Sentenza n. 377/97

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SENTENZA N.377

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1996 dal Pretore di Pescara, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1.– Nel corso di un procedimento per incidente di esecuzione, instaurato avverso un provvedimento del pubblico ministero, con il quale veniva rigettata l’istanza di un condannato tossicodipendente, volta ad ottenere, previo ordine di scarcerazione, l’affidamento in prova al servizio sociale per lo svolgimento di un programma terapeutico, previsto dall’art. 94 del testo unico delle leggi in materia di stupefacenti, approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il Pretore di Pescara, con ordinanza emessa il 14 novembre 1996, pervenuta a questa Corte il 22 gennaio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 32 della Costituzione, dell’art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "in relazione alla inapplicabilità delle misure previste" dall’art. 47-bis dell’ordinamento penitenziario "e correlate all’art. 94" del testo unico delle leggi sugli stupefacenti approvato con d.P.R. n. 309 del 1990. Detto art. 67 dispone che l’affidamento in prova al servizio sociale e l’ammissione al regime di semilibertà sono esclusi per il condannato in espiazione di pena detentiva derivante da conversione delle pene sostitutive della semidetenzione o della libertà controllata, disposta, ai sensi dell’art. 66 della stessa legge, nel caso di violazione di "anche solo una delle prescrizioni" inerenti a queste ultime. A loro volta l’art. 47-bis dell’ordinamento penitenziario e l’art. 94 del testo unico sugli stupefacenti disciplinano l’affidamento in prova al servizio sociale "in casi particolari", vale a dire nel caso di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero o che ad esso intenda sottoporsi.

Il Pretore osserva che la determinazione del pubblico ministero, di rigetto dell’istanza di "sospensione dell’esecuzione della pena", fondata sulla circostanza che analoga istanza era stata in precedenza dichiarata inammissibile dal Presidente del Tribunale di sorveglianza con riferimento al divieto di cui all’art. 67 della legge n. 689 del 1981, ritenuto applicabile anche al particolare caso di affidamento in prova di cui é giudizio, appare conforme a legge là dove ritiene che lo stesso pubblico ministero sia chiamato a verificare la rispondenza dell’istanza "allo schema delineato dalla fattispecie astratta".

Ad avviso del giudice a quo, tuttavia, il divieto di concedere l’affidamento in prova al condannato la cui pena derivi da conversione di pena sostitutiva, a seguito della violazione di una prescrizione inerente al regime di quest’ultima, contrasta con la finalità di recupero e cura propria del particolare istituto dell’affidamento in prova del tossicodipendente o alcooldipendente, la cui concessione prevede il controllo del Tribunale di sorveglianza sulla serietà del programma terapeutico e non sulla pericolosità e sulla condotta anteatta del condannato, com’é invece per l’affidamento in prova previsto in via generale dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario. Il divieto in questione non si giustificherebbe per il tossicodipendente, il cui precedente comportamento incostante deriverebbe proprio dallo stato patologico in cui versa, e per uscire dal quale egli chiede di sottoporsi a un programma terapeutico.

Richiamando la motivazione dell’ordinanza n. 397 (recte: n. 367) del 1995 di questa Corte, in cui si sottolinea la peculiarità dell’affidamento in questione, che privilegia la scelta terapeutica rispetto ad ogni altro trattamento risocializzante, nella prospettiva del superamento dello stato di tossicodipendenza, il remittente afferma che la preclusione, derivante automaticamente da una precedente condotta in violazione di prescrizioni inerenti alla esecuzione della pena sostitutiva, contrasterebbe con la finalità di tutela e recupero della salute, alla quale solo é volto l’art. 47-bis dell’ordinamento penitenziario, e dunque con l’art. 32 della Costituzione.

Il giudice a quo conclude osservando che la rilevanza della questione sussiste in quanto con l’eventuale pronuncia di accoglimento verrebbe meno il fondamento dell’impugnato provvedimento del pubblico ministero.

2.– E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

L’Avvocatura erariale sostiene che esiste una differenza di fondo fra la situazione presa in considerazione dall’ordinanza n. 367 del 1995, in cui la censura di costituzionalità esaminata riguardava l’automatismo della scarcerazione nel caso in cui sia chiesto l’affidamento in prova del tossicodipendente, e la situazione presa in esame dal giudice a quo, in cui la denunciata preclusione alla concessione dell’affidamento consegue "ad una già avvenuta violazione delle prescrizioni inerenti alle misure sostitutive da parte del soggetto il quale é venuto in tal modo a dimostrare la propria inidoneità nei confronti del beneficio delle misure stesse". Nella disciplina in questione il bilanciamento fra i confliggenti interessi, quello al recupero del tossicodipendente e "quello ad una efficace dissuasione idonea a garantire il rispetto delle prescrizioni cui sono subordinati gli istituti in esame", apparirebbe, secondo l’Avvocatura, garantito in maniera da sottrarsi a censure di irragionevolezza.

Con riferimento all’art. 32 della Costituzione, l’Avvocatura afferma che "nelle finalità proprie delle prescrizioni impartite nel caso di affidamento in prova, in particolare nei casi di affidamento di soggetti tossicodipendenti", rientrano anche quelle di tutela della salute del soggetto "proprio al fine di garantire l’osservanza del programma di recupero"; onde la disposizione censurata, volta ad assicurare l’affidabilità del soggetto, può ritenersi anch’essa concorrere alla realizzazione delle finalità dello stesso art. 32 della Costituzione.

Considerato in diritto

1.– La questione sollevata ha ad oggetto l’art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che dispone il divieto di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale (oltre che della semilibertà) al condannato a pena detentiva derivante da conversione della pena sostitutiva della semidetenzione o della libertà controllata, disposta, ai sensi dell’art. 66, primo comma, della stessa legge, a seguito della violazione di "anche solo una delle prescrizioni" inerenti all’esecuzione delle predette pene sostitutive: ma investe tale disposizione nella sola parte in cui si applica - secondo l’interpretazione fatta propria dal giudice a quo - al particolare affidamento in prova al servizio sociale di persona tossicodipendente o alcooldipendente, al fine di proseguire o intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma concordato tra lo stesso condannato e un organismo a ciò deputato, affidamento previsto già dall’art. 47-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e, oggi, dall’art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).

Va puntualizzato, con riferimento alle argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato, che le prescrizioni, la cui violazione dà luogo alla conversione della pena sostitutiva, non sono quelle inerenti all’affidamento in prova, ma quelle inerenti all’esecuzione della pena sostitutiva della semidetenzione o della libertà controllata.

Secondo il giudice a quo il divieto di cui all’art. 67 della legge n. 689 del 1981, in quanto applicabile al particolare affidamento in prova del tossicodipendente o alcooldipendente, contrasterebbe con l’art. 32 della Costituzione, in quanto confliggerebbe con la finalità di tutela e recupero della salute che caratterizzerebbe questo istituto.

2.– Va precisato preliminarmente che delle due ricordate disposizioni che disciplinano l’affidamento in prova "in casi particolari", é da ritenere oggi in vigore solo l’art. 94 del testo unico approvato con d.P.R. n. 309 del 1990, che ha sostituito l’art. 47-bis dell’ordinamento penitenziario di cui alla legge n. 354 del 1975 e successive modificazioni. Infatti l’art. 47-bis, originariamente inserito nella legge di ordinamento penitenziario dal decreto legge 22 aprile 1985, n. 144, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 1985, n. 297, e successivamente sostituito dall’art. 12 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, é stato in seguito inserito nel testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, approvato con d.P.R. n. 309 del 1990, previo coordinamento con le disposizioni della legge 26 giugno 1990, n. 162: testo unico di valore legislativo, emanato in base alla delega contenuta nell’art. 37 della stessa legge n. 162 del 1990 (che contemplava espressamente, fra le disposizioni da coordinare, anche quelle di cui al decreto legge n. 144 del 1985), e quindi idoneo a novare la fonte delle disposizioni in esso incluse. E in effetti il testo dell’art. 94 citato, pur riprendendo sostanzialmente quello del previgente art. 47-bis dell’ordinamento penitenziario, vi ha apportato modifiche di coordinamento.

3.– La questione non é fondata, in quanto non é esatta la premessa interpretativa da cui muove il giudice remittente, secondo la quale il divieto di concessione dell’affidamento in prova al condannato in espiazione di pena detentiva derivante da conversione di pena sostitutiva, disposta per violazione delle relative prescrizioni, sarebbe applicabile anche all’affidamento in prova "in casi particolari" per il proseguimento o l’avvio di un programma di recupero del tossicodipendente o dell’alcooldipendente.

L’art. 67 della legge n. 689 del 1981 fu dettato, prima che il legislatore configurasse tale particolare ipotesi di affidamento in prova "terapeutico", avendo riguardo solo, oltre che al regime di semilibertà, all’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale previsto in via generale dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario. Quest’ultimo rappresenta una misura alternativa alla detenzione, prevista nel caso di pena da scontare non superiore a tre anni, intesa a contribuire alla rieducazione del reo, assicurando contemporaneamente la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati, e avente un contenuto sostanzialmente non molto dissimile da quello di una delle pene sostitutive previste dal capo III della legge n. 689 del 1981, vale a dire della libertà controllata (anzi, nel caso di condannato minorenne, la libertà controllata é eseguita con le modalità proprie dell’affidamento in prova al servizio sociale: cfr. art. 75, secondo comma, della stessa legge n. 689 del 1981). Si comprende perciò come il legislatore abbia ritenuto che la violazione delle prescrizioni relative alla pena sostitutiva, cui consegue la conversione nella pena detentiva sostituita, dia luogo ad una sorta di presunzione di inadeguatezza delle misure alternative alla detenzione rispetto alle finalità preventive e rieducative, e non sia quindi compatibile con una espiazione della pena convertita attraverso le modalità proprie dell’affidamento in prova o della semilibertà (cfr. sentenza n. 109 del 1997).

L’affidamento in prova "in casi particolari", invece, pur inserendosi come species nel genus dell’affidamento in prova già previsto dall’ordinamento penitenziario, rappresenta una "risposta (....) differenziata dell’ordinamento penale" conformata alla (e giustificata dalla) "singolarità della situazione dei suoi destinatari", vale a dire le persone tossicodipendenti o alcooldipendenti (ordinanza n. 367 del 1995). Esso quindi, pur non essendo del tutto estraneo alla logica generale dell’affidamento in prova, quella cioé di perseguire la risocializzazione del condannato attraverso regimi diversi da quello carcerario, si fonda su presupposti e persegue finalità nettamente differenziati.

Quanto ai presupposti - a parte il più ampio limite della pena da scontare -, sono fondamentali l’accertato stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, e la ritenuta idoneità del programma ai fini del recupero del condannato, programma alla garanzia della cui esecuzione sono volte, fra l’altro, le specifiche prescrizioni da impartire e i relativi controlli (art. 94, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990): tanto che taluno ha potuto parlare di un vero e proprio obbligo di concessione dell’affidamento, in presenza di detti presupposti. Ma anche se si ritenesse, come é stato talvolta affermato in giurisprudenza, che la concessione della misura presupponga pur sempre un giudizio prognostico positivo sulla possibilità che la misura "contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati" (art. 47, comma 2, della legge n. 354 del 1975), resterebbe pur sempre ben differenziato il complesso dei presupposti dei due istituti, e in particolare resterebbe la presunzione, da cui muove il legislatore, secondo cui nel caso del tossicodipendente la prima e fondamentale azione di risocializzazione da perseguire é la cura dello stato di tossicodipendenza, attraverso programmi che non potrebbero essere eseguiti se proseguisse o iniziasse la detenzione in carcere.

Quanto alle finalità, come si é detto, fermo il generico scopo rieducativo, l’affidamento in casi particolari persegue specificamente la finalità di recupero rispetto alla tossicodipendenza o alla alcooldipendenza.

Stante la differenza fra i due istituti, non può ritenersi che ogni norma la quale si riferisca all’affidamento in prova, e in particolare che il riferimento fatto a suo tempo dall’art. 67 della legge del 1981 all’affidamento in prova, disponendo il divieto della sua concessione nel caso di pena derivante da conversione, si estenda automaticamente alla diversa ipotesi dell’affidamento in prova del tossicodipendente o dell’alcooldipendente, successivamente introdotta dal legislatore.

Dal punto di vista testuale, del resto, l’art. 94 del d.P.R. n. 309 del 1990, là dove, al sesto comma, contiene una clausola di rinvio "per quanto non diversamente stabilito", si riferisce non già genericamente ad ogni altra norma in materia di affidamento in prova, ma solo alla "disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dalla legge 10 giugno 1986, n. 663" (come, parimenti, si riferiva alla "disciplina prevista dalla presente legge" l’art. 47-bis della legge n. 354 del 1975): di tale disciplina non fa parte la previsione dello speciale divieto di cui all’art. 67 della legge n. 689 del 1981.

4.– Vi é poi una ragione più specifica che persuade della inapplicabilità del divieto in questione all’affidamento "terapeutico".

La ratio del divieto sancito dall’art. 67 della legge n. 689 del 1981 risiede, come si é detto, nella presunzione legislativa che chi abbia violato le prescrizioni di un regime totalmente o parzialmente extracarcerario, nell’ambito dell’esecuzione della pena sostitutiva, si dimostri inidoneo ad un trattamento alternativo - quello dell’affidamento in prova "generale" - che ha un contenuto in qualche modo analogo, e suppone l’adesione del soggetto all’iter di risocializzazione propostogli; oltre che nel rafforzamento, attraverso la minaccia di una pena da scontare ineludibilmente in carcere, dell’efficacia deterrente della norma sulla conversione obbligatoria della pena sostitutiva in quella sostituita, nel caso di violazione delle relative prescrizioni (art. 66 della legge n. 689 del 1981). E’ insomma come se il legislatore avesse ritenuto che la violazione delle prescrizioni inerenti alla esecuzione della pena sostitutiva comprovasse già l’esito negativo di una "prova", al quale, non irragionevolmente, si é fatto conseguire il divieto di una "seconda" prova.

Ora, nel caso dell’affidamento "terapeutico" di persona tossicodipendente o alcooldipendente, da un lato, la ratio legislativa é nel senso di una preminenza data dalla norma all’intento di cura dello stato di dipendenza, donde l’essenzialità del programma di recupero come contenuto della misura: intento che mal si presta ad essere paralizzato dall’esito negativo di una "prova" di tutt’altro genere, in nulla "mirata" sul medesimo stato di dipendenza, qual é, in sostanza, l’applicazione della pena sostitutiva della semidetenzione o della libertà controllata. Dall’altro lato, soprattutto, il legislatore ha compiuto una autonoma valutazione dei limiti di ripetibilità di questa particolare "prova", sancendo il divieto di disporre questa forma di affidamento "più di due volte" (art. 94, comma 5, del testo unico sugli stupefacenti; e già prima art. 47-bis, comma 7, dell’ordinamento penitenziario). Con questa autonoma valutazione, intesa a bilanciare la preminenza dello scopo terapeutico con la constatazione eventuale della inidoneità della prova a conseguire l’effetto di risocializzazione perseguito, mal si concilia un rigido divieto, quale quello che conseguirebbe all’applicazione dell’art. 67 della legge n. 689 del 1981, di concedere anche una sola volta l’affidamento "speciale", in conseguenza (automatica) dell’esito negativo di una "prova" affatto diversa ed estranea al percorso terapeutico che caratterizza l’istituto in questione.

5.– In definitiva, una considerazione complessiva del sistema normativo e della ratio degli istituti coinvolti, prima ancora dell’esame dei profili di costituzionalità prospettati dal remittente, conduce a concludere per la non applicabilità del divieto in questione all’affidamento in prova "terapeutico" di cui all’art. 94 del testo unico delle leggi sugli stupefacenti. Non ha pertanto ragion d’essere la questione di legittimità costituzionale sollevata sul presupposto dell’opposta interpretazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in relazione agli artt. 47-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), e successive modificazioni, nonchè all’art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sollevata, in riferimento all’art. 32 della Costituzione, dal Pretore di Pescara con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 5 dicembre 1997.