Ordinanza n. 440/97

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ORDINANZA N.440

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 299 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1997 dalla Corte d'assise di Catanzaro, nel procedimento penale a carico di Zaccaro Antonio, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 novembre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che la Corte di assise di Catanzaro ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 299 del codice di procedura penale, con riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, "anche in relazione all'art. 13 Cost.", nella parte in cui - in caso di istanza de libertate (nella specie, sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere) proposta nella fase degli atti preliminari del dibattimento o, comunque, quando l'istruzione dibattimentale non é ancora ovvero é appena iniziata, e si palesa l'assoluta necessità di acquisire piena cognizione delle concrete modalità della condotta oggetto dell'imputazione - non prevede una sospensione della decisione, analoga a quella contemplata dal comma 4-ter della stessa disposizione, sino al termine della istruzione dibattimentale, ovvero, in via alternativa, non consente che il giudice possa acquisire gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 433 cod. proc. pen.;

che il giudice rimettente lamenta:

- con riferimento al principio di eguaglianza, che la norma censurata determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra gli imputati il cui processo pende nella fase degli atti preliminari al dibattimento, ovvero quando l'istruzione dibattimentale non é ancora o é appena iniziata, riguardo ai quali il giudice dispone unicamente degli atti elencati negli artt. 431 e 432 cod. proc. pen., e i soggetti sottoposti ad indagini preliminari, nonchè gli imputati in fasi successive alla conclusione dell'istruzione dibattimentale, nei cui confronti il giudice competente a decidere conosce gli atti su cui si fonda la misura cautelare, ovvero ha ormai acquisito piena cognizione della vicenda processuale;

- in relazione all'art. 24, secondo comma, Cost., che la disciplina censurata, non consentendo al giudice di avere piena e concreta cognizione degli elementi di fatto indispensabili per giungere ad una decisione in merito alla vicenda cautelare e per potere verificare la fondatezza delle ragioni addotte a sostegno dell'istanza difensiva de libertate, determinerebbe una irreparabile compressione del diritto di difesa in tema di tutela della libertà personale;

- con riguardo all'art. 111, primo comma, Cost., che l'obbligo di motivazione, ribadito dall'art. 13, secondo comma, Cost. con particolare riferimento ai provvedimenti in tema di libertà personale, risulterebbe compromesso in radice dall'impossibilità di utilizzare per la decisione le risultanze già acquisite e conosciute nell'ambito dello stesso procedimento;

che nell'ordinanza si precisa che le censure di legittimità trovano il loro presupposto nell'impossibilità di aderire ad un isolato precedente della Corte di cassazione, che aveva ritenuto ammissibile l'acquisizione da parte del giudice del fascicolo del pubblico ministero ai fini della decisione de libertate: a parere del rimettente, infatti, da un lato l'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. consente al giudice, quando non é in grado di decidere allo stato degli atti, di disporre esclusivamente accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato; dall'altro, sul terreno sistematico, le acquisizioni da parte del giudice del dibattimento di atti della fase delle indagini preliminari sono improntate al criterio della tassatività e non possono essere estese in via interpretativa;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione, in quanto il rimettente avrebbe dovuto adeguarsi all'interpretazione conforme alla Costituzione seguita dalla Corte di cassazione nella pronuncia dallo stesso menzionata.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale, nei termini prospettati dal rimettente, sembrerebbe involgere profili attinenti al sistema delineato dal codice di procedura penale in ordine ai rapporti tra le fasi del procedimento e alle diverse regole probatorie su cui esse sono impostate;

che in realtà la questione, pur sollevata dal rimettente con specifico riferimento al giudice investito di una istanza de libertate negli atti preliminari al dibattimento, si estende a tutte le ipotesi in cui il giudice sia chiamato nel corso del procedimento a pronunciarsi ex art. 299 cod. proc. pen. sulla revoca o sostituzione di misure cautelari personali;

che essa investe il generale problema delle conoscenze utilizzabili dal giudice ai fini delle decisioni de libertate, anche a prescindere dal principio della distinzione fra le fasi processuali e dal conseguente regime del "doppio fascicolo";

che, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal giudice a quo, anche per la fase delle indagini preliminari, prima che sia introdotta l'udienza preliminare, manca una esplicita norma che abiliti il giudice investito di una richiesta di revoca o sostituzione di una misura ad accedere agli atti di indagine, configurandosi, sotto questo aspetto, una situazione analoga a quella prospettata dal rimettente in relazione alla fase degli atti preliminari al dibattimento;

che, per consentire al giudice di decidere su simili istanze con cognizione di causa, il legislatore, con l'art. 13 della legge 8 agosto 1995, n. 332, ha introdotto nell'art. 299 cod. proc. pen. il comma 3-ter, a norma del quale il giudice, <<valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini>> e, se <<l'istanza di revoca o di sostituzione é basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve assumere l'interrogatorio dell'imputato che ne ha fatto richiesta>>;

che il rimettente non prende in alcuna considerazione tale disposizione e le sue ricadute applicative sulla fattispecie processuale in esame, il che configura un evidente difetto di motivazione circa la rilevanza della questione;

che comunque le soluzioni volte a definire il potere del giudice di acquisire conoscenze nei procedimenti incidentali de libertate, in quanto finalizzate ad assicurare l'adozione di provvedimenti che motivatamente incidano sulla libertà personale, comportano scelte non costituzionalmente vincolate, e quindi riservate alla discrezionalità del legislatore;

che, infatti, accanto alle soluzioni prospettate dal rimettente (che vorrebbe estendere all'ipotesi in esame la possibilità di sospensione della decisione disciplinata dall'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., ovvero consentire al giudice di acquisire gli atti del fascicolo del pubblico ministero), altre possono essere individuate in via interpretativa (v. ordinanza n. 200 del 1991) e altre ancora potrebbero essere prefigurate de jure condendo (v. sentenza n. 51 del 1997);

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 299 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, dalla Corte di assise di Catanzaro, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Redattore: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.