro è possibile un intervento del tribunale per i minorenni, qualora il giudizio riguardi la domanda di decadenza dalla potestà genitoriale, essendo apparso opportuno alla discrezionalità del legislatore devolvere la competenza al giudice ritenuto più "specializzato" nella risoluzione di simili delicate questioni.

Va pertanto riaffermata la ragionevolezza del sistema nel suo complesso, tale da rendere infondate le lamentate censure di illegittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Genova con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Relatore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.