Ordinanza n. 334/97

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ORDINANZA N.334

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 61 del codice di procedura penale del 1930, promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 1996 dal Tribunale di Torino, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che il Tribunale di Torino - nel corso di un procedimento penale che ai sensi dell’art. 241 delle norme transitorie proseguiva secondo il previgente rito - con ordinanza del 7 novembre 1996 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 del codice di procedura penale del 1930, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del giudice, pronunciatosi con sentenza nei confronti di alcuni imputati, a celebrare il dibattimento nei confronti di altri concorrenti nei medesimi reati;

che dall’ordinanza di rimessione emerge che il Tribunale aveva in precedenza giudicato, previa separazione dei procedimenti, altri imputati, alcuni dei quali accusati degli stessi reati oggi ascritti ai concorrenti sottoposti al distinto giudizio (associazione a delinquere e reati di cui agli artt. 8 della legge 7 gennaio 1929, n. 4; 50, comma quarto, del d.P.R. n. 633 del 1977; 1, comma primo, 4, numeri 1, 5 e 7 della legge 7 agosto 1982, n. 516: recte del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516);

che, ad avviso del remittente, essendosi pronunciato sulle prove esistenti agli atti, si verserebbe in situazione del tutto analoga a quella posta a base della sentenza di questa Corte n. 371 del 1996, con la quale é stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;

che soggiunge il giudice a quo il dettato dell’art. 61 del codice del 1930 sarebbe sostanzialmente identico a quello dell’art. 34 del nuovo codice di procedura penale, al quale si riferisce la citata sentenza di questa Corte;

che nel giudizio innanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che, secondo l’ordinanza di rimessione, la logica sottesa alla sentenza n. 371 del 1996 comporterebbe che il giudice che si sia pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilità di alcuni concorrenti sia per ciò solo colpito da incompatibilità in relazione al processo che venga successivamente celebrato nei confronti di altro o di altri concorrenti;

che invece quella sentenza mantiene espressamente ferma la precedente acquisizione giurisprudenziale, che risale alle sentenze n. 186 del 1992 e n. 439 del 1993: nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, la autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie, una segmentazione di processi e la scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno debba influenzare quella dell’altro;

che con la sentenza n. 371 del 1996 si é però affermato che il principio costituzionale del giusto processo, anche indipendentemente dalle ipotesi di concorso di persone nel reato, impedisce che uno stesso giudice valuti più volte, in sentenza, in successivi processi la responsabilità penale di una persona in relazione al medesimo reato;

che pertanto l’incompatibilità del giudice non può essere estesa a tutte le ipotesi in cui si proceda separatamente nei confronti di diversi soggetti, concorrenti o meno nel reato, ma deve essere ragionevolmente circoscritta ai casi in cui, con la sentenza che definisce il processo a carico di un imputato, vengano compiute, sia pure incidentalmente, valutazioni in ordine alla responsabilità penale di una persona formalmente estranea al processo;

che di conseguenza solo attraverso la puntuale analisi dell’effettivo contenuto della sentenza che si assuma pregiudicante può essere accertato l’eventuale compimento di una valutazione in ordine alla responsabilità del terzo, suscettibile di determinare l’incompatibilità del giudice al successivo giudizio;

che le argomentazioni sopra svolte sono valide non soltanto per l’art. 34 del nuovo codice di procedura penale, ma anche per l’art. 61 del codice di procedura penale del 1930, trattandosi di disposizioni di analogo contenuto e di identica ratio;

che nel caso di specie non risulta che il Tribunale di Torino nella sentenza resa nei confronti di alcuni dei concorrenti abbia espresso una valutazione, neppure superficiale o sommaria, circa la responsabilità degli ulteriori concorrenti, la posizione dei quali era stata stralciata;

che lo stesso tribunale in tale sentenza si era limitato a dichiarare taluni reati estinti per amnistia, a escludere, per il delitto di associazione a delinquere, la prova evidente della insussistenza del fatto e a dichiararne l’estinzione per intervenuta prescrizione, dopo aver concesso le attenuanti generiche: nulla era detto circa le posizioni dei concorrenti estranei al processo, che sono quindi rimaste non pregiudicate;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 del codice di procedura penale del 1930, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1997.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Carlo MEZZANOTTE

Depositata in cancelleria il 7 novembre 1997.