Ordinanza n. 412/97

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ORDINANZA N.412

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli da 233 a 243 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1996 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Filitto Lino e Brugali Guido, iscritta al n. 1324 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che, nel corso di un processo civile promosso per ottenere l'adempimento di un'obbligazione di pagamento del corrispettivo dovuto in dipendenza dell'esecuzione di lavori edili, il Tribunale di Milano, chiamato a decidere in ordine all'ammissibilità del giuramento decisorio - deferito dall'attore, prestatore d'opera, nei confronti della controparte - sulle circostanze a fondamento della domanda, ha sollevato, con ordinanza del 20 ottobre 1996, questione di legittimità costituzionale "degli artt. 233-243" del codice di procedura civile per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che il Tribunale rimettente ritiene che la situazione creatasi con la sentenza di questa Corte n. 149 del 1995, in ordine alla formula del giuramento del testimone in sede civile, e la "conseguente" questione di costituzionalità, sollevata da altro giudice, dell'art. 238 cod. proc. civ., contenente la formula che deve essere pronunciata dalla parte che presta il giuramento decisorio (questione poi decisa con sentenza n. 334 del 1996), fanno sorgere dubbi sulla legittimità costituzionale dell'istituto del giuramento decisorio, perchè, una volta ricondotta a conformità con la Costituzione la richiamata normativa, con la eliminazione di qualsiasi riferimento religioso, si verificherebbe che, mentre nel processo penale e nel processo civile il trattamento dei testimoni é uniforme, in quanto gli uni e gli altri sono obbligati a "dire tutta la verità", al contrario la parte privata nel processo penale (l'imputato) non lo é, diversamente dalla parte del processo civile che invece lo é quando le sia stato deferito il giuramento decisorio, con evidente disparità di trattamento;

che tale disparità, particolarmente incongrua a causa del maggior interesse sociale connesso al perseguimento delle violazioni di precetti penali, non sarebbe attenuata dalla facoltà della parte, cui é deferito il giuramento decisorio, di riferirlo all'altra parte, perchè ciò significherebbe correre comunque un elevato rischio di soccombenza;

che l'istituto del giuramento decisorio, collegato a concezioni del processo di carattere religioso (ordalia o giudizio di Dio), una volta depurato per effetto delle pronunce della Corte dei suoi riflessi religiosi, perderebbe ogni significato storico che ne giustifichi la permanenza e rappresenterebbe oggi soltanto un irragionevole "turbamento della paritaria condizione processuale delle parti", apparendo ingiustificato che una di esse, dopo aver esperito tutti i mezzi di difesa processuale e sentendosi presumibilmente prossima alla soccombenza, possa invocare un giudizio di tipo diverso, così imponendo all'altra un adempimento che renderebbe "meno agevole il diritto di difesa".

Considerato che il giudice a quo sottopone all'esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale degli articoli da 233 a 243 del codice di procedura civile, e cioé di tutte le norme rubricate sotto la voce "del giuramento", disciplinanti sia il giuramento decisorio (artt. 233-239) che il giuramento suppletorio (artt. 240-243), due istituti processuali distinti, nonostante che nel giudizio principale venisse in rilievo il solo giuramento decisorio;

che, inoltre, la questione di costituzionalità é stata proposta in assenza di motivazione sulla rilevanza, e cioé, nella specie, in difetto di ogni valutazione sull'ammissibilità nel giudizio del richiesto mezzo processuale in ordine alla sua decisorietà e alla sua formulazione non generica nè ambigua o perplessa;

che, viceversa, dall'ordinanza di rimessione risulta che il contenuto del giuramento coinciderebbe con quello di una prova testimoniale dichiarata inammissibile per genericità dal giudice istruttore e, in sede di reclamo, dal collegio ora rimettente, essendosi allora esclusa "la rilevanza della prova richiesta ai fini dell'accertamento dei termini del rapporto in contestazione";

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli da 233 a 243 del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.