Sentenza n. 404/97

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SENTENZA N.404

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi quarto e quinto della legge della Regione Lombardia 12 marzo 1984, n. 14 (Norme per l'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi), promosso con ordinanza emessa il 14 febbraio 1996 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto da Gheller Daniele ed altra contro la Regione Lombardia ed altro, iscritta al n. 863 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1996;

udito nella camera di consiglio del 2 luglio 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 14 febbraio 1996, nel corso del giudizio avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione della Giunta regionale di diniego dell'approvazione (con richiesta di integrale rielaborazione) del piano di recupero presentato da Gheller Daniele e Gheller Micaela, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione II, ha sollevato, in riferimento agli artt. 9, 97 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi quarto e quinto, della legge della Regione Lombardia 12 marzo 1984, n. 14 (Norme per l'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi).

L'art. 4 della legge regionale della Lombardia n. 14 del 1984, al quarto comma, prevede che decorso inutilmente il termine di centoventi giorni dal ricevimento da parte della Giunta regionale della deliberazione di adozione del piano di recupero, trasmessa dal Comune, quest'ultimo provvede all'approvazione del piano attuativo ai sensi dell'art. 2, commi terzo e quarto, cioé con deliberazione del Consiglio o della Giunta, soggetta al controllo di legittimità qualora siano state presentate osservazioni od opposizioni.

Il quinto comma della legge regionale n. 14 del 1984 stabilisce che qualora la richiesta di modificazioni da parte della Giunta regionale o dell'Assessore competente delegato venga comunicata nel termine prescritto (centoventi giorni), il Comune decide sulle eventuali osservazioni ed opposizioni ed approva il piano attuativo introducendo le modifiche richieste.

Entrambe le disposizioni sono oggetto di censure del giudice a quo che muovono da un'unica complessiva argomentazione.

Costituirebbe infatti principio fondamentale dell'ordinamento che nelle materie di preminente rilievo costituzionale, quali quelle dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, la gestione del vincolo, posto a tutela di tali interessi rafforzati, esige l'effettività dell'esercizio delle attribuzioni da parte dell'autorità pubblica competente mediante l'adozione di provvedimenti espressi, non surrogabile con la fictio iuris del silenzio-assenso.

Il quadro normativo e la giurisprudenza della Corte (sentenza n. 302 del 1988) inducono a ritenere che, in settori dell'ordinamento caratterizzati da alto tasso di discrezionalità, operi il divieto di qualificare come assenso il silenzio serbato dall'amministrazione procedente.

Tale principio, sempre seguendo la prospettazione del giudice rimettente, ha forza precettiva a maggior ragione nella materia della pianificazione e programmazione urbanistica territoriale (sentenze n. 26 del 1996, n. 408 del 1995 e n. 393 del 1992) specie nei casi dei programmi integrati di recupero che presentano una duplice e concorrente valenza: urbanistica ed ambientale ad un tempo; di guisa che coinvolgono una molteplicità di interessi, presidiati da specifici vincoli, che devono essere oggetto di corrispondenti valutazioni da parte dell'amministrazione competente.

In dette materie non trova quindi applicazione, per quanto riguarda la richiesta di autorizzazioni, nulla osta e pareri, alcun termine di decadenza che comporti la sottrazione della potestà di decidere per effetto del mero decorso del tempo per l'adozione dell'atto.

Inoltre, con specifico riguardo al quinto comma dell'art. 4 della legge regionale n. 14 del 1984, il giudice a quo richiama la consolidata giurisprudenza in ordine al termine di sessanta giorni per l'annullamento ministeriale delle autorizzazioni rilasciate dalle Regioni ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, che riconduce tale termine all'adozione dell'atto, non già alla sua comunicazione.

Al contrario la norma censurata, oltre a prevedere in materia di pianificazione attuativa, ove sono in gioco interessi paesaggistici devoluti alla competenza della Regione, un meccanismo di tacito assenso, annette alla mancata comunicazione della richiesta di modificazioni nel termine di centoventi giorni la decadenza del potere.

Tali norme, ad avviso del giudice a quo, contrastano con gli artt. 9, 97 e 117 della Costituzione, pregiudicando la tutela del paesaggio e il principio del buon andamento, oltre a ledere i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, ai quali il legislatore regionale deve improntare la disciplina delle materie attribuite alla sua competenza.

Considerato in diritto

1.- La questione di legittimità costituzionale sottoposta all'esame della Corte investe l'art. 4, commi quarto e quinto, della legge della Regione Lombardia 12 marzo 1984, n. 14 (Norme per l'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi) in ordine all'esame del piano di recupero da parte della Regione, laddove prevede, oltre ad un meccanismo di tacito assenso, un termine di decadenza per l'esercizio delle attribuzioni regionali, con la richiesta di modificazioni, la cui comunicazione al Comune deve avvenire entro lo stesso termine.

Viene dedotta la violazione della Costituzione sotto un triplice profilo. Il primo con parametro l'art. 9 della Costituzione, in quanto si pregiudicherebbe la tutela del paesaggio devoluta alla competenza della Regione tenuta ad adottare provvedimenti espressi. Il secondo profilo si riferisce all'art. 97 della Costituzione e al principio del buon andamento dell'azione dell'amministrazione specie nell'ambito degli interessi di preminente rilievo costituzionale, quali l'ambiente ed il paesaggio che richiedono specifiche ed espresse valutazioni. Infine il terzo ha come parametro l'art. 117 della Costituzione in quanto si inciderebbe sulle attribuzioni e competenze, come ripartite dalle leggi dello Stato con i principi fondamentali, essendo di fatto l'amministrazione regionale esautorata dall'esercizio delle proprie attribuzioni.

2.- La questione é priva di fondamento.

Occorre infatti considerare che la pianificazione urbanistica comunale di secondo grado, cioé quella attuativa (di iniziativa pubblica o privata) di piani regolatori generali o di strumenti di programmazione urbanistica primaria é ormai configurata - sia in forza dei principi generali desumibili dal sistema urbanistico dell'ordinamento statale e regionale, sia per effetto delle specifiche leggi urbanistiche regionali - come procedura subordinata e quindi dipendente dalla pianificazione primaria, come tale lasciata non solo alla determinazione propositiva del Comune, ma rientrante, nella maggiore parte dei casi, anche nella sfera decisionale esclusiva di approvazione dello stesso Comune. Rispetto a tale ambito di attribuzioni comunali, l'intervento regionale é eventuale, spesso esercitabile attraverso una richiesta di modificazioni in relazione a profili determinati dalla legge, ovvero é limitato ad una vigilanza o ad un controllo di conformità con le norme di legge e i regolamenti statali e regionali e ad una valutazione di compatibilità con gli interessi che trascendono la sfera comunale.

Ovviamente tali principi si riferiscono alla pianificazione di livello comunale di secondo grado, con il carattere tipico attuativo ed esecutivo, e non alle altre forme particolari ed eccezionali di interventi pianificatori che assumono la sostanziale valenza di strumenti urbanistici generali per la capacità di costituire variante agli stessi strumenti.

I piani attuativi, infatti, tra i quali sono compresi i piani di recupero, hanno la caratteristica di strumenti secondari che devono rispettare le previsioni della pianificazione generale o di coordinamento e non possono avere valore di variante alla stessa.

3.- L'istituto del silenzio-assenso non é quindi per sua natura incompatibile con le procedure di formazione ed approvazione degli strumenti di pianificazione attuativa e secondaria e quindi con quelle dei piani di recupero aventi le anzidette caratteristiche (diverse essendo per portata, effetti e procedura le "varianti di recupero degli insediamenti abusivi" ex art. 29 della legge 28 febbraio 1985, n. 47).

Allo stesso modo non é affatto escluso che il legislatore statale (con norme di principio) e quello regionale (con normativa di dettaglio) possano fissare, nell'ambito dell'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi, termini di decadenza per gli interventi di controllo o di verifica attribuiti alla Regione nei casi previsti, con la conseguenza che il decorso del tempo in mancanza di intervento regionale può consentire al Comune di completare l'iter di approvazione del piano attuativo.

Il fondamento di tale sistema risulta evidente dai principi in materia fissati nell'art. 24 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, volti al perseguimento di esigenze di celerità e snellezza del procedimento, con l'espressa previsione dell'esclusione dall'approvazione regionale degli strumenti attuativi della pianificazione urbanistica generale, salvo aree e ambiti di interesse regionale appositamente delimitati.

Sullo stesso piano giova chiarire che, in linea di principio, al legislatore non é affatto precluso sul piano costituzionale - nell'ambito della fase di abilitazione a lavori edilizi - la qualificazione in termini di silenzio-assenso (v. sentenza n. 262 del 1997 ed anche sentenza n. 169 del 1994) del decorso del tempo entro il quale l'amministrazione competente deve concludere il procedimento e adottare il provvedimento. Allo stesso modo non é preclusa nel suddetto settore la previsione di ulteriori istituti di semplificazione amministrativa, come ad esempio la denuncia di inizio della attività, restando affidata ad una scelta di politica legislativa nell'obiettivo di tempestività ed efficienza dell'azione amministrativa e quindi di buon andamento.

E' indispensabile, invece, che siano esattamente individuati l'unità organizzativa ed il soggetto addetto - cioé chiamato a rispondere personalmente dei compiti e delle mansioni affidategli e degli adempimenti del settore - responsabile dell'istruttoria e degli adempimenti finali, di modo che non vi sia differenza sotto il profilo della responsabilità tra atto espresso e silenzio derivante da scelta consapevole di non esercitare il potere di intervento (repressivo o impeditivo).

In realtà vi é un nesso indissolubile tra gli artt. 28 e 97, commi primo e secondo della Costituzione, in quanto la tempestività e la responsabilità sono elementi essenziali per l'efficienza e quindi per il buon andamento della pubblica amministrazione.

Questa Corte ha invece avuto occasione di censurare la diversa ipotesi di legge regionale che prevedeva il silenzio-assenso ai fini dell'approvazione dei programmi integrati difformi dagli strumenti urbanistici generali, proprio per la "duplice valenza sia urbanistica sia ambientale, anche in quanto l'approvazione regionale ricomprende tutte le autorizzazioni di competenza regionale in tema di vincoli idrogeologici forestali ecc., nonchè il parere ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1497 e della legge 8 agosto 1985, n. 431. Pertanto per quest'ultimo profilo ambientale opera il principio fondamentale, risultante da una serie di norme in materia ambientale, della necessità di pronuncia esplicita, mentre il silenzio dell'Amministrazione preposta a vincolo ambientale non può avere valore di assenso" (sentenze n. 26 del 1996 e n. 302 del 1988).

La stessa giurisprudenza richiamata nell'ordinanza di rimessione aveva avuto modo di sottolineare che la illegittimità del silenzio-assenso non riguardava la pianificazione meramente attuativa ed esecutiva (sentenza n. 26 del 1996).

4.- Infine nella specie considerata non può valere l'argomento dell'alto livello di discrezionalità, che porterebbe ad escludere la possibilità di silenzio significativamente rilevante come assenso, in quanto ciò può valere quando gli strumenti urbanistici generali e relative varianti danno luogo ad un procedimento complesso, cui devono necessariamente partecipare e concorrere il comune e la regione, sia pure in posizione ineguale (cosiddetto principio dell'atto complesso) e il piano abbia valenza non solo urbanistica ma ambientale.

Nella materia ambientale vige un principio fondamentale, ricavabile da una serie di disposizioni, da interpretarsi unitariamente nel sistema, secondo cui il silenzio dell'amministrazione preposta al vincolo ambientale non può avere valore di assenso (sentenza n. 26 del 1996).

Da ultimo é opportuno sottolineare che le norme denunciate riguardano esclusivamente la procedura di approvazione degli strumenti urbanistici attuativi e non comportano assorbimento o implicita sostituzione dei nulla osta o autorizzazioni o altri atti abilitativi previsti dalle disposizioni urbanistiche e dalle norme per la tutela dei vincoli, come quelli in base alla legge n. 1497 del 1939. Di modo che il piano di recupero, ancorchè riguardi singoli edifici, mantiene il valore di semplice pianificazione, cui devono seguire le procedure previste per il compimento di lavori di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, cioé concessioni o autorizzazioni edilizie, nulla osta e autorizzazioni preventive delle autorità preposte ai vincoli gravanti sull'area o sull'edificio, destinati questi ultimi ad operare autonomamente ed indipendentemente da ogni previsione di piano urbanistico.

Sulla base delle predette osservazioni sono infondati anche i profili relativi alla tutela ambientale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi quarto e quinto, della legge della Regione Lombardia 12 marzo 1984, n. 14 (Norme per l'approvazione degli strumenti urbanistici attuativi), sollevata, in riferimento agli artt. 9, 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione II, con ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.