Sentenza n. 350/97

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SENTENZA N.350

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI             

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1996 dal Pretore di Trento sul ricorso proposto da Lever Marta contro INAIL iscritta al n. 900 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visti gli atti di costituzione di Lever Marta e dell’INAIL nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 giugno 1997 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Franco Agostini per Lever Marta, Antonino Catania per l’INAIL e l’avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di una controversia previdenziale nei confronti dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, il Pretore di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento all'art. 38, secondo comma, della Costituzione - degli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

Premesso che la ricorrente ha contratto, nell'esercizio della propria attività di parrucchiera, una forma di dermatite da contatto conseguente all'uso quotidiano di sostanze irritanti, il Pretore rimettente prende atto che, in sede di valutazione percentuale dell'inabilità ai fini del calcolo della rendita, l'art. 74 citato, viene costantemente interpretato dalla Corte di cassazione nel senso che l'espressione "attitudine al lavoro" vada intesa come capacità di lavoro generica anzichè specifica, con conseguente irrilevanza del rapporto esistente tra il tipo di malattia professionale e l'effettiva attività svolta dal lavoratore o la sua qualificazione professionale.

Ne consegue che le percentuali di invalidità previste dalle tabelle allegate sono da ritenersi tassative in base all'art. 78 del medesimo testo unico, sicchè é precluso al giudice riconoscere al lavoratore una percentuale di inabilità diversa da quella già prevista dalla legge. In tale rigidità del sistema di calcolo delle rendite il giudice a quo ravvisa violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost.

Per ciò che riguarda il profilo della rilevanza, il Pretore rimettente osserva che, nel caso di specie, seguendo il sistema di valutazione risultante dalla giurisprudenza della Cassazione, la domanda della ricorrente dovrebbe essere rigettata o, comunque, accolta solo in misura parziale, potendosi riconoscere alla stessa una percentuale di inabilità inferiore a quella che le sarebbe dovuta assumendo come parametro la capacità di lavoro specifica.

In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo, dopo aver richiamato una serie di pronunce di questa Corte sull'art. 38 Cost., rileva che la tutela previdenziale in favore dei lavoratori deve essere più pregnante di quella prevista, in via assistenziale, a tutti i cittadini inabili al lavoro. Da ciò deriva che il concetto di capacità di lavoro generica - che é ancora riferito solo alla vecchia classificazione del lavoro agricolo o industriale - va considerato ormai superato. Con la conseguenza che, secondo questo concetto di capacità generica di lavoro - tralaticiamente seguito dalla stessa Corte di cassazione in tema di assicurazione obbligatoria a carico dell'INAIL - le norme impugnate si porrebbero in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost., che impone di assicurare ai lavoratori forme di previdenza che garantiscano mezzi adeguati alle loro esigenze di vita.

2.— Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si é costituita la lavoratrice, chiedendo l'accoglimento della questione ovvero una pronuncia interpretativa in grado di superare l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione. Tale orientamento, si osserva, non può ritenersi vincolante sulla base del testo delle norme impugnate, poichè gli artt. 74 e 78 del citato t.u. consentono, piuttosto, una valutazione personalizzata dell'inabilità, alla stregua di quanto previsto da altre norme circa le prestazioni erogate per effetto d’inabilità.

3.— Si é costituito in giudizio anche l'INAIL, osservando che la questione deve preliminarmente ritenersi inammissibile per difetto di rilevanza; a suo parere il giudice rimettente, avendo fatto svolgere la consulenza tecnica d’ufficio finalizzata a quantificare la percentuale di inabilità della lavoratrice con riguardo alla capacità specifica, era in possesso di tutti gli elementi necessari per decidere, eventualmente anche discostandosi dall'orientamento della giurisprudenza dominante.

Nel merito, l'INAIL rileva che questa Corte ha già dimostrato di condividere, in precedenti pronunce, il concetto di attitudine al lavoro indicato dalla Cassazione; il che dovrebbe condurre ad una pronuncia di infondatezza.

4.— Nel giudizio é intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Sostiene la difesa erariale che la giurisprudenza della Cassazione, nell'interpretare le norme impugnate nel senso censurato dal giudice a quo, non preclude totalmente al giudice di merito la possibilità di una diversa valutazione del caso concreto, purchè sul punto vi sia un'adeguata motivazione; sicchè la prospettata questione si traduce in una mera questione di interpretazione.

Del tutto irrilevante sarebbe, poi, il fatto che in altre forme di assicurazione sociale assuma rilievo un diverso concetto di incapacità lavorativa, anche perchè il rimettente non ha indicato come parametro l'art. 3 Cost.

5.— In prossimità dell'udienza hanno presentato memorie la lavoratrice e l'INAIL, insistendo rispettivamente nelle diverse conclusioni già rassegnate.

La parte privata, in particolare, ha fatto ancora presente che il concetto di capacità di lavoro generica assunto come parametro dalla giurisprudenza di legittimità é superato ed ormai inaccettabile, anche alla luce delle sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991 di questa Corte.

L'ente previdenziale, invece, ha insistito soprattutto sul fatto che il sistema vigente, così come interpretato dalla costante giurisprudenza della Cassazione, si risolve spesso a vantaggio del lavoratore, consentendogli di ottenere una rendita anche in caso di menomazioni che, in concreto, non si traducono in una diminuzione della capacità specifica di lavoro.

Considerato in diritto

1.— Il Pretore di Trento dubita che gli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 - interpretati, secondo il diritto vivente, nel senso che per "attitudine al lavoro", la cui perdita totale o parziale dà diritto alle prestazioni INAIL, debba intendersi la "capacità di lavoro generica" riferita a qualunque lavoro manuale medio e non la "capacità di lavoro specifica", o quella capacità riferita al tipo di lavoro confacente alla qualificazione attitudinale dell'assicurato - siano in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost., in quanto non consentono una protezione previdenziale adeguata al caso concreto.

2.— Occorre preliminarmente rilevare che é infondata l'eccezione di inammissibilità, sollevata dall'Avvocatura dello Stato e dall’INAIL, relativamente alla possibilità per il giudice rimettente di decidere la controversia nel merito, dissentendo dall'interpretazione fornita dalla giurisprudenza dominante.

Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), é altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza - al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente" - é ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimità e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalità, poichè la norma vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che é difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte.

In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perchè ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre é in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali (cfr., ex plurimis, sentenze n. 226 del 1994, n. 296 del 1995 e n. 307 del 1996).

Nel presente caso la giurisprudenza assolutamente maggioritaria, oltre che la dottrina prevalente, intendono il concetto di attitudine al lavoro, in riferimento alle norme impugnate, nel senso di capacità lavorativa generica anzichè specifica; per cui la prospettata questione va affrontata nel merito, sussistendo anche il requisito della rilevanza nel giudizio a quo.

3.— La questione é infondata.

Non può negarsi che il nostro ordinamento conosca alcune situazioni nelle quali vengono in considerazione i diversi concetti di capacità lavorativa specifica e di capacità attitudinale.

Così la stessa disciplina degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali prevede, nei casi di inabilità temporanea (artt. 66 e 68 del d.P.R. n. 1124 del 1965), che l'indennità sia calcolata "nella misura del sessanta per cento della retribuzione giornaliera", riferita cioé all’attività specificamente svolta.

Nè mancano ipotesi di particolari tipi di lavori nei quali ad esempio anche il solo danno estetico - che pure di norma non porta ad alcuna riduzione della capacità lavorativa generica - può tradursi in una menomazione della "attitudine al lavoro" prevista dalla legge e quindi viene ritenuta patrimonialmente apprezzabile ai fini dell’indennizzo assicurativo, in considerazione delle specifiche qualità fisiche richieste a chi svolge quei lavori.

Inoltre, in ambiti diversi da quello dell'assicurazione obbligatoria per infortuni sul lavoro e malattie professionali, i concetti di capacità specifica o attitudinale vengono assunti come parametri esplicitamente dal legislatore. Al riguardo, vanno segnalati soprattutto l'art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222, e l'art. 3 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509. Il primo stabilisce che, ai fini dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, si faccia riferimento alla capacità di lavoro dell'assicurato "in occupazioni confacenti alle sue attitudini"; il secondo, nel quadro dell’invalidità civile, dà rilievo anche "alla eventuale specifica attività lavorativa svolta ed alla formazione tecnico-professionale" dell'avente diritto.

4.— Tutto ciò premesso per l'esatto e completo inquadramento del problema, questa Corte ritiene opportuno anzitutto ribadire che, nell’ambito del nostro sistema previdenziale, l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ha delle peculiarità che non confliggono con gli obiettivi di cui all'art. 38 Cost.

Com'é noto, infatti, tale tipo di assicurazione non é sorto con intenti propriamente risarcitori, ma piuttosto al fine di liberare rapidamente il lavoratore dallo stato di bisogno conseguente all'infortunio o alla malattia (v. sentenza n. 100 del 1991), sulla base di una logica da più parti definita "transattiva". Questa é confermata dalle rispettive posizioni del trilaterale rapporto assicurativo: da un lato il datore di lavoro - sul quale grava la parte più consistente dei contributi - che, per contropartita, viene di regola esonerato dalla responsabilità civile conseguente all'infortunio (artt. 10 e 11 del d.P.R. cit.); dall'altra l'ente previdenziale, che paga le rendite secondo un ammontare - predeterminabile per gli opportuni calcoli statistici sui costi di gestione - con eventuale diritto di regresso verso il datore o di surroga verso i terzi; in ultimo il lavoratore, il quale, con una ridotta partecipazione agli oneri contributivi, viene ad usufruire delle prestazioni fornite dall'INAIL in modo quasi automatico, nel contesto di una esclusione dal completo risarcimento secondo le regole della responsabilità civile.

Nel sistema così disegnato dal legislatore anche il riferimento al concetto di capacità lavorativa generica consente - tramite il criterio delle percentuali tabellate - di determinare in anticipo sia gli oneri che l'INAIL dovrà sopportare, sia i corrispondenti contributi dei datori di lavoro e le rendite alle quali avranno diritto i lavoratori in modo uguale per tutti, quale effetto delle stesse malattie.

5.— Così come attualmente strutturato, tale sistema potrebbe apparire inadeguato, anche per effetto dell’evoluzione delle tecnologie, della scienza medico-legale, nonchè della sensibilità sociale verificatasi nel lungo periodo di tempo trascorso dall’entrata in vigore del testo unico del 1965, sicchè si comprende l’auspicio - espresso da più parti - dell’introduzione di nuovi criteri che tengano conto più da vicino delle diverse situazioni in cui si trovano i soggetti coinvolti.

In particolare, si é sottolineato che vi sono ipotesi di persone che, perdendo la capacità di svolgere attività confacenti alle loro speciali attitudini, non sono concretamente in grado di assolvere a generici lavori manuali, e restano quindi disoccupate.

In questa direzione, del resto, nell’ottica di una progressiva personalizzazione dell’indennizzo dell’effettivo danno subìto dal lavoratore, si é mossa anche questa Corte, in particolare con la sentenza n. 179 del 1988, riconoscendo al lavoratore la possibilità di provare la genesi professionale anche di malattie non ricomprese negli elenchi allegati al testo unico, in tal modo assecondando anche precise indicazioni espresse dalla Commissione delle Comunità europee (Raccomandazione n. 66/462/CEE del 20 luglio 1966). Nel contempo, sulla spinta delle nuove frontiere del danno civile costituite dalla figura emergente del danno biologico, la Corte (v. sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991) ha segnalato al legislatore il tendenziale contrasto della normativa vigente rispetto alle norme costituzionali, nella parte in cui le prestazioni economiche rese dall'INAIL non esauriscono i diritti dei lavoratori; in questa linea, le citate sentenze hanno riconosciuto il diritto ad un autonomo risarcimento di questa nuova voce di danno, con conseguente modifica della struttura delle azioni di regresso e di surroga dell'assicuratore sociale, superando quella logica transattiva sopra ricordata.

Ed é anche vero, d'altra parte, che talvolta altri rimedi ad una condizione di inabilità allo svolgimento di particolari lavori vanno ricercati, in una prospettiva sempre più aperta, non tanto nella corresponsione di una somma da parte dell'assicuratore (sociale o privato che sia), quanto piuttosto in diversi strumenti, quali la flessibilità delle mansioni rispetto alle nuove tecniche, la mobilità nei posti di lavoro e la riqualificazione professionale, in considerazione anche del diritto-dovere di lavorare sancito dall'art. 4 Cost.

6.— Da tutte le considerazioni fin qui svolte emerge che la prospettata questione involge una molteplicità di profili e di possibili conseguenze, che richiederebbero un intervento legislativo. Tanto più che la mera sostituzione del concetto di capacità generica con quelli di capacità specifica o di capacità attitudinale, prescindendosi da più articolate modulazioni normative, non sempre potrebbe risolversi in un vantaggio per il lavoratore.

Va ribadito, comunque, che a questa Corte non é demandato il compito di bilanciare le contrapposte esigenze in materia e dettare quelle regole che appartengono propriamente alla discrezionalità del legislatore, quanto esclusivamente quello di scrutinare la costituzionalità delle norme impugnate alla luce dei parametri indicati nell'ordinanza di rimessione.

Il problema proposto non si configura come autentica questione di illegittimità costituzionale.

Da un lato, infatti, l'interpretazione assunta in termini di diritto vivente, pur presentando margini di opinabilità, non lede il parametro di cui all'ordinanza di rimessione, ove si consideri che assicurare ai lavoratori i "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" (art. 38, secondo comma, Cost.) non impone necessariamente che agli stessi debba essere riconosciuto l’indennizzo anche quando sia provato che l'infortunio o la malattia professionale si siano tradotti in una lesione della capacità lavorativa specifica maggiore della lesione di quella generica.

Dall'altro, per tutte le ragioni esposte in precedenza, questa Corte osserva che l'accoglimento della questione in esame andrebbe ad alterare in maniera assai sensibile il sistema risultante dall’attuale assetto normativo, finendo col tradursi in un vero e proprio intervento riformatore surrettiziamente sostitutivo del compito affidato alle scelte legislative.

7.— Le conclusioni ora raggiunte in termini di infondatezza della questione, peraltro, non esimono la Corte dal segnalare - come già é avvenuto in altre occasioni, particolarmente con la citata sentenza n. 87 del 1991 - l'opportunità di una rivisitazione della vecchia disciplina.

Nella sentenza ora citata si evidenziò l’esigenza di ricomprendere nell'ambito delle prestazioni erogate dall'INAIL anche lo specifico risarcimento del danno biologico, attesa la valenza costituzionale del diritto alla salute. Oggi - ferma restando l'attualità di quell'invito, rimasto ancora inascoltato - occorre auspicare, oltre che il più frequente aggiornamento delle tabelle da parte dell’Istituto, un intervento legislativo volto ad adeguare la struttura di questa forma di assicurazione obbligatoria al passo evolutivo della moderna società civile, tenendo anche in considerazione il fatto che nel settore non appaiono più esaustive le tradizionali classificazioni di massa (agricoltori, operai, impiegati etc.), richiedendosi invece una più dettagliata individuazione delle diverse categorie delle attività lavorative.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata, in riferimento all'art. 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Trento con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1997.