Ordinanza n. 438/97

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.438

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 516 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), e dell'art. 21, terzo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1996 dal Tribunale di Pesaro, nel procedimento penale a carico di Pedinelli Alberto, iscritta al n. 1177 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Pesaro, investito della decisione sulla richiesta delle parti di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, secondo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 516, e 21, terzo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 97 e 76 della Costituzione;

che il giudice rimettente rileva che la determinazione della competenza territoriale per i reati tributari con riferimento al luogo dell'accertamento del reato, a lungo identificato mediante il criterio legale del luogo in cui é stato redatto il processo verbale di constatazione, era coerente con un sistema caratterizzato dalla pregiudiziale tributaria e da un regime unico di accertamento dell'illecito fiscale, sia di carattere amministrativo che penale, nonchè dalla tendenziale connotazione del reato tributario come evasione di imposta, a prescindere dalle condotte materiali poste in essere per raggiungere tale risultato;

che - malgrado le profonde modifiche subite da tale sistema a seguito dell'abolizione della pregiudiziale tributaria e della tendenza ad attribuire autonomia al reato fiscale rispetto all'illecito amministrativo abbiano fatto venire meno le ragioni che giustificavano la coincidenza tra luogo dell'accertamento tributario e luogo dell'accertamento penale - la legge n. 516 del 1982 ha mantenuto immutato il tradizionale criterio di determinazione della competenza territoriale;

che tale disarmonia, ad avviso del rimettente, ha indotto la giurisprudenza della Cassazione ad enucleare un nuovo criterio di determinazione della competenza territoriale, sostituendo all'accertamento "tributario formale" l'accertamento "penale sostanziale", individuato nel luogo "dove il reato é stato scoperto nella sua materialità, raccogliendo... prove di consistenza tale da legittimare la formale elevazione di una imputazione";

che il giudice rimettente rileva che nel caso di specie risulta dal capo di imputazione che i reati sono stati accertati in Ancona, e che pertanto egli dovrebbe dichiararsi incompetente, in applicazione del criterio di determinazione della competenza territoriale definito dalla giurisprudenza di legittimità;

che lo stesso giudice rimettente rileva anche che dal fascicolo del pubblico ministero emerge che i reati sono stati accertati, almeno in parte, all'esito di una verifica fiscale operata presso la sede dell'impresa del prevenuto in San Costanzo (Pesaro) e che comunque le condotte ascritte all'imputato si collocano tutte nell'ambito territoriale del Tribunale di Pesaro;

che ad avviso del rimettente "il luogo di accertamento emerge dunque dagli atti in modo dubbio e contraddittorio, sicchè, sempre ai fini della competenza, l'esame degli atti andrebbe approfondito per chiarire, per ogni singolo reato, il luogo in cui sono state acquisite le prove, come vuole l'odierno insegnamento della Cassazione", con la conseguenza che il giudice competente potrebbe risultare "diversamente definito applicando le norme comuni sulla competenza territoriale";

che l'"incertezza" e la conseguente "dubbia validità operativa" del criterio di accertamento del luogo di commissione del reato tributario elaborato dall'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità si porrebbero in contrasto:

- con l'art. 25, primo comma, della Costituzione, in quanto la competenza territoriale risulterebbe determinata unicamente dallo sviluppo delle indagini e, quindi, dalle attività svolte dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero, ovvero dallo stesso denunciante in possesso di prove decisive o dall'imputato in caso di autodenuncia fondata su prove assolutamente esaurienti;

- con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, perchè il luogo di accertamento del reato così determinato si porrebbe in conflitto con le esigenze probatorie che necessariamente si localizzano nel luogo di commissione del reato;

- con l'art. 76 della Costituzione, in riferimento ai punti 13, 14 e 15 dell'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, per violazione del principio che vuole esclusa ogni discrezionalità nella determinazione del giudice competente, con particolare riguardo alle ipotesi di connessione probatoria;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso sostenendo in via principale l'inammissibilità della questione, per avere il giudice rimettente omesso di accertare se in concreto la normativa denunciata avrebbe comportato l'individuazione di un giudice diverso da quello naturale, e in subordine la sua infondatezza.

Considerato che, a prescindere da ogni valutazione sul merito della questione, le considerazioni svolte dal rimettente per dimostrarne la rilevanza appaiono carenti e contraddittorie: dalla stessa ordinanza di rimessione risulta che dapprima il giudice, sulla base dell'indicazione contenuta nei capi di imputazione, ("accertato in Ancona") ritiene che la competenza territoriale sembrerebbe spettare all'autorità giudiziaria di Ancona, ma poco dopo precisa che dal fascicolo del pubblico ministero emerge con chiarezza che i reati sono stati accertati a seguito di una verifica fiscale operata nel circondario del Tribunale di Pesaro e che comunque tutte le condotte si sono realizzate nell'ambito territoriale del predetto Tribunale;

che, di fronte a questi dubbi e alla contraddittorietà tra capo di imputazione e dati emergenti dal fascicolo del pubblico ministero circa il luogo di accertamento dei reati, lo stesso giudice rimettente precisa che sarebbe necessario approfondire l'esame degli atti per chiarire, per ogni singolo reato, il luogo di acquisizione delle prove, alla luce del criterio interpretativo a suo dire adottato dalla Cassazione;

che in tale contesto non é affatto scontata la conclusione, cui perviene il rimettente in punto rilevanza, che "il giudice competente verrebbe diversamente definito applicando le norme comuni sulla competenza territoriale": da un lato, infatti, il rimettente precisa che le condotte ascritte all'imputato "si collocano tutte nell'ambito territoriale di questo Tribunale" e che i reati sono stati "almeno in parte" accertati nel circondario del Tribunale di Pesaro, per cui, quale che sia il criterio adottato per determinare la competenza, risulterebbe comunque competente tale tribunale; dall'altro, avendo il rimettente omesso di approfondire per ogni singolo reato il luogo in cui sono state acquisite le prove, é impossibile stabilire se la competenza territoriale, definita alla stregua dell'interpretazione della Cassazione denunciata di illegittimità, spetterebbe effettivamente ad un organo giurisdizionale diverso dal Tribunale di Pesaro;

che, infine, il giudice rimettente ha omesso di verificare se l'indicazione di Ancona come luogo di accertamento dei reati, contenuta nel capo di imputazione, non sia eventualmente frutto di una mera inesattezza, come tale non incidente sulla valutazione del giudice in ordine alla sua competenza territoriale;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto e contraddittorietà di motivazione sulla rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, secondo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 516 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), e 21, terzo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), in riferimento agli artt. 25, primo comma, 76 e 97, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Pesaro, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.