Sentenza n. 352/97

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SENTENZA N.352

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Pulcini Antonio, iscritta al n. 1015 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

1. — In esito al procedimento instaurato ai sensi della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, il Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma disponeva l’archiviazione nei confronti di un ministro e altri indagati " laici" , in ordine ai reati di peculato e falso ideologico. Con lo stesso provvedimento veniva ordinata la separazione della posizione di un indagato " laico" in ordine al reato di cui agli artt. 48, 61 n. 2, 81, 476, 482 e 485 del codice penale e l’invio dei relativi atti al Procuratore della Repubblica di Roma a norma dell’art. 2, comma 1, della legge 5 giugno 1989, n. 219.

Esercitatasi l’azione penale nei confronti dell’indagato " laico" , all’udienza preliminare il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, considerato che egli aveva fatto parte in precedenza del Collegio per i reati ministeriali che aveva preso in esame la posizione dell’imputato, presentava dichiarazione di astensione ex artt. 34, comma 3, e 36, comma 3, del codice di procedura penale. Il Presidente del Tribunale rigettava la dichiarazione, ritenendo che tra le ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen., da considerare tassative, non era compresa quella dedotta.

Nella successiva udienza del 26 giugno 1996, preso atto di tale decisione, il Giudice per le indagini preliminari sollevava, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, cod. proc. pen., " nella parte in cui non prevede l’incompatibilità ad esercitare nel medesimo procedimento l’ufficio di giudice nei confronti del Collegio per i reati ministeriali" .

2. — Sottolinea il giudice a quo che egli é stato investito della funzione di giudice dell’udienza preliminare in ordine alla decisione circa il rinvio a giudizio di Pulcini Antonio, avendo appunto fatto parte in precedenza del Collegio per i reati ministeriali che aveva trattato il medesimo procedimento, compiendo atti istruttori, acquisendo documentazione e in particolare contestando al Pulcini quello specifico episodio da cui era sorto il procedimento; atti che costituivano fonte di prova nell’attuale processo.

E dal momento che, in base all’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 1989, n. 219, il Collegio esercita, come anche reiteratamente riconosciuto dalla giurisprudenza, i poteri che spettano al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, appare evidente, secondo il giudice rimettente, che egli aveva in precedenza svolto funzioni inquirenti. Tali funzioni sono peraltro incompatibili con quelle giudicanti proprie del giudice dell’udienza preliminare, come deriva dall’art. 34, comma 3, cod. proc. pen., norma finalizzata a realizzare la assoluta separazione tra funzioni requirenti e giudicanti, e pertanto da interpretarsi nel senso che rientrano nell’area dell’incompatibilità anche i casi in cui il giudice abbia di fatto svolto, attraverso l’esercizio dei relativi poteri, funzioni di pubblico ministero.

Peraltro, osserva ancora il giudice a quo, il principio generale enunciato dall’art. 34, comma 3, cod. proc. pen. non é di immediata estensione al caso di specie, soprattutto per la considerazione delle peculiari caratteristiche del procedimento innanzi al Collegio per i reati ministeriali, costituente, in relazione alla incerta natura di detto organo, un unicum nel nostro ordinamento.

Risulterebbe peraltro indubbio che la normativa sulle cause di incompatibilità vada estesa al caso di specie, trattandosi di salvaguardare il principio di imparzialità e terzietà del giudice. L’omessa previsione in tal senso violerebbe gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo comma, 101, secondo comma, della Costituzione, per l’ingiustificata disparità di trattamento fra fattispecie sostanzialmente analoghe, tale da inficiare il rispetto delle regole sul giudice naturale, sul diritto di difesa, sulla presunzione di innocenza e sull’indipendenza di giudizio del giudice.

Osserva ancora il giudice a quo che la questione é certamente rilevante, trattandosi di superare la situazione di stallo processuale venutasi a creare a seguito della decisione del Presidente del Tribunale che ha respinto la dichiarazione di astensione e che é opportuno che al riguardo si pronunci la Corte costituzionale " non solo per risolvere il conflitto (improprio) ma altresì per chiarire, anche se al limitato fine dell’incompatibilità, in via definitiva i poteri e la natura del Collegio per i reati ministeriali" .

Considerato in diritto

1.— Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede l’incompatibilità ad esercitare nel medesimo procedimento l’ufficio di giudice nei confronti dei componenti del Collegio per i reati ministeriali".

La questione é sollevata con riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo comma, 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la disciplina denunciata, creando una ingiustificata disparità di trattamento tra fattispecie sostanzialmente analoghe, violerebbe il diritto di difesa, il rispetto delle regole del giudice naturale e l’indipendenza di giudizio del giudice. In particolare, i principi della imparzialità e terzietà del giudice risulterebbero compromessi dall’omessa inclusione tra i casi di incompatibilità previsti dall’art. 34, comma 3, cod. proc. pen. della situazione in cui viene chiamato a svolgere l’ufficio di giudice chi in precedenza, nella sua qualità di componente del Collegio per i reati ministeriali, ha di fatto svolto funzioni di pubblico ministero: verrebbero così a sovrapporsi le funzioni requirenti e quelle giudicanti in capo al medesimo soggetto, in contrasto con la ratio dell’art. 34, comma 3, cod. proc. pen., che tra le cause di incompatibilità indica l’esercizio nel medesimo procedimento delle funzioni di pubblico ministero e dell’ufficio di giudice, ma non prevede espressamente, quale termine pregiudicante della relazione di incompatibilità, lo specifico caso dei componenti del Collegio per i reati ministeriali, che di fatto svolgono funzioni di pubblico ministero.

2. — La questione non é fondata.

Il giudice rimettente ha correttamente individuato nell’art. 34, comma 3, cod. proc. pen. la norma ove sono disciplinate situazioni di incompatibilità del tipo di quella denunciata, attinenti, cioé, a funzioni esercitate o uffici ricoperti nell’ambito del medesimo procedimento, capaci di pregiudicare l’imparzialità e la terzietà di chi verrà poi chiamato a svolgere l’ufficio di giudice. Non ha però colto che nel caso di specie la situazione di incompatibilità va logicamente ravvisata in via preliminare ed assorbente per avere il Collegio per i reati ministeriali proposto un atto di denuncia, mediante l’individuazione degli estremi di un reato non ministeriale a carico di un concorrente "laico" e la conseguente trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica.

Dall’ordinanza di rimessione emerge, infatti, che il Collegio per i reati ministeriali - compiute, a norma degli articoli 8, commi 1 e 2, della legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1; 1, commi 2 e 5, e 2, comma 1, della legge 5 giugno 1989, n. 219, le indagini preliminari - ha disposto l’archiviazione per i reati ministeriali e nel contempo ha ordinato la separazione nei confronti di un concorrente " laico" per un diverso reato, enucleando gli estremi del fatto di reato e ordinando, a norma dell’art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.

Così operando, il Collegio per i reati ministeriali ha assolto all’obbligo, imposto dall’art. 331 cod. proc. pen. nei confronti dei pubblici ufficiali che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, di farne denuncia e di trasmettere gli atti al pubblico ministero; tale situazione, così come affermato in via generale dalla giurisprudenza di questa Corte (v. sentenza n. 292 del 1992), configura appunto il caso di incompatibilità, espressamente previsto dall’art. 34, comma 3, cod. proc. pen., di avere proposto denuncia.

Ai fini della decisione della questione oggetto del presente giudizio, non é quindi necessario prendere in esame la peculiare fisionomia, i poteri e le funzioni del Collegio per i reati ministeriali (v. sentenze n. 403 del 1994 e n. 265 del 1990); l’ipotesi di incompatibilità consistente nell’avere presentato una denuncia obbligatoria assume, infatti, un valore assorbente e logicamente preliminare rispetto alla supposta funzione pregiudicante individuata dal giudice rimettente nell’avere il Collegio svolto funzioni di pubblico ministero.

Ciò é quanto basta per dichiarare non fondata la censura di illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, cod. proc. pen. nei termini prospettati dal rimettente, in quanto la situazione di incompatibilità con l’ufficio di giudice dell’udienza preliminare in cui viene a trovarsi il componente del Collegio per i reati ministeriali che ha ravvisato gli estremi di un reato a carico di un concorrente "laico" ed ha presentato la relativa denuncia al Procuratore della Repubblica già comporta l’obbligo di astensione a norma del combinato disposto degli articoli 34, comma 3, e 36, comma 1, lettera g), cod. proc. pen..

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo comma e 101, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1997.