Ordinanza n. 408/97

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ORDINANZA N.408

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 671 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1996, dalla Corte d'appello di Trieste, nel procedimento penale a carico di Jovanovic Milanka, iscritta al n. 1342 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto che, mentre era chiamata a decidere della colpevolezza di Juvanovic Milanka, accusata del reato di cui all'art. 671 del codice penale, per aver mendicato valendosi del figlio minore degli anni 14, che teneva in braccio, la Corte d'appello di Trieste ha sollevato, d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del predetto articolo;

che, ad avviso del giudice a quo, la disposizione incriminatrice, pur essendo in linea con la tutela costituzionale dei minori (art. 31 della Costituzione), violerebbe i parametri indicati, perchè la pena minima edittale, stabilita per tale reato, sarebbe in contrasto con i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità;

che questa Corte, attribuendosi il potere di sindacare l'uso della discrezionalità legislativa in materia, avrebbe affermato che, nel rispetto del principio di eguaglianza, la pena deve essere proporzionata al disvalore del fatto commesso (sentenze n. 422 e 343 del 1993, 313 del 1990 e 409 del 1989);

che l'irragionevolezza delle disposizioni emergerebbe ancora dal raffronto con l'ipotesi di reato, di cui all'art. 726 del codice penale;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per la non fondatezza;

che, secondo l'Avvocatura, con la sentenza n. 519 del 1995 la Corte costituzionale ha distinto la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 670 del codice penale (mendacità non invasiva) da quella di cui al secondo comma dello stesso articolo (mendicità invasiva) e che tale distinzione sarebbe ancora più netta con riferimento all'art. 671, in ragione dell'interesse costituzionale alla tutela dei minori;

che inoltre mancherebbe, nel caso di specie, ogni possibilità di giudizio "trilaterale", per l'inadeguatezza del riferimento all'art. 726 del codice penale, dettato in materia di atti contrari alla pubblica decenza e turpiloquio.

Considerato che la Corte costituzionale é chiamata a decidere se l'art. 671, primo e secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede un minimo di pena di mesi tre di arresto, leda gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, perchè in contrasto con il criterio di ragionevolezza e proporzionalità della pena, non apparendo congrua quella ivi stabilita, anche nel raffronto con l'art. 726 del codice penale, ove si presenterebbe, ad avviso del rimettente, la stessa (o analoga) "oggettività giuridica";

che, già con la sentenza n. 519 del 1995, questa Corte ha affermato, in riferimento alla sproporzione della sanzione penale minima, per l'ipotesi di reato di cui all'art. 670, secondo comma, del codice penale, di non poter accogliere la questione, per l'evidente diversità delle condotte indicate quali tertia comparationis;

che siffatta diversità emerge, allo stesso modo, comparando la censurata ipotesi di mendicità, invasiva, con il tertium indicato nell'art. 726 del codice penale che é a salvaguardia di beni giuridici distinti;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 671 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trieste, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.