Ordinanza n. 421/97

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ORDINANZA N.421

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 96 e seguenti del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'8 gennaio 1997 dal Pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, nel procedimento penale a carico di Grossi Giuliana, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 96 e seguenti del codice di procedura penale, assumendo che il complesso normativo in questione, prevedendo per l'imputato l'assistenza obbligatoria ad opera di un difensore abilitato all'esercizio della professione forense, sarebbe in contrasto con l'art 10 della Costituzione, in relazione all'art. 6, lettera c), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (adottata a Strasburgo il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), e con l'articolo 24 della Costituzione;

che ad avviso del rimettente l'art. 6, lettera c), della predetta Convenzione, nel prevedere che ciascun imputato abbia diritto a difendersi personalmente o con l'assistenza di difensore di sua scelta, implica il riconoscimento del diritto dell'imputato a difendersi anche solo personalmente;

che, parimenti, secondo il giudice a quo, l'articolo 24 della Costituzione, nell'affermare il principio che tutti possono agire in giudizio a difesa dei propri diritti e interessi legittimi e che la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, non subordina l'esercizio di tale diritto alla necessaria assistenza dell'imputato ad opera di un difensore abilitato;

che si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;

che l'Avvocatura, richiamate le pronunce della Corte costituzionale con le quali é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che limitavano l'obbligo di nominare un difensore di ufficio all'imputato sprovvisto di difensore di fiducia, rileva che la difesa tecnica, oltre ad essere un diritto costituzionalmente protetto, é nella gran parte dei casi una necessità;

che inoltre, secondo l'Avvocatura, le disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, avendo valore di legge ordinaria, non possono porsi come parametri di costituzionalità, nè essere invocate nell'ambito di operatività dell'art. 10 Cost.;

che, comunque, il diritto alla difesa personale costituisce la "regola minima" per un giusto processo e che il sistema processuale vigente, nel garantire congiuntamente la difesa tecnica e l'autodifesa, non si porrebbe in contrasto con i principi affermati dalla Convenzione, ma ne costituirebbe la massima realizzazione.

Considerato che questa Corte ha già dichiarato l'infondatezza di analoghe censure mosse alla corrispondente disciplina del diritto di difesa contenuta nel codice di procedura penale del 1930, in relazione agli stessi parametri costituzionali evocati dal ricorrente;

che in particolare, in relazione all'art. 24 della Costituzione, la Corte ha rilevato che la presenza del difensore "risponde all'aspirazione a fondare l'intero processo penale sopra un effettivo contraddittorio tra accusa e difesa" e che "nessuno ha mai dubitato o dubita che alla specifica capacità professionale del pubblico ministero fosse e sia ragionevole contrapporre quella di un soggetto di pari qualificazione che affianchi ed assista l'imputato" (sentenza n. 125 del 1979);

che su un diverso terreno rispetto alla difesa tecnica si colloca il parallelo diritto all'autodifesa, operante nell'ambito del principio del contraddittorio, con riferimento ad un "complesso di attività, mediante le quali l'imputato, come protagonista del processo penale, ha facoltà di eccitarne lo sviluppo dialettico contribuendo all'acquisizione delle prove ed al controllo di legalità del suo svolgimento" (sentenza n. 186 del 1973), sì che, sotto questo profilo, ai fini del rispetto dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, rileva che all'imputato sia garantita la possibilità di intervenire in ogni stato e grado del procedimento (sentenze n. 280 del 1985 e n. 9 del 1982);

che, d'altro canto, "l'imposizione all'imputato di un difensore, persino suo malgrado, mira ad assicurargli quelle cognizioni tecnico giuridiche, quell'esperienza processuale e quella distaccata serenità, che gli consentono di valutare adeguatamente le situazioni di causa, in guisa da tutelare la sua più ampia libertà di determinazione nella scelta delle iniziative e dei comportamenti processuali" (sentenza n. 498 del 1989);

che, per quanto concerne la censura sollevata in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, con riferimento all'art. 10 della Costituzione, va ribadito che il richiamo alle "norme del diritto internazionale generalmente riconosciute" ai fini dell'adeguamento del diritto interno si riferisce soltanto alle norme internazionali di natura consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia (vedi ex plurimis sentenze nn. 288 del 1997, 15 e 146 del 1996);

che, comunque, la disposizione di cui all'art. 6 numero 3 lettera c) della Convenzione, concorrendo alla definizione del <giusto processo>, fondato, tra l'altro, sulla parità delle armi, va interpretata nel senso che, "il diritto all'autodifesa non é assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai Tribunali" (sentenza n. 188 del 1980);

che a maggior ragione nel codice di procedura penale vigente, ispirato ai principi del sistema accusatorio, le norme che assicurano la difesa tecnica sono funzionali alla realizzazione di un <giusto processo>, garantendo l'effettività di un contraddittorio più equilibrato e una più sostanziale parità delle armi tra accusa e difesa;

che la questione deve essere pertanto dichiarata manifestamente infondata in relazione ad entrambi i parametri evocati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 96 e seguenti del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 10 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 dicembre 1997.