Sentenza n. 330/97

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SENTENZA N.330

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio  ONIDA       

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 6 ottobre 1995 dal Pretore di Ancona e il 13 giugno 1996 dal Pretore di Padova, sezione distaccata di Montagnana, iscritte ai nn. 384 e 921 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 39, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

 

1. Dovendo celebrare il dibattimento a carico di un imputato nei cui confronti, in occasione della sua precedente condanna per altro reato, aveva ritenuto configurabili ulteriori reati e perciò trasmesso i relativi atti al pubblico ministero per il promovimento dell'azione penale, il Pretore di Ancona, con ordinanza del 6 ottobre 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il remittente richiama, per identità di ratio, la sentenza n. 455 del 1994, con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, abbia ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, comma 2, del codice di procedura penale, avendo accertato che il fatto é diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516, 517 e 518, comma 2.

A maggior ragione, pertanto, secondo il Pretore di Ancona, l'omessa previsione dell'incompatibilità alla funzione di giudizio per il giudice che abbia, in altro processo, trasmesso gli atti al pubblico ministero per avere ravvisato la sussistenza di ulteriori reati a carico dello stesso imputato, sarebbe costituzionalmente illegittima. Risulterebbero, infatti, violati l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad analoghe situazioni di incompatibilità, previste dall'art. 34, anche a seguito delle numerose pronunce additive di questa Corte e l'art. 24 della Costituzione, poichè l'imputato si vedrebbe imposto un giudice privo dell'indispensabile carattere di terzietà.

1.1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

Secondo l'Avvocatura, per la sussistenza dell'incompatibilità sarebbe indispensabile che il giudice abbia compiuto in precedenza una penetrante delibazione della regiudicanda, definendo il processo con sentenza. Al contrario la trasmissione degli atti al pubblico ministero per l'eventuale esercizio dell'azione penale sarebbe una attività ordinatoria di tipo meramente processuale, dalla quale non potrebbe desumersi un condizionamento del giudicante.

2. Dovendo celebrare il dibattimento a carico di un imputato nei cui confronti, in occasione della condanna di altro soggetto, aveva ritenuto configurabili i medesimi reati a quest'ultimo ascritti e perciò trasmesso gli atti al pubblico ministero per l'esercizio dell'azione penale, il Pretore di Padova, sezione distaccata di Montagnana, con ordinanza in data 13 giugno 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 1, del codice di procedura penale.

Il giudice a quo ritiene di avere già compiuto una "valutazione contenutistica della consistenza dell'ipotesi accusatoria", rilevando che l'oggetto delle valutazioni che egli é chiamato a compiere nel celebrando dibattimento sarebbe identico a quello del precedente processo conclusosi con la restituzione degli atti al pubblico ministero per l'esercizio dell'azione penale anche nei confronti dell'imputato attualmente sottoposto al suo giudizio.

L'art. 34 del codice di procedura penale tuttavia non contemplerebbe, secondo il remittente, come causa di incompatibilità l'ipotesi in cui il giudice abbia, in altro giudizio, ravvisato per i medesimi reati ulteriori responsabilità, trasmettendo gli atti al pubblico ministero per le sue determinazioni in ordine all'eventuale promovimento dell'azione penale: tale omessa previsione violerebbe il principio del giusto processo, che esige un giudice terzo e libero da convinzioni precostituite.

Considerato in diritto

 

1. Le due ordinanze di rimessione hanno ad oggetto l’art. 34, comma 1, e, rispettivamente, l’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, in quanto non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio per il giudice che, in precedente processo, abbia disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale.

Il Pretore di Ancona é chiamato a celebrare il dibattimento a carico di un imputato nei cui confronti, in occasione della sua precedente condanna per altro reato, aveva ritenuto configurabili ulteriori reati e quindi trasmesso i relativi atti al pubblico ministero. Prospettando la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, il giudice a quo richiama, per identità di ratio, la sentenza n. 455 del 1994, con la quale questa Corte ha esteso l’incompatibilità sancita dall’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. all’ipotesi del giudice che, all’esito di un precedente dibattimento, abbia ordinato la trasmissione degli atti del pubblico ministero a norma dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen. per diversità del fatto rispetto a quello contestato.

Il Pretore di Padova, sezione distaccata di Montagnana, deve giudicare della imputazione elevata a carico di un soggetto a seguito della trasmissione degli atti da lui disposta all’esito del processo a carico di altro imputato del medesimo reato. Ad avviso del remittente, la mancata previsione di una causa di incompatibilità per tale situazione violerebbe il principio del giusto processo, desumibile dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 27 della Costituzione, poichè l’imputato sarebbe privato della garanzia di un giudice dotato del necessario carattere di terzietà, essendo già stata compiuta, nei suoi confronti, una valutazione contenutistica della consistenza dell’ipotesi accusatoria al momento della trasmissione degli atti al pubblico ministero.

Poichè le ordinanze di rimessione pongono la medesima questione, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. La questione non é fondata per l’erronea premessa interpretativa dalla quale muovono i giudici remittenti. In entrambe le ordinanze si assume, sia pure implicitamente, che l’ipotesi in cui il giudice abbia trasmesso gli atti al pubblico ministero affinchè questi assuma le proprie determinazioni in ordine al promovimento dell’azione penale per il medesimo fatto a carico di un terzo ovvero per fatti ulteriori a carico dello stesso imputato, non sia contemplata come causa di incompatibilità dall’art. 34 del codice di procedura penale. Al contrario: l’ipotesi prospettata dai giudici a quibus rientra appieno tra quelle indicate nel terzo comma dell’art. 34 cod. proc. pen. Il provvedimento di trasmissione degli atti si risolve, infatti, come questa Corte ha puntualmente rilevato nella sentenza n. 292 del 1992, in una vera e propria denuncia obbligatoria che, costituendo "attività di propulsione prodromica all’esercizio dell’azione penale, si colloca nell’orbita della funzione requirente in quanto strumentale al suo esercizio. Il considerarla come fonte di incompatibilità al giudizio é, perciò, coerente con un sistema processuale ispirato alla necessaria distinzione tra funzioni requirenti e giudicanti".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, dal Pretore di Ancona e dal Pretore di Padova, sezione distaccata di Montagnana, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Carlo MEZZANOTTE

 Depositata in cancelleria il 7 novembre 1997.