Ordinanza n. 361/97

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ORDINANZA N. 361

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Renato GRANATA, Presidente

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

-        Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-        Prof. Valerio ONIDA

-        Prof. Carlo MEZZANOTTE

-        Avv. Fernanda CONTRI

-        Prof. Guido NEPPI MODONA

-        Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

-        Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 43 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - Catanzaro - sul ricorso proposto da Primaverile Antonio contro il Questore di Vibo Valentia, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - Catanzaro - ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 11 e 43 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento agli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione;

che le norme sono censurate nella parte in cui l'art. 43, secondo comma, del regio decreto citato consente di revocare la licenza di portare armi a chi "non dà affidamento di non abusare delle armi";

che ad avviso del giudice rimettente la genericità e l'indeterminatezza della fattispecie normativa e la conseguente mancata predeterminazione dei canoni cui la pubblica autorità deve uniformarsi si porrebbero in contrasto:

- con l'art. 2 della Costituzione, in quanto la facoltà di portare armi può integrare, specie ove preordinata all'esercizio dell'attività venatoria, una manifestazione della personalità del cittadino, la cui estimazione sociale potrebbe essere gravemente vulnerata dalla revoca della licenza;

- con l'art. 3 della Costituzione, che non potrebbe trovare applicazione in presenza di situazioni giuridiche, di cui siano portatori i soggetti dell'ordinamento, "aventi contenuto anche meramente oppositivo";

- con l'art. 97 della Costituzione, essendo i princìpi del buon andamento e della correttezza della pubblica amministrazione vulnerati dalla possibilità di adottare provvedimenti non fondati su presupposti e circostanze certi e dimostrabili, bensì permeati da caratteri di arbitrarietà;

che nel caso di specie il rimettente rileva che la licenza di porto di armi e' stata revocata dal questore con provvedimento in data 2 luglio 1996 basato esclusivamente sul presupposto della coabitazione del ricorrente con il figlio, detenuto agli arresti domiciliari nella casa paterna, e sulla conseguente valutazione che quest'ultimo "possa abusare delle armi detenute legalmente dal padre", pur essendo gli arresti domiciliari ormai revocati dal mese di aprile e pur avendo il ricorrente eccepito che la cessazione della coabitazione con il figlio avrebbe dovuto comportare l'annullamento della revoca, basata su una situazione di fatto non esistente;

che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

Considerato che il giudice rimettente, richiamandosi a precedenti sentenze, qualificate come "costante orientamento della giurisprudenza amministrativa", prospetta una interpretazione delle norme censurate tale da attribuire alla pubblica autorità un amplissimo e pressoche' insindacabile potere discrezionale;

che, al contrario, proprio in materia di diniego e revoca della licenza di porto di armi la giurisprudenza amministrativa, sia del Consiglio di Stato che dei tribunali amministrativi regionali, ha in più occasioni ribadito che le relative norme vanno interpretate alla luce dei fondamentali princìpi costituzionali, anche al fine di superare possibili profili pregiudiziali di illegittimità costituzionale, e che sulla pubblica amministrazione gravano specifici oneri di motivazione, valutabili in sede di legittimità del provvedimento amministrativo;

che nel caso di specie il ricorrente, come emerge nell'ordinanza di rimessione, aveva eccepito l'illegittimità del provvedimento di revoca del porto di armi per essere inesistente il presupposto di fatto su cui si basava la revoca, e che lo stesso giudice rimettente ha posto in rilievo che la possibilità di abuso delle armi era riferita non al titolare della licenza, ma al figlio convivente con il medesimo;

che, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, ordinanza n. 436 del 1996), e' compito del giudice, quando sia possibile, dare alle norme denunciate una interpretazione secundum constitutionem, risolvendosi altrimenti la questione di legittimità costituzionale in un improprio tentativo di ottenere l'avallo di una piuttosto che di un'altra interpretazione, attività questa che spetta invece al giudice chiamato ad applicare le norme;

che essendo non solo possibile, ma doveroso interpretare in modo conforme alla Costituzione le norme di cui viene denunciata l'illegittimità costituzionale, la questione prospettata dal giudice rimettente deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 11 e 43 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - Catanzaro -, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Relatore

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1997.